Don Giussani: una vita diventata un'opera d'arte (Prima parte)

In una nuova biografia, Renato Farina racconta lo “sguardo d’amore” del fondatore di CL, a dieci dalla scomparsa

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Non è la prima biografia di don Luigi Giussani (1922-2005), né è il primo libro dedicato da Renato Farina alla vita del Servo di Dio, fondatore di Comunione e Liberazione, di cui domenica prossima ricorre il decennale dalla morte.

Don Gius. Cosa c’entra l’amore con le stelle (Piemme, 2015, pp. 266) ha però una sua originalità. In primo luogo racconta la vita di don Giussani ponendo l’accento sull’affetto filiale verso un padre spirituale mai dimenticato, senza per questo indulgere in sentimentalismi o cadere in tentazioni agiografiche.

In secondo luogo, il libro di Farina assume l’intento, per usare un’espressione dannunziana, di tratteggiare la vita di un grande uomo, come fosse un’opera d’arte. Traendo a modello la vita di San Francesco, plasmata da Giotto nel celebre ciclo di affreschi nella basilica di Assisi, a sua volta ispirato alla Legenda Maior di San Bonaventura, il giornalista e scrittore brianzolo, ha dato così alle stampe un libro che nasce da una “tracimazione” del suo amore per don Giussani.

“Io non ho il diritto di tacere, perché la testimonianza di don Giussani si fa per me sempre più essenziale e più viva. Poiché la mia vocazione è comunicare e raccontare, non posso tenerlo per me”, ha dichiarato Farina a ZENIT.

A otto anni di distanza da Don Giussani. Vita di un amico, che Farina stesso definisce una “biografia amicale”, realizzata poco tempo dopo la scomparsa del fondatore di CL, nel nuovo libro, l’autore ha immaginato di essere “il committente di un grande pittore a cui ho chiesto di raffigurare la vita di don Giussani in una dozzina di quadri, riproducendo quelli che io ritengo siano stati gli avvenimenti più importanti della sua vita, raccontati da lui stesso, sia in testi scritti, sia in discorsi e lezioni, sia negli incontri personali”.

Dottor Farina, qual è il quadro più importante di questo “libro-affresco”?

È quello che dà il titolo al libro: Cosa c’entra l’amore con le stelle. Si tratta pressappoco della frase che gli venne spontaneo rivolgere a due innamorati che, sulla porta della canonica della parrocchia di viale Lazio, a Milano, nei primi anni ’50, si stavano baciando sotto i tigli. Invece di rimproverarli, di far finta di niente o di essere imbarazzato, don Giussani si voltò verso di loro e disse: “Cosa c’entra quello che fate con le stelle?”. Era un modo per chiedere: “I vostri atti che relazione hanno col destino?”. Erano atti che avevano a che fare con l’universo e questa è la chiave della vita, della moralità e della fede in don Giussani: Cristo è venuto a legare ogni più piccolo nostro gesto, desiderio, pensiero, istante, con la totalità che è l’amore e che è Dio. Questo è il cristianesimo e don Giussani è quello che nel nostro tempo – nell’esperienza di molte persone tra cui il sottoscritto – ha reso possibile accorgersi di questo sguardo d’amore.

È una vita di don Giussani raccontata da lui stesso, per cui è una vita al quadrato. Mano a mano che racconta la sua vita e trascorrono gli anni, la racconta sempre più profondamente, quasi come se, più è lontano dagli eventi, più li vede nella loro forza, nudità e purezza. Questo è impressionante, perché la sua vita è stata una crescita continua e la sua vecchiaia è stata il culmine della giovinezza. La vecchiaia per lui fu uno sguardo più fanciullo di quando aveva trent’anni, non perché fosse tornato ‘bambinesco’ ma perché era più assomigliante allo sguardo del bambino che Cristo chiede di avere nel Vangelo.

Quindi questo mio libro vuole essere come un invito non solo a conoscere di più don Giussani ma ad accorgersi, attraverso di lui, del fascino clamoroso e sempre attuale della persona di Cristo che diventa cristianesimo dentro la comunità ecclesiale, così da trasformare la libertà dell’uomo in pienezza. Alla fine del libro, parlo anche di don Giussani dopo la sua morte: secondo il dogma della comunione dei santi, vedo un legame profondo tra lui e coloro che attualmente ne seguono il carisma e la testimonianza e lo pregano. La tomba dei santi non è il luogo della morte ma il luogo della fioritura, da cui scaturirà la resurrezione nella carne. Lui adesso è Servo di Dio ma, da parte mia, non ho alcuna pretesa di farlo santo, mi rimetto totalmente alla prudenza e alla saggezza della Chiesa e allo Spirito Santo. Però so che i fedeli hanno il diritto e il dovere di comunicare, la loro certezza della santità di una persona, di darne testimonianza e di correre con altri alla fama di santità.

Lei è stato un figlio spirituale di don Giussani: quali sono stati gli aneddoti più significativi che ha vissuto al suo fianco?

Mi vengono in mente soprattutto le ultime volte che riuscii a incontrarlo. Don Giussani era consapevole del disfacimento del suo corpo ma, al tempo stesso, diceva: “Eppure il mio io è sempre più certo del suo destino”. Vedendolo, quindi, desiderai diventare vecchio come lui, magari, senza la sua sofferenza, ma col desiderio di morire come stava morendo lui. Gli ultimi tempi, lui parlava del “mistero carità”: era come qualcosa che si intravedeva in lontananza, come un campanile in mezzo alla nebbia. Questo “mistero carità” lo aveva sotto gli occhi e ne era abbracciato. E aggiunse: “Senza carità nemmeno Dio si sopporterebbe”. Fu una frase che mi stupì e che, apparentemente, poteva sembrare eretica, invece è la più grande verità, perché, se Dio non fosse amore, non si sopporterebbe.

Un altro ricordo è il modo in cui, quando ero giovane universitario, don Giussani seguì me e la mia futura moglie nel cammino verso il matrimonio. Ricordo la straordinaria discrezione con cui evitava di imporci le sue idee. Piuttosto ci aiutava a cogliere i segni nelle scelte da fare. La sua guida spirituale consisteva nel mettersi da parte, affinché noi assumessimo le nostre responsabilità di fronte ad un mistero che ci veniva incontro attraverso il matrimonio e le scelte di lavoro. Ciascuno di noi, in ogni istante, vive questa grande responsabilità di dire di sì o di no.

Qual è stato il rapporto di don Giussani con i pontefici che si sono succeduti durante la sua vita?

In questo senso don Giussani ha incontrato la figura di diversi papi, in ognuno dei quali lui ha vissuto come centrale nel suo carisma, l’obbedienza a Pietro. È sbagliato dire che ci sia stato un ‘papa preferito’ da don Giussani. Il papa è colui al quale, lui si ancorava per essere abbracciato da Gesù Cristo. Ricordo che una volta gli feci un’intervista sui tre papi che nel 1978 iniziarono e/o finirono il loro mandato: Paolo VI, Giovanni Paolo I, Giovanni Paolo II. In tutti e tre lui vide la grande mano dello Spirito Santo che accompagna la Chiesa e sono certo che avrebbe vissuto la stessa cosa con Benedetto XVI e con Francesco. Questo legame del fondatore con il successore di Pietro, lo rivivremo nell’incontro con il Santo Padre del prossimo 7 marzo, convocato da don Julián Carrón.

[La seconda parte dell’intervista a Renato Farina sarà pubblicata domani, sabato 21 febbraio]

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Luca Marcolivio

Roma, Italia Laurea in Scienze Politiche. Diploma di Specializzazione in Giornalismo. La Provincia Pavese. Radiocor - Il Sole 24 Ore. Il Giornale di Ostia. Ostia Oggi. Ostia Città (direttore). Eur Oggi. Messa e Meditazione. Sacerdos. Destra Italiana. Corrispondenza Romana. Radici Cristiane. Agenzia Sanitaria Italiana. L'Ottimista (direttore). Santini da Collezione (Hachette). I Santini della Madonna di Lourdes (McKay). Contro Garibaldi. Quello che a scuola non vi hanno raccontato (Vallecchi).

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