Don Innocenzo Lazzeri: Giusto tra le nazioni

A Stazzema il riconoscimento di Giusti tra le nazioni anche per Giuseppe Mansueto Rossi, Maria Rossi, Mario Lucchesi, che a rischio della loro vita salvarono la famiglia ebrea degli Sraffa.

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

“Nessuno di loro si fregiò mai del titolo di eroi, ma Giuseppe Mansueto Rossi e Maria Rossi, Mario Lucchesi e Don Innocenzo Lazzeri lo furono nei fatti. In quell’ora di fronte alla macchina di sterminio nazista, nel momento più buio dell’umanità, vi furono degli spiragli di luce delle singole persone, rette e virtuose, che nel pieno del male assoluto, hanno mostrato l’umanità nella forma più nobile, tendendo la mano ad un altro essere umano”.
Con queste parole Sara Gilad, prima assistente dell’ambasciata di Israele,  ha consegnato ieri a Stazzema (provincia di Lucca)  i titoli di Giusti tra le Nazioni a Divo Lazzeri, nipote di Don Innocenzo, la signora Valentina Lucchesi per il dottor Lucchesi, e la signora Franca Rossi per i coniugi Rossi. Presente la Signora Franca Sraffa testimone della vicenda, salvata da questi Giusti che sono stati premiati.
Giusto tra le Nazioni è il più alto riconoscimento civile che lo Stato di Israele concede a chi ha salvato la vita ad almeno un ebreo durante la Shoah.
I Giusti tra le nazioni italiani sono circa cinquecento.
Don Innocenzo Lazzeri era già stato insignito di medaglia d’oro al Valor civile per aver cercato di salvare la vita ai 130 civili uccisi sulla piazza della chiesa di Sant’Anna. di Stazzema il 12 agosto 1944.
Don Innocenzo offrì la sua vita al posto di quella dei suoi parrocchiani e fu ucciso.
Nella testimonianza scritta per lo Yad Vashen la signora Franca Sraffa ha raccontato:
“Nel mese di agosto 1943 insieme con mia madre Felicina Barocas, che era allora in stato interessante, mi recai a Farnocchia di Stazzema, una località della montagna tra i boschi non lontana da Pietrasanta, la città nella quale abitavano allora i miei nonni, Federigo Abramo Ventura e Ersilia Barocas, che possedevano lì un negozio di stoffe, in Via Mazzini.
Quella doveva essere solo una breve vacanza consigliata dal medico a mia madre in vista delle sue condizioni di gravidanza e della calura estiva. Poi però con la caduta del regime fascista, e il precipitare degli eventi bellici, fummo costrette a restare perché era pericoloso tornare a Pietrasanta.
La situazione si era fatta particolarmente difficile per la nostra famiglia che era ebrea sia dalla parte di mio padre, Aldo Sraffa, che dalla parte di mia madre. Erano infatti comparse scritte antiebraiche in prossimità del negozio dei miei nonni a Pietrasanta. Ci raggiunse allora a Farnocchia anche mio padre, e per lungo tempo abitammo nel paese in una casa presso la piazza del Carmine. A volte venivano da noi anche i miei zii, Augusto Ventura e Giuseppina Trevi. Fu a Farnocchia che il 18 ottobre del ’43 nacque mia sorella, Donatella-Miriam (morta poi il 19 settembre 1986).
Quando mia sorella nacque, l’ostetrica del paese, Siria Catelani, che era di ideologia fascista, si recò al comando tedesco per denunciare la presenza in paese di una famiglia ebrea.
In questa condizione di grave pericolo fummo accolti per alcuni giorni dal parroco di Farnocchia, Don Innocenzo Lazzeri, che ci nascose nella canonica. Accadde però che la stessa ostetrica informò i fascisti o i tedeschi del nostro rifugio e venne una pattuglia a fare una perquisizione nella canonica.
Ricordo sempre quei terribili momenti. C’eravamo rinserrati in un luogo nascosto della canonica e la mia sorella di pochi mesi era attaccata al seno di mia madre. Se fosse accaduto che la bimba avesse smesso di succhiare il latte materno e avesse iniziato a piangere, la nostra presenza sarebbe stata svelata, e io e la mia famiglia, insieme al sacerdote che ci aveva ospitato, avremmo corso un grave pericolo per la nostra vita.
Questo episodio fece capire a noi e a Don Innocenzo che la permanenza a Farnocchia non era più sicura. Radunate le cose più necessarie, accompagnati da due persone del paese, ci recammo, l’8 dicembre del 1943, a Greppolungo, un piccolo borgo del Comune di Camaiore, situato sull’altro versante del Monte Gabberi, a circa 5 km di distanza da Farnocchia.
Qui rimanemmo per circa un mese, cambiando spesso residenza per non essere scoperti. Poi ci fu comunicato che il Dott. Mario Lucchesi, figlio del direttore dell’ospedale di Pietrasanta, Pietro Lucchesi (entrambi medici molto bravi e generosi), aveva organizzato il nostro trasferimento in un luogo più sicuro, in una località di montagna denominata “Il Tendaio” presso San Pellegrino in Alpe, nel comune di Castiglione Garfagnana (LU).
Ci fu detto di scendere a Camaiore e di attendere l’arrivo del Dott. Mario Lucchesi, che con una piccola automobile ci portò nella sua casa di Castiglione Garfagnana, dove giungemmo verso sera. Fummo accolti e nutriti con grande ospitalità. La mattina dopo, all’alba, vennero alcuni membri della famiglia Rossi del Tendaio, tra cui Giuseppe Mansueto e suo figlio Franco che ci accompagnarono alla loro casa, che distava circa 15 chilometri da Castiglione.
Ricordo una donna della famiglia portò in braccio mia sorella che aveva pochi mesi. Al Tendaio fummo accolti con grande generosità. In particolare erano estremamente premurosi con noi Maria Rossi, la moglie di Giuseppe Mansueto, e la sorella di Maria, Rosina Rossi.
Com’era accaduto per Don Innocenzo Lazzeri, queste persone rischiavano la loro vita perché in quel periodo era considerato reato gravissimo nascondere e proteggere famiglie ebree. I Rossi avevano accolto anche altre persone in difficoltà. Ricordo che per sfuggire al pericolo di essere scoperti, alcuni membri della famiglia e loro ospiti organizzavano dei turni di guardia per avvistare l’eventuale arrivo di pattuglie di tedeschi e di fascisti.
Io con la mia famiglia e i miei zii, Augusto Ventura e Giuseppina Trevi, potemmo rimanere al Tendaio per circa un anno e mezzo, fino al giugno del 1945, cioè fino al termine della guerra, sempre trattati con grande premura e generosità dalla famiglia Rossi.
Io ho un ricordo molto forte di quel periodo, e so che sia io che i miei familiari dobbiamo la nostra vita all’aiuto di quelle persone benevole e coraggiose.
Sono da allora rimasta molto amica di Franca, la figlia di Giuseppe Mansueto e Maria Rossi. E considero sua madre, Maria, una vera santa. Io sono fermamente convinta che, per l’aiuto che ci hanno dato in quell’epoca difficile, queste persone che hanno permesso la nostra salvezza meritino di essere inclusi nel novero dei Giusti delle Nazioni di Israele.
Tra questi in particolare Don Innocenzo Lazzeri e Maria Rossi. E poi anche Giuseppe Mansueto Rossi, e i loro figli Franco e Franca Rossi, la sorella di Maria, Rosina Rossi, e il Dott. Mario Lucchesi”
Il sindaco di Stazzema Maurizio Verona ha espresso soddisfazione per il conferimento della medaglia a questi Giusti ed ha commentato: “Bisogna ringraziare queste persone per le loro azioni di coraggio e di umanità”.
Gianluca Fulvetti già direttore dell’Istituto storico della Resistenza e dell’Età Contemporanea, ha spiegato: “In mezzo a tanti ingiusti, vi furono anche tanti Giusti le cui storie spesso non conosciamo: ricordare e conoscere queste vicende, invece, contribuisce a rendere la memoria viva”.
Tutta la vicenda è venuta alla luce grazie al lavoro di Marco Piccolino, professore universitario in pensione, il quale ha compiuto le ricerche ed ha pubblicato il libro “Dalla Versilia alla Carfagnana  storie di Ebrei e Giusti”
 

Print Friendly, PDF & Email
Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione