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Don Ivan Maffeis: "Soddisfatto dei giovani alla Gmg, colpito dai musulmani nelle chiese"

Il portavoce Cei trae un bilancio dell’evento di Cracovia e ringrazia giovani e giornalisti. Poi afferma che il gesto dei musulmani a Messa è l’inizio di un cammino per costruire una società dove non si ha paura dell’altro

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Torna a Roma soddisfatto, don Ivan Maffeis, il portavoce della Cei, a Cracovia da circa due settimane per curare l’accoglienza degli oltre 95mila giovani italiani venuti alla Giornata Mondiale della Gioventù e transitati a Casa Italia. È proprio là, in questa struttura che i vescovi italiani allestiscono durante ogni Gmg in modo da far sentire a “casa” i pellegrini nostrani, che ZENIT e altri colleghi della stampa incontrano don Ivan, che racconta entusiasta “le cose belle” viste e ascoltate in questi giorni. 

Il suo è un bilancio decisamente “positivo” per questa Gmg, dove non si sono registrate defezioni dell’ultima ora, se non da parte di un gruppo di Verona che si trovava a Monaco al momento dell’attentato e che quindi è tornato indietro. “In realtà – afferma – respiro questa paura della fragilità, della possibilità di una guerra molto più negli adulti. Tanti genitori erano preoccupati dopo l’attentato in Normandia, hanno chiamato e scritto qua. Tra i ragazzi, invece, la notizia viene percepita in maniera diversa. Loro sono disponibili al dialogo, ad aprirsi, ad avventurarsi”.

“Mi colpiva che, nel giorno in cui le agenzie riportavano il bombardamento di un ospedale pediatrico ad Aleppo, agli incontri del Papa al Campus Misericordiae si vedevano sventolare bandiere da Libano, Siria, Iraq, Israele. Tutte insieme, tutte vicine”, osserva Maffeis. Un “ponte”, dunque, come quello che si è costruito ieri mattina in ogni parrocchia d’Italia, dove hanno presto parte alle celebrazioni della domenica centinaia di imam o rappresentanti islamici.

“Sono davvero contento dei musulmani” afferma il portavoce Cei. “Questo fatto asciugherà le voci di un islam che non ha preso alcuna posizione. È un gesto forte: io entro nella tua Chiesa non per diventare cattolico né per importi di diventare musulmano, però ti sono vicino. Quando l’imam di Rouen dice: ‘Io non faccio i funerali a questo ragazzo’, il terrorista che ha sgozzato padre Jaques, è una scelta forte! Non so se io, da cattolico, riuscirei a farlo. Sta dividendo il mondo islamico, ma è un segno importante”.

D’altro canto, osserva il portavoce dei vescovi italiani, “la partecipazione dei musulmani ad una Messa cattolica è una notizia buona anche per il fatto che la comunità cristiana ha risposto. Il Papa esortando a ‘costruire ponti’ non ha sottovalutato il pericolo, in aereo ha detto anzi: ‘Siamo in guerra, ma non di religione’. Più chiaro di così… Lo stesso giorno i vescovi italiani hanno pubblicato un comunicato in cui affermavano: ‘Siamo vicini alla comunità, preghiamo, siamo preoccupati, però non cediamo ad alcuna logica di chiusura o di vendetta’. Da parte della Chiesa, soprattutto italiana, c’è la disponibilità a costruire il ponte”.

“Io – prosegue don Ivan – leggo la risposta di domenica come l’inizio di un cammino verso l’incontro, che non è una mescolanza di identità, ma il fatto che davanti ad una tragedia che colpisce tutti, anche i musulmani, c’è la volontà di andare verso l’altro, di vivere in una città dove ci si può sedere in un bar, prendere un tram o entrare in una Chiesa senza aver paura di chi sta a fianco, che è la cosa peggiore”.

Il rischio, secondo il sacerdote, è infatti “che la società si stanchi al punto di diventare intollerante”. “Il pericolo di un fondamentalismo cristiano c’è: si può agitare la bandiera della fede cristiana, ma per tutt’altri scopi. Il cammino di educarsi, di crescere in una cultura dell’accoglienza, è dunque un cammino da fare, non è già fatto, anche se si misura con difficoltà oggettive”.

In tal senso le parole del Papa ed episodi di incontro come quello di domenica hanno un profondo “valore simbolico”, perché “da una parte le comunità mettono fuori gioco i terroristi, dall’altra mettono fuori gioco quel populismo, quel rancore, quel reagire di pancia, che comunque abbiamo dentro ma che è strumentale. Ho letto commenti, in questi giorni – racconta don Ivan – che volevano quasi mettere in guardia il Santo Padre: ‘Papa svegliati!’. Questo non lo riconduco ad un fondamentalismo cristiano, perché non è proprio una visione cristiana. Sono dell’idea che possiamo usare la bandiera della fede ma senza fede, ed è la cosa più pericolosa. Certi comportamenti sono ideologici”.

Il rifiuto dell’altro va dunque contrastato con l’incontro. In questo “i giovani sono d’esempio”, assicura il sacerdote: “Rompono tutti i luoghi comuni. Hanno una capacità d’ascolto incredibile, l’ho potuto constatare durante la Veglia, le catechesi o in momenti dove io stesso mi sarei distratto o addormentato. Sono rimasto ammirato, e lo dico come prete… Ad esempio, l’altra sera, finito un collegamento con la Rai facevo quattro chiacchiere coi colleghi, mi giro e vedo sotto i ragazzi in ginocchio davanti all’Eucarestia. Sono molto più sani, più disponibili e diretti di quanto siamo portati a considerarli. Li ho visti pregare, confessarsi, valorizzare le opportunità che sono state date loro”.

Per questo “il Papa dice che la Chiesa e il mondo hanno molto imparare dai giovani”. E per questo dona loro “una grande fiducia, incoraggiandoli a non abbattersi, a scommettere su di sé, ad avere speranza, anche sotto il peso di esperienze negative o fallimentari”. Allo stesso tempo, Bergoglio “è stato molto esigente con i giovani”: “Non ha fatto sconti – annota Maffeis – ha scosso, ha chiesto di non farsi rubare la parte migliore di sé stessi. Mi ha colpito che al suo primo affaccio dal balcone, di fronte all’entusiasmo dei ragazzi, ha parlato di un coetaneo morto. È come dire: ‘Ragazzi, la vita è questa, imparate a scegliere da che parte stare’”.

Dunque “in questa Giornata Mondiale della Gioventù abbiamo vissuto una misericordia alla portata dei ragazzi”, alcuni peraltro giovanissimi alla prima esperienza di Gmg, afferma il numero tre della Cei. Che vuole concludere con un grazie a tutti i giornalisti (circa 3mila gli accreditati per l’evento di Cracovia): “Tante volte ci lamentiamo di loro. Invece tra quelli che ho incontrato ho visto grande disponibilità e pazienza, considerando le  diverse difficoltà”, dice. “Credo che valga la pena dire grazie ai comunicatori; specie nei giorni in cui la Turchia imprigiona i giornalisti e chiude testate televisive e radiofoniche, bisogna capire la ricchezza di questa professione, di cosa vuol dire essere qui a raccontare, decifrare, ascoltare, scattare fotografie, tenere un filo. Dico un grazie grande a chi dà la possibilità che la Gmg non resti solo una grande esperienza di oratorio di migliaia di ragazzi, ma un evento che parla al mondo intero”.

[Dal nostro inviato a Cracovia]

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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