Discorso del Cardinale Martino nel presentare il Compendio della Dottrina Sociale ai parlamentari italiani

ROMA, venerdì, 18 novembre 2005 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito il testo integrale del discorso pronunciato mercoledì 16 novembre dal Cardinale Renato Martino, Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, nel presentare ai parlamentari italiani nella Sala del Cenacolo in Roma il Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa.

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COMUNITÀ POLITICA E DEMOCRAZIA

1. Sono particolarmente lieto di essere qui in ambito e contesto parlamentari – a dire una parola di presentazione sul Compendio della dottrina sociale della Chiesa che, nella sua ispirazione e negli orientamenti che offre, si propone come uno strumento per realizzare al meglio il bene comune che costituisce il fine principale di ogni attività politica. Ringrazio di cuore l’On. Pier Ferdinando Casini, Presidente della Camera dei Deputati, per aver prontamente e generosamente accettato di associarsi alla presentazione di questo importante documento della Santa Sede.

Desidero legare questo significativo evento a un importante anniversario: il prossimo 7 di dicembre si celebrerà il 40° della Costituzione Pastorale Gaudium et spes del Concilio Vaticano II, resa pubblica il 7 dicembre del 1965. Possiamo dire con certezza che la Costituzione sia la magna charta della dottrina sociale della Chiesa nella sua fase postconciliare. Ebbene, mi piace pensare al Compendio perché così effettivamente è come idealmente collegato nella sostanza con la prospettiva indicata dalla Gaudium et spes, una prospettiva di servizio della Chiesa al mondo e a tutti gli uomini per la loro salvezza integrale. A leggere il capitolo VIII del Compendio, dedicato a “La Comunità politica”, si sente l’eco, favorito anche dalle numerose citazioni, della Costituzione conciliare: medesima l’impostazione teologica, anche se il Compendio recupera e valorizza l’intero magistero sociale e tiene conto di nuove problematiche che nel 1965 non potevano essere considerate per motivi cronologici.

2. Leggendo il Compendio si rimane subito colpiti dal fatto che la comunità politica non è affrontata in se stessa, ma dentro il disegno di Dio sull’umanità e dentro il rapporto della Chiesa e del mondo. Il Compendio si apre, infatti, con il primo capitolo dal titolo “Il disegno di amore di Dio per l’umanità”. Solo in questa luce è possibile rendersi conto pienamente di cosa sia la comunità politica e della vocazione del singolo cristiano e delle comunità cristiane nei suoi confronti. Non si può comprendere il senso e il fine della comunità politica se non si ha riguardo per l’amore di Dio per l’uomo “sola creatura sulla terra che egli abbia voluto per se stessa”. L’uomo assume una tale dignità che “principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali è e deve essere la persona umana, come quella che per sua natura ha assolutamente bisogno di socialità”.

Per questo motivo il primo contributo che la Chiesa offre alla comunità politica è di tipo religioso e conforme alla propria missione: conservare e promuovere nella coscienza comune il senso della trascendente dignità della persona umana. Come afferma la Gaudium et spes: “Il fermento evangelico ha suscitato e suscita nel cuore dell’uomo un’irrefrenabile esigenza di dignità”. Nel messaggio di Cristo la comunità degli uomini può trovare la forza per saper amare il prossimo come un altro se stesso, per combattere tutto ciò che è contro la vita, per ammettere la fondamentale uguaglianza di tutti, per lottare contro ogni forma di discriminazione, per superare un’etica puramente individualistica. ”Senza il Creatore – dice la Gaudium et spes – la creatura viene meno”. Il primo contributo che la Chiesa dà alla convivenza sociale e politica è annunciare, celebrare e testimoniare queste verità e, così facendo, imprimere nei cuori l’amore per l’uomo, ossia la carità. Non è certo una missione di ordine sociale e politico, ma indubbiamente dagli enormi influssi in questo campo.

3. In questa prospettiva, la libertà religiosa, oltre ad essere un diritto della Chiesa – in quanto condizione per esercitare il proprio dovere essenziale -, è anche un bene per la società. Una laicità veramente tale dovrebbe garantire tale libertà religiosa e permettere alla Chiesa di svolgere questo compito dalla valenza realmente pubblica, anche se non direttamente politica. Il Compendio precisa molto bene il senso corretto dell’autonomia delle realtà terrene, compresa la politica. Come precisa, altrettanto bene, la funzione propria della Chiesa in ordine alla politica: “La Chiesa non si confonde con la comunità politica e non è legata ad alcun sistema politico. La comunità politica e la Chiesa, nel proprio campo, infatti, “sono indipendenti e autonome l’una dall’altra” e sono entrambe, anche se a titolo diverso, “al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini” (n. 50). Si può anzi affermare che il principio di laicità e il principio della libertà religiosa costituiscono un’acquisizione specifica del cristianesimo, di grande rilievo sul piano storico e culturale.

La Chiesa non opera in quanto tale delle scelte direttamente politiche, ma lascia questo compito alla responsabilità dei fedeli laici, singoli ed organizzati. Tale responsabilità assegnata ai laici non deriva da una povertà di prospettiva del messaggio cristiano, ma dall’affidamento delle soluzioni concrete alla libertà umana guidata dalla luce della Parola di Dio e dal Magistero della Chiesa. Il legittimo pluralismo delle scelte sociali e politiche non è una conseguenza della mancanza di una verità e di un bene riguardante la società e la politica, ma dal fatto che il bene si può fare in molti modi e dal motivo che spesso le situazioni sono complesse e richiedono conoscenze tecniche articolate.

In varie parti del mondo si registra oggi una notevole discussione sulla laicità. Talvolta essa viene intesa come esclusione della religione dalla vita pubblica, comprese forme di persecuzione o di divieto di manifestare in pubblico le conseguenze anche sociali e politiche del proprio credo religioso. Questa concezione della laicità tende a considerare la religione un fatto privato ed ha talvolta una ripercussione anche dentro le comunità cristiane, accentuando la separazione tra fede e vita. Questo problema ha così due versanti, quello dal punto di vista del regime politico e quello dal punto di vista della Chiesa. Secondo il Compendio, un regime politico autenticamente laico accetta sia che i singoli cristiani agiscano da cristiani nella società senza camuffarsi da uomini qualunque, sia che la Chiesa manifesti le proprie valutazioni sulle grandi questioni etiche in gioco.

E’ questo un interesse della stessa politica, in quanto se essa pretende di vivere come se Dio non ci fosse, alla fine si inaridisce e perde la consapevolezza stessa dell’intangibilità della dignità umana. Dal versante della Chiesa, un simile disimpegno dal proprio ruolo pubblico è assolutamente impensabile in quanto verrebbe meno il criterio dell’incarnazione e dell’unità tra fede e vita, tra salvezza eterna e impegno qui e ora per il bene del prossimo. Per questo il cattolicesimo non potrà mai rinunciare ad un ruolo pubblico della fede religiosa e delle comunità cristiane, distinguendo tuttavia quanto i fedeli operano a nome proprio e quello che compiono a nome della Chiesa assieme ai loro pastori.

4. Della comunità politica il Compendio precisa il fondamento e il fine, individuandoli nel bene comune. Del bene comune esso ha una visione dinamica, pluralistica e sussidiaria.

a) Dinamica in quanto esso non è un dato, è un impegno, un processo da guidare eticamente, un percorso da assumere consapevolmente, da volere, da costruire. Il bene comune politico, proprio per questo, non si raggiunge automaticamente. Non sono in grado di realizzarlo né le leggi del mercato da sole, né le istituzioni politiche da sole, ma gli uomini guidati da una buona volontà.

b) Pluralistica in quanto il bene comune non è uguale per tutti i contesti e per tutti i gruppi sociali. Esso è diversificato ed articolato, fondato su quanto accomuna ma anche sulla ricchezza delle differenze. Non esiste, in questo senso, un bene comune universale unico, appiattente e uniformante tutte le forme di vita. Sarebbe un
bene comune totalitario, ingombrante e soffocante. Esiste un bene comune nel senso indicato da Giovanni XXIII nella Pacem in terris, come il bene della famiglia umana, considerata però nella sapiente articolazione di popoli e gruppi intermedi, di comunità locali e di famiglie, tutti unici e irripetibili eppure tutti comunicanti dentro una stessa famiglia, nazionale o universale.

c) Sussidiaria, infine, in quanto la comunità politica deve perseguire il bene comune favorendo partecipazione ed assunzione di responsabilità. E’ questo un tema di grande attualità. Afferma il Compendio: “Il principio di sussidiarietà protegge le persone dagli abusi delle istanze sociali superiori e sollecita queste ultime ad aiutare i singoli individui e i corpi intermedi a sviluppare i loro compiti. Questo principio si impone perché ogni persona, famiglia e corpo intermedio ha qualcosa di originale da offrire alla comunità. L’esperienza attesta che la negazione della sussidiarietà, o la sua limitazione in nome di una pretesa democratizzazione o uguaglianza di tutti nella società, limita e talvolta anche annulla, lo spirito di libertà e di iniziativa” (n. 187).

5. Il Compendio lega la realizzazione del bene comune al tema della democrazia, il sistema politico che, meglio di altri, favorisce la partecipazione e quindi la solidarietà reciproca e la collaborazione dentro la comunità politica. Sintetizzerei l’articolata riflessione del Compendio sulla democrazia in questi termini: essa è strumento e non fine, tuttavia anche se è solo strumento non deve essere ridotta a pura procedura: “Un’autentica democrazia non è solo il risultato di un rispetto formale di regole, ma è il frutto della convinta accettazione dei valori che ispirano le procedure democratiche”( n. 406. Questa posizione del Compendio sulla democrazia si confronta al giorno d’oggi con molte posizioni, che presento brevemente, senza entrare nel merito del loro valore.

a) Secondo qualcuno la democrazia è costituita dalle libere elezioni e dal pluralismo politico. Andare alle urne per esprimere la propria volontà e poter liberamente fondare dei partiti è da alcuni considerato il cuore stesso della politica.

b) Altri osservatori sostengono che la democrazia non coincide con il sistema dei partiti e con le libere elezioni, ma con la trasparenza del dibattito pubblico e con la possibilità dei cittadini di dire la propria. Laddove c’è libertà di parola e di informazione, confronto, dialogo pubblico
e società comunicativa c’è democrazia.

c) Una terza concezione della democrazia la mette in rapporto con lo stato di diritto (rule of law), ossia come un sistema che protegge i diritti dei cittadini e li emancipa aiutandoli ad essere liberi. Ognuna di queste concezioni della democrazia ha degli aspetti di verità. Come negare che la democrazia sia un sistema fondato sulla libertà politica e sulle libere elezioni? Oppure che la democrazia preveda la libera circolazione delle idee e un aperto dibattito? Oppure che la democrazia non si fondi sul rispetto dei diritti dell’uomo? Tuttavia non sono visioni sufficienti, contengono dei limiti che, se lasciati a se stessi, finiscono per corrompere la democrazia.

Per questo il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, valorizzando il meglio delle concezioni esposte, lo rilancia dandogli una prospettiva più alta, che intende e propone la democrazia come un sistema politico di protezione e sviluppo della persona umana. La Centesimus annus, in un punto ripreso dal Compendio, afferma che “Un’autentica democrazia è possibile soltanto in uno Stato di diritto”, ma poi aggiunge “e sulla base di una retta concezione della persona umana”. Nella prospettiva del Compendio, la democrazia utile alla maturazione di una comunità politica veramente umana è quella che si intende non solo come libertà politica ed elettorale, non solo come pariteticità nel pubblico dibattito, e nemmeno come rivendicazione di diritti, ma anche e soprattutto come tutela e sviluppo della persona, intesa come qualcosa di incondizionato.

Circolano oggi varie concezioni della persona. Tutte hanno qualche tratto positivo, ma anche elementi più o meno negativi. La visione cristiana della persona è contraddistinta dall’incondizionatezza, da una assolutezza che deriva alla persona umana dal fatto di essere imago Dei: ciò impedisce di ridurla ad altro, di considerarla mezzo e non fine, di intenderla in senso parziale e riduttivo. Impone, invece, di concepirla nella sua apertura orizzontale e verticale e in una capacità di relazione con gli altri e con Dio nella verità e nel bene. Una vera democrazia ha bisogno di quest’anima.

6. Ho tratteggiato i caratteri principali della comunità e della democrazia così come sono contemplati dal Compendio della dottrina sociale della Chiesa. Vorrei concludere, però, con un’ultima nota che riporta il nostro discorso al cuore del messaggio sociale cristiano, ossia alla carità. Dice il Compendio: “il significato profondo della convivenza civile e politica non emerge immediatamente dall’elenco dei diritti e dei doveri della persona. Tale convivenza acquista tutto il suo significato se basata sull’amicizia civile e sulla fraternità (n. 390). A questa amicizia civile e fraternità naturale, la fede cristiana e la testimonianza del cristiano aggiungono la caritas cristiana, come virtù teologale e dono di Dio all’umanità. Una virtù, la carità, dalle enormi conseguenze sociali ed unica veramente capace di tenere fraternamente uniti gli uomini, muoverli al sacrificio per il bene comune, sostenerne l’impegno anche nella difficoltà.

Renato Raffaele Card. Martino
Presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace
Roma, 16 novembre 2005

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ZENIT Staff

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