Disabilita e salute: una definizione nuova che non escluda nessuno

Bioetica e disabilità | Quale idea di salute?

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Ci guardiamo allo specchio e il nostro giudizio su noi stessi è un giudizio sereno? Non tanto: buona parte di quello che pensiamo di noi lo traiamo dai modelli pubblicitari, che vengono “pompati” per farci avere desideri o bisogni che nessuno si sarebbe sognato di avere senza una campagna pubblicitaria che invogliasse in quel senso.

Addirittura cominciamo a sentire come malattia alcuni normali stati della nostra vita, come i brufoli dell’adolescente, la menopausa o la calvizie, a ci sono case farmaceutiche che esercitano il cosiddetto “disease mongering”, cioè l’istillare paura eccessiva e ansia nella popolazione per fenomeni che non sono patologia (per esempio la timidezza o la agitazione premestruale) per vendere farmaci1.

Sottolineiamo questo fenomeno perché il nostro concetto di salute è alterato fino al midollo: oggi pensiamo alla salute come “perfezione fisica”, o come benessere sociale identificando quest’ultimo con il possedere (appunto) quanto la pubblicità impone. L’idea attuale di salute non coincide allora con il desiderio di pace, serenità, soddisfazione, ma richiede sempre “qualcosa”, cioè si identifica col possesso di qualcosa; ne viene fuori un’insoddisfazione generale – nessuno riuscirà mai ad essere come i modelli televisivi – e quindi una frustrazione: paradossalmente da un’idea alterata di salute si genera patologia.

E un’idea di salute basata sulla perfezione o assenza di difetti, emargina chi i difetti li ha e sono evidenti: le persone con evidente disabilità. Ora c’è da dire che i difetti ne abbiamo tutti, e tutti siamo in qualche misura disabili, tanto che non è detto che l’evidenza palese di un difetto sia in diretto rapporto con la sofferenza che genera (si può soffrire molto anche per essere 5 centimetri più bassi del compagno di classe, pur godendo di ottima salute fisica).

Tuttavia un’idea di salute basata sulla perfezione o sull’assenza di difetti palesi emargina i disabili “classici”, che non potranno mai avere un “Completo benessere fisico” come recita in parte la definizione ufficiale dell’OMS2  del termine “salute”.

Ma la salute è un diritto di tutti; dunque dovrebbe essere per tutti. Dunque la definizione di salute deve essere cambiata: stando a quella attuale (“completo benessere psico-fisico e sociale”) la salute non ce l’ha nessuno, tantomeno i “disabili classici”. Recentemente3  abbiamo proposto una nuova definizione di salute che include anche i portatori di disabilità e ci sembra una buona definizione. E’ la seguente: la salute è “lo stato di soddisfazione personale, socialmente supportato”.

Questa definizione è ben lontana da quella dell’OMS, perché si basa su un criterio generale e ottenibile da tutti: la soddisfazione; e spiega che però questo criterio deve essere supportato socialmente, perché per la persona disabile sarebbe facile “arrendersi”, “accontentarsi” o “rinunciare” e confondere questo con la reale soddisfazione; la società ha l’obbligo di fornire il substrato economico, ambientale e culturale per il dispiegarsi delle capacità del disabile è un obbligo di “prima linea”, cioè da esigere al primo punto di ogni impegno politico e di ogni legge finanziaria.

Non è un paradosso, il disabile può essere “sano”: basta guardare le tanto censurate Paralimpiadi4 per vedere un fenomeno impressionante: la gente che accendeva il teleschermo per curiosità poi vi rimaneva incollata per l’ammirazione. Gli atleti disabili compiono gesti di altissimo sport e agonismo che talvolta surclassano quelli di tanti atleti superpagati “normodotati”. Chi può dire che i recordman disabili non siano persone in piena salute quando compiono discese libere con gli sci ad altissima velocità con una gamba sola, o quando battono record di velocità su pista con protesi o quando organizzano un raffinato gioco di squadra su carrozzina? Vedete bene come questo abbatte il confine tra i termini “sano” e “malato”. Questo ovviamente non vuol dire che dato che i disabili “possono farcela” allora l’impegno per sconfiggere la disabilità deve essere trascurato: anzi, l’impegno e la ricerca contro la malattia e contro l’handicap deve crescere; proprio con l’evidenza che, anche per la loro capacità di essere sani sebbene “danneggiati”, i disabili hanno le stessissime caratteristiche umane degli altri cittadini.

Non è un ragionamento eccessivamente buonista. Infatti, per capire cosa davvero è la salute, provate a domandarvi quando non sentite di essere sani: vedrete che la risposta non è quella della pubblicità televisiva, cioè quando siete pressoché perfetti (che poi è quella che dà anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità). Ma sentite di essere sani quando riuscite a fare le cose di tutti i giorni, o le cose che fanno tutti quelli della vostra età. Dunque il vecchio è sano se fa quello che piace fare ad un anziano; il bambino è sano se fa quello che piace fare ad un bambino. Insomma, si è sani se si è soddisfatti di quello che si riesce a fare, non se si fanno cose impossibili e allucinanti. E dunque anche quando il disabile fa al meglio e con soddisfazione le cose che la sua disabilità gli fa fare, si parla con serenità e certezza di “salute”. Così come anche chi non ha disabilità evidenti è sano quando fa al meglio e con soddisfazione le cose che il suo stato fisico gli permette.

Di chi è la responsabilità per recuperare il senso del termine “salute” e non cedere al soggettivismo e all’insoddisfazione? In primo luogo dei mass-media, che legano troppo spesso la soddisfazione o il benessere al consumismo e a tutto quello che ne deriva. E che non mostrano la vera vita e le vere speranze delle persone malate. Basterebbe mostrare lo sport dei disabili con intelligenza, per mostrare a che punte di eccellenza arriva la persona umana quando non è lasciata sola. Invece le Paralimpiadi sono trasmesse quasi di sfuggita e non le ha viste nessuno. Peccato. Anche la politica può fare molto se riprende a parlare un linguaggio culturale e “prepolitico”, cioè di benessere vero delle persone, a parlare di sviluppo sostenibile, di difesa della vita debole e di ecologia, tre campi strettamente uniti.

Troppo spesso la politica finisce col perdere le priorità e inseguire più il benessere consumistico di una minoranza che il benessere vero della popolazione, cioè la ricerca di una salute correttamente intesa senza pretese eccessive di pochi e senza pressioni consumistiche.

Carlo Bellieni è neonatologo, dirigente medico presso l’Unità Operativa di Terapia Intensiva Neonatale Policlinico Universitario di Siena e consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita

*

NOTE

1 Moynihan R, Heath I, Henry D. Selling sickness: the pharmaceutical industry and disease mongering. BMJ. 2002 Apr 13;324(7342):886-91

2 World Health Organization. 1946. WHO definition of Health, Preamble to the Constitution of the World Health Organization as adopted by the International Health Conference, New York, 19–22 June 1946; signed on 22 July 1946 by the representatives of 61 States (Official Records of the World Health Organization, no. 2, p. 100) and entered into force on 7 April 1948

3 Bellieni CV, Buonocore G. Pleasing desires or pleasing whishes? A new approach to pain definition. Ethics Med 2009;25:1

4 http://www.heacademy.ac.uk/assets/hlst/documents/olympic_sig/case_studies/CS3-Paralympic-SportEvaluation.pdf9

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Carlo Bellieni

Carlo Bellieni è neonatologo, dirigente medico presso l'Unità Operativa di Terapia Intensiva Neonatale Policlinico Universitario di Siena e consigliere nazionale Associazione Scienza & Vita

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