"Dio non si stanca di cercarci"

Durante l’Udienza Generale, papa Benedetto XVI medita sul desiderio di Infinito da parte dell’uomo, spesso fuorviato dalle ideologie secolariste

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di Luca Marcolivio

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 14 novembre 2012 (ZENIT.org) – La conoscenza di Dio è motivata in misura sensibile dal desiderio che l’uomo prova per il Divino, tuttavia è sempre l’iniziativa di Dio a precedere quella umana, ad orientarla, guidarla e illuminarla, pur nel rispetto della nostra libertà.

Lo ha affermato papa Benedetto XVI nel corso dell’Udienza Generale tenutasi stamattina in Aula Paolo VI. Con la catechesi odierna, il Pontefice ha proseguito il ciclo di riflessioni riguardante l’Anno della Fede.

Il Santo Padre ha quindi ricordato l’esperienza di Sant’Agostino: “Non siamo noi a possedere la Verità dopo averla cercata, ma è la Verità che ci cerca e ci possiede”. Le “vie” e i “segni” che possono condurci verso Dio sono tanti, sebbene spesso rischiamo di non coglierli, essendo “abbagliati dai luccichii della mondanità”.

Eppure Dio “non si stanca di cercarci” e ci è fedele “perché ci ama”. Si tratta, ha detto il Papa, di “una certezza che ci deve accompagnare ogni giorno, anche se certe mentalità diffuse rendono più difficile alla Chiesa e al cristiano comunicare la gioia del Vangelo ad ogni creatura e condurre tutti all’incontro con Gesù, unico Salvatore del mondo”.

Tale missione va vissuta “gioiosamente” e deve essere “segnata dalla carità, dal servizio a Dio e agli altri, e capace di irradiare speranza”. Ciononostante oggi la fede è “poco compresa, contestata, rifiutata”, sottoposta a “prove”.

Un tempo, in Occidente, la fede cristiana era “l’ambiente in cui ci si muoveva” e “il riferimento e l’adesione a Dio erano, per la maggioranza della gente, parte della vita quotidiana”. Pertanto era chi non credeva a dover “giustificare la propria incredulità”. Oggi, al contrario, è sempre più il credente a dover “dare ragione della sua fede”.

Nel corso degli ultimi tre secoli, dall’Illuminismo fino ai “sistemi atei”, la critica alla religione si è “intensificata” e Dio, in queste concezioni, è stato ridotto a una “mera proiezione dell’animo umano, un’illusione e il prodotto di una società già falsata da tante alienazioni”.

Il culmine di questa deriva secolarista è stato raggiunto nel secolo scorso, quando l’uomo, nell’illusione di una sua “autonomia assoluta” da Dio, si è impoverito del suo essere creatura “a immagine e somiglianza di Dio”.

Fenomeno parallelo e “particolarmente pericoloso” è l’“ateismo pratico”, in base al quale non si negano del tutto le verità della fede o i riti religiosi ma li si ritengono “irrilevanti per l’esistenza quotidiana, staccati dalla vita, inutili”. Si vive quindi etsi Deus non daretur, “come se Dio non esistesse”.

L’indifferentismo religioso, con la sua riduzione dell’uomo alla sua dimensione “orizzontale”, ha avuto “conseguenze tragiche” che vanno dai totalitarismi all’attuale “crisi dei valori”. Il relativismo, che trasmette all’uomo una “concezione ambigua della realtà”, finisce per legarlo agli “idoli”.

La Chiesa però non smette di “affermare la verità sull’uomo e sul suo destino”, al punto che lo stesso Concilio Vaticano II afferma: “La ragione più alta della dignità dell’uomo consiste nella sua vocazione alla comunione con Dio” (Gaudium et Spes, 19).

Le risposte che la fede è chiamata a dare all’uomo moderno sono fondamentalmente tre:

1) La prima riguarda il mondo. La bellezza del creato, secondo Sant’Agostino è un “inno di lode” a Dio e l’uomo deve recuperare la propria “capacità di contemplare”. “Il mondo non è un magma informe, ma più lo conosciamo e più ne scopriamo i meravigliosi meccanismi, più vediamo un disegno, vediamo che c’è un’intelligenza creatrice”, ha sottolineato il Pontefice.

2) La seconda risposta riguarda l’uomo che non deve mai smarrire la capacità di fermarsi e guardare in profondità in se stesso, riconoscendo la “sete di infinito” che porta dentro di sé. Come afferma il Catechismo della Chiesa Cattolica, aprendosi alla verità, alla bellezza, al bene, alla libertà e alla felicità “l’uomo di interroga sull’esistenza di Dio” (n°33).

3) La terza risposta concerne la fede, intesa come “incontro con Dio che parla e opera nella storia e che converte la nostra vita quotidiana, trasformando in noi mentalità, giudizi di valore, scelte e azioni concrete”. La fede, quindi, non è “illusione, fuga dalla realtà, comodo rifugio, sentimentalismo, ma è coinvolgimento di tutta la vita ed è annuncio del Vangelo, Buona Notizia capace di liberare tutto l’uomo”.

C’è un grosso equivoco che nasce da una “concezione limitata” della fede, ridotta “un mero sistema di credenze e di valori e non tanto con la verità di un Dio rivelatosi nella storia, desideroso di comunicare con l’uomo a tu per tu, in un rapporto d’amore con lui”.

Tuttavia, prima ancora che “morale” o “etica”, il Cristianesimo è “l’avvenimento dell’amore, è l’accogliere la persona di Gesù”, ha quindi concluso il Papa.

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ZENIT Staff

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