"Dio valorizza quanto di vero, di buono e di bello c'è nell'uomo"

Durante l’Udienza Generale, Benedetto XVI mette in luce il rapporto fecondo tra fede e ragione

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di Luca Marcolivio

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 21 novembre 2012 (ZENIT.org) –È stata ancora una volta la fede cristiana, nel contesto specifico dell’Anno della Fede, l’oggetto della catechesi di papa Benedetto XVI durante l’Udienza Generale.

Ai fedeli riuniti stamattina in Aula Paolo VI, il Santo Padre ha ricordato che la scoperta delle verità su Dio non riguarda una semplice “informazione su di Lui” ma esprime un “incontro salvifico e liberante, che realizza le aspirazioni più profonde dell’uomo, i suoi aneliti di pace, di fraternità, di amore”.

L’incontro e la conoscenza di Dio “valorizza, perfeziona ed eleva quanto di vero, di buono e di bello c’è nell’uomo”. In tal modo l’uomo “scopre se stesso, la propria origine, il proprio destino, la grandezza e la dignità della vita umana”.

Un “sapere autentico” su Dio dona “sapore alla vita, un gusto nuovo d’esistere, un modo gioioso di stare al mondo”. La fede aiuta gli uomini ad essere “solidali, capaci di amare, vincendo la solitudine che rende tristi”, ha aggiunto il Papa.

La conoscenza di Dio non è un percorso solamente “intellettuale” ma “vitale”: si conosce “Dio-amore”, grazie al suo stesso amore che permette, quindi, di “conoscere tutta la realtà, oltre le prospettive anguste dell’individualismo e del soggettivismo che disorientano le coscienze”.

Toccati nel profondo dalla presenza dello Spirito di Gesù in noi, siamo in grado di superare “gli orizzonti dei nostri egoismi” e di aprirci “ai veri valori dell’esistenza”.

Esaurita questa premessa, Benedetto XVI si è soffermato sul concetto di “ragionevolezza della fede in Dio”. L’antica formula “Credo quia absurdum” (Credo perché assurdo), infatti, “non è una formula che interpreti la fede cattolica”.

Dio, per sua natura non può essere “assurdo”, semmai è un “mistero” tutt’altro che “irrazionale”, anzi caratterizzato da “sovrabbondanza di senso, di significato, di verità”.

“Se, guardando al mistero, la ragione vede buio, non è perché nel mistero non ci sia luce, ma piuttosto perché ce n’è troppa”, ha spiegato il Papa. È un po’ quello che avviene quando gli occhi umani, guardando al sole, “vedono solo tenebra”. Eppure il sole è indiscutibilmente “la fonte della luce”.

Attraverso la fede, l’uomo riconosce un grande miracolo: “Dio si è avvicinato all’uomo e si è offerto alla sua conoscenza, accondiscendendo al limite creaturale della sua ragione (cfr. Cost. dogm. Dei Verbum, 13)”.

Inoltre, Dio, con la sua grazia, “illumina la ragione, le apre orizzonti nuovi, incommensurabili e infiniti”, stimolandola a “cercare sempre, a non fermarsi mai e mai quietarsi nella scoperta inesausta della verità e della realtà”.

È falso, dunque, il pregiudizio di certi pensatori moderni, secondo cui “la ragione umana verrebbe come bloccata dai dogmi della fede”: i grandi maestri della tradizione cattolica, hanno dimostrato “l’esatto contrario”. Su tutti Sant’Agostino che, prima della conversione, “con tanta inquietudine”, cercò la verità, attingendo a tutte le filosofie della sua epoca, trovandole “tutte insoddisfacenti”.

L’esito delle vicende del santo vescovo di Ippona, dimostrano, tuttavia come egli sia diventato, insieme a tanti autori cristiani, “testimone di una fede che si esercita con la ragione, che pensa e invita a pensare”.

Intelletto e fede, quindi, non sono “estranei o antagonisti” davanti alla divina Rivelazione ma entrambi sono indispensabili “per comprenderne il senso, per recepirne il messaggio autentico, accostandosi alla soglia del mistero”.

Tra i continuatori di questa tradizione, Benedetto XVI ha citato Sant’Anselmo – secondo il quale “cercare l’intelligenza è atto interiore al credere” – e San Tommaso d’Aquino che, confrontandosi con le ragioni dei filosofi, mostrò “quanta nuova feconda vitalità razionale deriva al pensiero umano dall’innesto dei principi e delle verità della fede cristiana”.

In tempi più recenti è stato il Concilio Vaticano I (cfr. Cost. dogm. Dei Filius) ad affermare che “la ragione è in grado di conoscere con certezza l’esistenza di Dio attraverso la via della creazione, mentre solo alla fede appartiene la possibilità di conoscere «facilmente, con assoluta certezza e senza errore» (DS 3005) le verità che riguardano Dio, alla luce della grazia”.

Infine, il beato Giovanni Paolo II, nella Fides et ratio, scrive: “La ragione dell’uomo non si annulla né si avvilisce dando l’assenso ai contenuti di fede; questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera e consapevole”.

Nel Nuovo Testamento è in particolare San Paolo (cfr. 1Cor 1,18) a vedere nella Croce “non un avvenimento irrazionale, ma un fatto salvifico che possiede una propria ragionevolezza riconoscibile alla luce della fede”.

Il rapporto tra scienza e fede è decisamente prezioso e fecondo, al punto  che la scienza “è una preziosa alleata della fede per la comprensione del disegno di Dio nell’universo”, mentre “la fede permette al progresso scientifico di realizzarsi sempre per il bene e per la verità dell’uomo, restando fedele a questo stesso disegno”, ha aggiunto il Pontefice.

L’esortazione finale di Benedetto XVI è stata rivolta alla preghiera affinché “tutti ritrovino in Cristo il senso dell’esistenza e il fondamento della vera libertà”. Con la constatazione che è “ragionevole credere”, poiché “è in gioco la nostra esistenza”.

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ZENIT Staff

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