Dire Dio. Linguaggio sponsale e materno nella mistica medievale

Intervista con il professor Francesco Asti

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ROMA, venerdì, 16 febbraio 2007 (ZENIT.org).- “La mistica non è più femminile e meno maschile, in quanto l’esperienza di Dio è propria dell’essere umano”. Lo sostiene il professore Francesco Asti, autore del libro “Dire Dio. Linguaggio sponsale e materno nella mistica medievale”, pubblicato recentemente dalla Libreria Editrice Vaticana, (www.libreriaeditricevaticana.com, 367 pagine, 22 euro).

Francesco Asti è sacerdote dell’Arcidiocesi di Napoli dal 1992 e insegna teologia spirituale presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale.

Il suo lavoro di ricerca esplora, con particolare attenzione, lo statuto epistemologico della teologia spirituale attraverso l’analisi del vissuto mistico.

Tra i suoi libri ricordiamo:“Spiritualità e Mistica. Questioni metodologiche” (2003) e “Dalla spiritualità alla mistica. Percorsi storici e nessi interdisciplinari” (2005).

Il libro si intitola “dire Dio”. Perché non “vedere Dio” o “sperimentare Dio”, visto che parliamo di mistica e non strettamente di teologia?

Asti: Penso che il problema odierno è di aver separato l’esperienza di Dio dalla sua formulazione teologica. I Padri della Chiesa chiamavano teologia l’esperienza viva che un credente può fare di Dio, anzi la Santissima Trinità viene ad abitare il cuore del giusto per indicargli la sua vera origine e il suo fine. Dire Dio è la comunicazione di un vissuto intimo e personale.

Certo i mistici non hanno prodotto trattati di teologia, ma hanno tentato di descrivere, in modo a volte approssimato altre volte preciso ed incisivo, la presenza trasformante di Dio nella loro vita. Desiderano comunicare la loro esperienza in un mondo che non attende Dio e non lo riconosce quando si fa presente.

Le parole degli uomini nella loro limitatezza additano la Parola di Dio, l’esprimono nel tentativo di essere sempre più in comunione con il Signore della vita. Dire Dio, quindi, nasconde un vedere Dio ed uno sperimentare Dio, in quanto siamo dinanzi a una complessa realtà che chiamiamo esperienza mistica.

Oggi si avverte, da più parti, la necessità di ritornare all’unità teologica: riflessione ed esperienza non possono essere scisse, in quanto tutto il credente vive nel seno della Chiesa, testimonia la propria adesione alla Santissima Trinità. Il cambiamento dovrebbe interessare anche il campo degli scritti teologici.

Spesso i manuali di teologia non si aprono agli scritti dei santi né dei mistici considerati poco “scientifici”. Che cosa, dunque, consideriamo per scienza teologica? Lo scientismo in teologia può provocare aridità ed incomprensioni sul dato rivelato e la sua esperienza concreta.

Ritorniamo all’esperienza dei santi e dei mistici che si immergevano nell’amore di Dio nella piena comunione ecclesiale.

Il suo libro tratta maggiormente di figure femminili piuttosto che di quelle maschili. È una scelta o vuole indicare che la mistica è più femminile?

Asti: Non ho voluto discriminare i mistici rispetto alle mistiche. Anzi ho mostrato come il linguaggio maschile e femminile non è dissimile, quando si tratta di invocare il Dio cristiano.

Gli uomini e le donne, partendo dalla loro esperienza spirituale, hanno cercato di descrivere l’amore e la conoscenza che nutrono nei riguardi della Santissima Trinità. Essi hanno uno sguardo puro sul Cristo ponte fra il cielo e la terra così Caterina da Siena descriveva la mediazione salvifica di Gesù.

La carne di Cristo è la via maestra per essere in comunione con Dio Padre. L’umanità di Gesù viene elevata nella croce e glorificata dal Padre per essere ogni fedele unito a Lui. Gli scritti delle mistiche sono poco conosciuti; perciò c’è bisogno di aprire nuove finestre di studio per comprendere la complessità dell’esperienza mistica cristiana.

Per una visione più globale il teologo deve studiare le opere delle mistiche medievali che con la loro sensibilità danno nuove luci sulla comprensione del dato rivelato. La mistica non è quindi più femminile e meno maschile, in quanto l’esperienza di Dio è propria dell’essere umano.

Forse abbiamo del Medioevo una immagine negativa della donna che, invece, ha prodotto scritti di altissimo livello spirituale. Il loro modo di scrivere, l’attenzione psicologica all’esperienza spirituale incitano a rileggere diversamente la mistica in Occidente.

Cristo è Sposo e Madre, secondo san Bernardo. Ci spieghi meglio la nozione di Cristo-Madre?

Asti: Nel Medioevo Bernardo di Chiaravalle, Guglielmo di Saint-Therry, Margherita d’Oingt, Gertrude di Helfta, Francesco d’Assisi, Antonio di Padova, Chiara di Assisi e Angela da Foligno, Giuliana di Norwich hanno descritto la propria esperienza di Dio usando metafore ed analogie.

Il loro rapporto con Cristo è stato unico ed intenso tanto che per comunicarlo avevano bisogno di immagini che potessero esprimere l’amore profondissimo di Dio verso la sua creatura. Sposo-sposa; padre-madre sono termini che descrivono la familiarità e il legame che si instaurano fra Dio e l’uomo.

Un tale tipo di linguaggio avvicina ancora di più il Dio rivelato alla sua creatura. In Cristo i mistici hanno percepito la profonda relazione familiare che si è specificata in un linguaggio sponsale e materno.

Cristo stesso è descritto come sposo e madre, unendo così due immagini al fine di aprire ancora di più la metafora per giungere a toccare l’infinito amore di Dio.

Non vi è, quindi, una questione di generi, bensì il desiderio di voler descrivere la condiscendenza e la compassione del Dio rivelato, fondendo le metafore per dare all’ascoltatore una nuova emozione.

I mistici e le mistiche non vogliono affatto delineare una teologia al femminile né tanto meno creare una nuova ontologia.

Essi provano l’ardore divino che viene espresso nelle nostre, se pur povere, categorie umane. La loro esperienza di Dio viene prima di ogni tipo di linguaggio figurato.

L’amore è così totalizzante che si diffonde come quello di una madre che dà alla luce un proprio figlio. Dio in Gesù ama di un amore infinito tanto da provare il dolore e la morte per redimere la propria creatura.

Lo Spirito dell’amore spinge ogni credente ad essere unito a Cristo per entrare nell’amicizia del Padre. La via mistica esprime questo anelito e questa ascensione dell’uomo verso Dio.

Che conclusione dobbiamo trarre dal fatto che i mistici e le mistiche medievali parlino con un linguaggio sponsale e materno?

Asti: Dallo studio sul linguaggio mistico il lettore rifletterà sulla propria esperienza spirituale e sul modo di comunicarla. Spesso siamo freddi nei riguardi di Dio. Abbiamo la convinzione che è lontano e stanco della sua creazione. I mistici ci insegnano a parlare con Lui come una sposa fa con lo sposo o come un figlio fa con la propria madre.

La familiarità è vivere nella Chiesa nutrendosi dei sacramenti della vita per giungere un giorno all’incontro tanto sperato e atteso. Vivere dell’amore dello sposo o della madre significa tessere rapporti intimi e sinceri, testimoniare con la vita che Dio è vicino, anzi dà vita ad una grande famiglia in cui tutti compartecipano i propri doni.

La loro grande lezione consiste nel tentativo riuscito di realizzare la propria maturità in Cristo Gesù adoperandosi alla crescita ecclesiale e civile.

Uomini e donne lavorano insieme nella Chiesa per la comune edificazione. Questo è il messaggio che ci lasciano i contemplativi coscienti che nell’oggi si sperimenta la bellezza di Dio per gustare nel futuro la sua comunione.

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ZENIT Staff

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