Don Aufiero: l’Eucaristia è “cibo indispensabile per i pellegrini del dolore”

Intervista al Presidente della Confederazione del Centro Volontari della Sofferenza

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ROMA, domenica, 27 novembre 2005 (ZENIT.org).- L’Eucaristia, come “segno dell’amore di Dio”, diventa “cibo indispensabile” per il credente, che lungo il cammino della sua vita conosce e impara a convivere con la sofferenza, trasformandolo in un autentico testimone della fede, spiega don Armando Aufiero.

Così ha detto il neo Presidente della Confederazione Internazionale del Centro Volontari della Sofferenza (CVS), in una intervista a ZENIT, in cui ha riflettuto sul mistero del dolore, sull’importanza dell’Eucaristia nel cammino di “guarigione” del malato e sulle priorità pastorali del CVS nei prossimi tre anni di attività.

Qual è il carisma dei Volontari della Sofferenza, e come si fa a rendere quello che la gente percepisce come una disgrazia, cioè il dolore e la malattia, in testimonianza di fede?

Aufiero: Il carisma del CVS (Centro Volontari della Sofferenza) è una sfida vincente alla malattia e al non senso del dolore. Chi vive intensamente non si rassegna a veder fallire la propria esistenza a causa di una situazione che, benché a volte drammatica, non elimina totalmente la capacità di vita che una persona avverte dentro di sé. Su questa ‘voglia’ di vivere e di lottare per un’esistenza il più possibile realizzata e felice, fa leva l’accompagnamento che il CVS offre a coloro che soffrono.

Quanti si accostano alla proposta del CVS sono aiutati a cogliere questa sfida profondamente umana e quindi autenticamente cristiana. E’ un cammino di fede che è aperto a tutti gli uomini e le donne di buona volontà, che non si rassegnano alla sconfitta di fronte al dolore.

Il compito della persona direttamente coinvolta, della persona ammalata, disabile, o comunque sofferente, è decisivo per educare ad un coraggio autentico nell’affrontare la vita, senza nascondersi nella fuga di chi vorrebbe rimuovere il male con il semplice fatto di non occuparsene o di rassegnarsi al fatalismo superficiale che vede in queste situazioni delle inevitabili o ‘divine’ disgrazie.

Ad ottobre, si è svolto a Roma il Sinodo dei Vescovi sul tema dell’Eucaristia. Cosa rappresenta l’Eucaristia per i Volontari della Sofferenza? E quali sono i rapporti tra la guarigione dell’anima e quella del corpo?

Aufiero: L’Eucaristia rappresenta per tutti i battezzati il medesimo e infinito segno dell’amore di Dio per l’umanità, del Suo coinvolgimento totale nella vicenda povera e meravigliosa della creatura amata. Certamente quando la vita è maggiormente segnata dal dolore, si avverte con più radicalità il bisogno di un ‘pane’ che sostenga nel cammino, che ridia speranza e senso a quei passi che ancora ci attendono e che non vogliamo veder scomparire sotto la triste ombra della sofferenza.

La presenza del Signore Risorto diventa cibo indispensabile per i pellegrini del dolore che trovano così la forza per trasformarsi in testimoni dell’amore, continuando il medesimo sentiero della loro vita, sempre amata e redenta da Cristo.

Il Vangelo ci parla di una guarigione integrale dell’uomo, la vita dei figli di Dio, la realizzazione piena della dignità che li abita, rifugge a divisioni riduttive. Nel CVS viviamo la tensione piena verso la salute-salvezza dell’intera persona, in tutte le sue componenti: ci si cura nel modo migliore senza ridurre la propria esistenza ad una questione di farmacologia.

La lotta al male vuole vincere non solo la patologia che affligge, ma anche il non-senso, la superficialità, la pochezza di tutto ciò che è riduttivo della profonda dignità dell’uomo. Non si diventa guariti fuori o guariti dentro, ma semplicemente ‘redenti’, figli di Dio in cammino verso una piena realizzazione della propria esistenza.

Una tale guarigione resta sempre possibile, anche quando la malattia, segno del connaturale limite della creatura umana, prosegue nel suo corso e non può essere arrestata dall’intervento medico. D’altra parte non possiamo dimenticare che la morte è il nostro comune e inevitabile destino, e che Cristo ha vinto la morte: così la nostra ultima e definitiva ‘guarigione’ si chiama ‘risorgere a vita nuova’.

Il modello culturale dominante vede nella sofferenza solo disperazione, e pur di evitarla sembra preferire la morte. Voi invece vedete nella sofferenza la via della Croce che porta ad un disegno di salvezza. Da dove nasce questo grande ottimismo e questa fonte di speranza?
<br> Aufiero: La speranza che si può offrire alla persona sofferente nasce proprio dalla Croce, che è via della vita più che segno della sofferenza. La Croce disegna un orizzonte di salvezza per ogni situazione dell’uomo, anche per la più estrema, come è appunto la morte. Se la Croce è segno che Gesù Signore ha vinto la morte, non vi è nulla di così limitato o povero o sofferto che non possa rientrare nella salvezza e nella gioia dei redenti.

Come Presidente della Confederazione Internazionale del Centro Volontari della Sofferenza, lei ha indicato un programma ed una pastorale finalizzata a fare dei malati dei testimoni della fede. Potrebbe illustrarci i punti più significativi?

Aufiero: Vi sono alcune priorità pastorali che l’assemblea della Confederazione CVS Internazionale ha voluto esprimere al termine dei suoi lavori, nel settembre scorso. Si tratta di quattro punti di riferimento che guideranno l’azione di coordinamento espressa dal Consiglio di presidenza:

1. Riscoprire e vivere ogni giorno la propria vocazione: l’appartenenza al CVS è una vocazione specifica nella Chiesa. Si tratta di una vocazione bella, ma anche esigente, da curare attraverso il primato alla vita spirituale.

2. Amare sempre più la comunione nella Chiesa, aspetto che la qualifica nel suo essere mistero. Una comunione di tutti i CVS nell’unico corpo di Cristo che è la Chiesa, ma anche con le altre associazioni che operano nell’ambito della Pastorale della Salute e nel mondo dell’umana sofferenza.

3. Lasciarsi appassionare dall’urgenza della missione. La passione missionaria costituisce l’identità stessa della Chiesa. Si tratta di trasformare la ‘passione’ delle proprie ferite in ‘passione’ di dedizione, di amore, e che si esprime in quell’ansia apostolica verso chi si sente schiacciato dal peso della solitudine, del non-senso, dell’emarginazione, dell’inutilità.

4. Essere i collaboratori della gioia dei fratelli. Chi ha incontrato Gesù il Signore e Maria Sua e nostra Madre, riconosce che la gioia può coesistere anche con la sofferenza.

Queste attenzioni guideranno la programmazione per i prossimi tre anni di attività, per consolidare e diffondere l’apostolato per la promozione integrale della persona sofferente che la Confederazione CVS internazionale intende realizzare, secondo gli insegnamenti del Servo di Dio monsignor Luigi Novarese, che negli anni ‘60, ha dato inizio al nostro movimento di azione pastorale e sociale.

[Per saperne di più sui servizi specifici del CVS: http://www.sodcvs.org/ ]

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ZENIT Staff

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