Dona e sarai più ricco: la moralità del denaro

Rivelato il segreto di ricchezza e felicità

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

di Edward Pentin

ROMA, venerdì, 12 dicembre 2008 (ZENIT.org).- E’ meglio dare che ricevere, ma non è facile essere generosi quando la recessione assale il portafogli, o forse ruba il lavoro. La carità e la filantropia, tuttavia, sono fondamentali per una società prospera e dovrebbero essere incoraggiate anche nei periodi di crisi.

Le ragioni di questo sono state sottolineate nel corso di una conferenza svoltasi il 4 dicembre a Roma e ospitata dall’Ambasciata statunitense presso la Santa Sede e dall’Acton Institute.

Il seminario, dal titolo “Filantropia e diritti umani: creare lo spazio per la caritas nella società civile”, ha cercato di mostrare quanto sia importante la fioritura della filantropia e dei diritti umani nella società, creando spazi per la “caritas”, per gli atti individuali di carità, perché ciascuno possa prosperare.

La difesa più appassionata della donazione caritatevole è giunta dal professor Arthur C. Brooks, eletto di recente presidente dell’American Enterprise Institute. Autore di molti libri sulla filantropia, Brooks ha spiegato come fino a pochi anni fa non avesse mai creduto nella filosofia filantropica di John D. Rockefeller, il famoso miliardario americano del XX secolo che era sicuro che donando la propria ricchezza sarebbe diventato più ricco e credeva che Dio gli avrebbe tolto il suo denaro se avesse smesso di donare.

“Il motivo per il quale non ci credevo è che sono un economista”, ha scherzato. “In quanto tale, ho imparato che bisogna avere il denaro prima di poterlo dare via. Non è che si dà e poi si riceve – deve essere il contrario”.

Brooks era così convinto di avere ragione che per quattro anni ha cercato di dimostrare che Rockefeller sbagliava conducendo una ricerca su 30.000 famiglie degli Stati Uniti, ma i dati di cui è venuto in possesso hanno semplicemente sostenuto la filosofia di Rockefeller, condivisa da molti altri imprenditori: chi praticava la carità finiva per essere più ricco.

C’è voluto un amico psicologo per spiegargli perché era così, ricordandogli che il segreto era la felicità. Il suo amico aveva scoperto che quando la gente donava diventava più felice, e quando era più felice diventava più ricca. Questa scoperta ha cambiato la vita di Brooks. Ora capisce che la gente ha bisogno sia di dare che di ricevere e crede che le istituzioni che fanno da collegamento tra chi dona e chi riceve, come la Chiesa, debbano essere aiutate e incoraggiate.

Padre Robert Sirico, presidente dell’Acton Institute, ha sottolineato che l’incoraggiamento e l’assistenza possono essere raggiunti solo nel contesto della libertà economica, ma insieme a questa libertà c’è la responsabilità di servire Dio e il prossimo in ogni momento. “Il sistema che incoraggia la vocazione imprenditoriale”, ha affermato, “dovrebbe anche incoraggiare un’intera rete di associazioni di volontariato”.

Gli Stati Uniti, ovviamente, sono al primo posto nelle donazioni caritative individuali, il che spiega in parte perché il Paese sia così prospero. Molti oratori hanno osservato che i cittadini americani hanno donato l’anno scorso circa 300 miliardi di dollari, più delle entrate totali di Svezia, Danimarca o Norvegia. Mary Ann Glendon, ambasciatrice statunitense presso la Santa Sede, ha constatato che questa generosità è stata resa possibile dagli sforzi pubblici e privati, e non ultimo dall’iniziativa del Presidente George Bush di incoraggiare le istituzioni basate sulla fede.

L’ambasciatrice ha voluto ospitare la conferenza per commemorare il 60° anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, e ha ricordato come gli Stati Uniti e altri Paesi siano riusciti a convincere i responsabili della Dichiarazione a considerare uno spazio per la “caritas” nella società civile per non diminuire l’iniziativa privata o dare troppo potere allo Stato. L’Unione Sovietica voleva invece rendere lo Stato il primo garante di tutti i diritti sociali ed economici.

Il Cardinale Paul Josef Cordes, presidente del Pontificio Consiglio Cor Unum, si è riferito all’Enciclica di Benedetto XVI Deus Caritas est nel suo messaggio alla conferenza, letto in sua assenza dal segretario di Cor Unum, monsignor Karel Kasteel. Il Papa, ha affermato, sottolinea che la “caritas” è sempre necessaria, anche nella società più giusta, ma che ciò che viene richiesto è in primo luogo la santità. “Non è la carità che ci rende santi”, ha ricordato il Cardinale Cordes ai partecipanti alla conferenza, “ma la santità che ci rende davvero caritatevoli”.

[Traduzione dall’inglese di Roberta Sciamplicotti]

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione