Dio non è il "concorrente della nostra esistenza" ma il "garante della grandezza della persona umana"

Durante l’Udienza Generale, Benedetto XVI affronta il tema della comunicazione del Vangelo nel nostro tempo

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di Luca Marcolivio

CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 28 novembre 2012 (ZENIT.org) – Come è possibile parlare di Dio nel nostro tempo? Intorno a questo interrogativo di primo piano, papa Benedetto XVI ha articolato la catechesi dell’Udienza Generale, tenutasi stamattina in Aula Paolo VI.

Comunicare il Vangelo per aprire i cuori della gente – spesso induriti – alla “verità salvifica” è un tema attuale in ogni epoca, tanto è vero che Gesù stesso, come affermano gli Evangelisti, “si è interrogato su questo” (cfr. Mc 4,30), ha ricordato il Papa.

Il Dio di Gesù Cristo, ha aggiunto il Pontefice, è una “risposta alla domanda fondamentale del perché e del come vivere”. Per intraprendere questo cammino è indispensabile “non temere l’umiltà dei piccoli passi e confidare nel lievito che penetra nella pasta e la fa misteriosamente crescere (cfr Mt 13,33)”.

Quando si parla di Dio, sotto la guida dello Spirito Santo, “è necessario un recupero di semplicità, un ritornare all’essenziale dell’annuncio: la Buona Notizia del Dio-Amore che si fa vicino a noi in Gesù Cristo fino alla Croce e che nella Risurrezione ci dona speranza e ci apre ad una vita che non ha fine, la vita eterna”.

Un esempio mirabile di questa semplicità è riscontrabile in San Paolo che afferma: «Quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso» (1Cor 2,1-2).

L’Apostolo delle Genti, quindi, “non cerca se stesso, non vuole crearsi una squadra di ammiratori” ma piuttosto intende “dare spazio a Colui che ce lo fa conoscere, che ci rivela il suo volto di amore”. Non siamo noi a “poter guadagnare gli altri a Dio, ma dobbiamo attenderli da Dio stesso, invocarli da Lui”.

Paolo comunica “apertamente e pubblicamente quello che ha visto e sentito nell’incontro con Cristo, quanto ha sperimentato nella sua esistenza ormai trasformata da quell’incontro”. L’Apostolo sente che Gesù è dentro di lui, è diventato “il vero orientamento della sua vita” ma è anche “necessario per il mondo” e “decisivo per la libertà di ogni uomo”.

Per poter parlare di Dio, bisogna “fargli spazio, nella fiducia che è Lui che agisce nella nostra debolezza” e bisogna farlo “senza paura, con semplicità e gioia, nella convinzione profonda che quanto più mettiamo al centro Lui e non noi, tanto più la nostra comunicazione sarà fruttuosa”.

Lo stesso principio vale per le comunità cristiane, “chiamate a mostrare l’azione trasformante della grazia di Dio, superando individualismi, chiusure, egoismi, indifferenza e vivendo nei rapporti quotidiani l’amore di Dio”.

In che modo, dunque, Gesù parla di se stesso e del Padre? Il suo approccio rivela uno “sguardo pieno di compassione per i disagi e le difficoltà dell’esistenza umana”. Dai Vangeli emerge un Gesù che “si interessa di ogni situazione umana che incontra, si immerge nella realtà degli uomini e delle donne del suo tempo, con una fiducia piena nell’aiuto del Padre”.

Da parte loro, i discepoli vedono nella parola e nell’azione del Maestro “l’azione dello Spirito Santo, l’azione di Dio”. Nell’Anno della Fede, ha aggiunto Benedetto XVI, sempre con l’aiuto dello Spirito Santo, sarà possibile scoprire “nuovi percorsi a livello personale e comunitario, affinché in ogni luogo la forza del Vangelo sia sapienza di vita e orientamento dell’esistenza”.

Il primo luogo privilegiato per parlare di Dio continua ad essere la famiglia. A tal proposito, ha ricordato il Santo Padre, “il Concilio Vaticano II parla dei genitori come dei primi messaggeri di Dio (cfr. Cost. dogm. Lumen gentium, 11; Decr. Apostolicam actuositatem, 11)”. Fare catechesi in famiglia significa anche “maturare una riflessione critica rispetto ai numerosi condizionamenti a cui sono sottoposti i figli”.

Elemento fondamentale nella comunicazione della fede è poi la gioia: si tratta di una “gioia pasquale, che non tace o nasconde le realtà del dolore, della sofferenza, della fatica, della difficoltà, dell’incomprensione e della stessa morte, ma sa offrire i criteri per interpretare tutto nella prospettiva della speranza cristiana”. Il dialogo e l’ascolto reciproco, indispensabili nei rapporti familiari, sono anch’essi un “segno dell’amore misericordioso di Cristo”.

Parlare di Dio, quindi, vuol dire trasmettere il messaggio che “Dio non è il concorrente della nostra esistenza, ma piuttosto ne è il vero garante, il garante  della grandezza della persona umana”, ha proseguito il Papa.

In definitiva, comunicare Dio, significa mettere in primo piano ciò che è veramente essenziale di lui: “il Dio di Gesù Cristo, quel Dio che ci ha mostrato un amore così grande da incarnarsi, morire e risorgere per noi”.

Il Dio cristiano è un Dio che “chiede di seguirlo e lasciarsi trasformare dal suo immenso amore per rinnovare la nostra vita e le nostre relazioni”. Lo stesso Dio che “che ci ha donato la Chiesa, per camminare insieme e, attraverso la Parola e i Sacramenti, rinnovare l’intera Città degli uomini, affinché possa diventare Città di Dio”, ha quindi concluso il Pontefice.

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ZENIT Staff

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