Dio ha inviato il suo Figlio a ricostruire in noi il suo Tempio

Commento al Vangelo di domenica 9 novembre – Dedicazione della Basilica Lateranense

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“Si avvicina la Pasqua dei Giudei”, e, profeticamente, il Vangelo di questa Domenica rivela quello che Gesù avrebbe compiuto nella sua Pasqua: “ricostruire il Tempio”. Luogo santissimo della presenza di Dio sulla terra, frammento del Paradiso perduto offerto agli uomini per convertirsi e ritornare alla comunione con Dio era diventato un “mercato”: non serviva più, anzi, era stato trasformato in un’occasione di inciampo per i piccoli, i poveri, i peccatori.

Gesù, divorato dallo zelo divino, sapeva che vi doveva entrare per dedicarlo nuovamente a Dio. Era la missione che il Padre gli aveva affidato: attirare su di sé l’ira dei farisei e dei capi del Popolo per poter coagulare sulla sua carne i peccati di ogni uomo.

Accadde nel Tempio come alla centrale nucleare di Fukushima devastata dallo tsunami. Per bloccare la fuoriuscita di liquido altamente radioattivo vi doveva entrare qualcuno. Per salvare la popolazione giapponese e non solo essa, era necessario che un tecnico si offrisse volontariamente alla morte. Non c’era altra soluzione.

Allo stesso modo Gesù doveva entrare nel Tempio per sanare la ferita inferta dall’inganno del demonio, dalla quale sgorgava il gas letale che stava infettando il cuore del Popolo. Tra tutte le sue menzogne, la più subdola è quella che si infila nelle cose sante.

Fin da principio, infatti, il serpente ha preso di mira la religione, ovvero il rapporto con Dio, per indurre l’uomo a tagliare con Lui. Ha preso spunto dalla Parola di Dio, per sedurre chi a Dio apparteneva.

Per questo Gesù affronta il demonio nel Tempio dove, astutamente, il demonio aveva sparso i suoi fumi velenosi. Doveva smascherarlo dove nessuno era stato capace di riconoscerlo. Il mercato di animali era necessario per il culto, i cambiavalute offrivano un servizio indispensabile all’adempimento delle prescrizioni della Legge. Era difficilissimo vedervi l’opera del nemico.

Come accade anche a noi, nella nostra vita, nella famiglia, nelle nostre parrocchie e comunità. Chi è capace di “rovesciare” l’apparente religiosità per smascherare chi ci sta prendendo anima e vita? Solo Cristo, e chi a Lui è legato intimamente e da Lui inviato come apostolo.

Io? Tu? I nostri parroci? Forse no. Noi siamo quelli accomodati dietro i tavoli a commerciare le cose sante, preghiere per ottenere miracoli, e offerte in cambio di Grazie e guarigioni. Intendiamoci, nulla di male in tutto questo, anzi, come nel compimento delle prescrizioni della Legge. Il male è nella perversione del cuore, nel tentare Dio per comprarlo e obbligarlo a compiere la nostra volontà.

La purezza della religione, infatti, si vede nella capacità di obbedire a Dio ed entrare nella storia che Lui ci presenta. Se non possiamo e cerchiamo di scappare dalla Croce significa che il nostro cuore è corrotto e il Tempio si sta sgretolando. Anche se ci difendiamo con la Legge, anche se appariamo giusti all’esterno.

Creato come suo Tempio, l’uomo è stato “dedicato” a Dio per far risplendere la sua immagine somigliante nell’universo come in una inesausta liturgia di lode.

Ma cedendo alla menzogna del demonio i progenitori hanno distrutto il Tempio che Dio aveva costruito in loro. E sono stati condannati a vivere lontani da Lui, raminghi ed esuli; altro che liturgia, a causa del peccato la vita si era trasformata in un anticipo dell’inferno: sudore, concupiscenze e divisioni avevano preso il posto dei canti, delle lodi e delle preghiere.

Anche la nostra vita spesso assomiglia più a un coro di voci stonate e senza armonia. Non sappiamo sintonizzarci sui sentimenti e i bisogni di chi ci è accanto. Come Adamo ed Eva abbiamo chiuso i nostri orecchi alla voce di Dio perché la disobbedienza ci ha spinto lontano dalla sua “cattedra”. Non è Dio il nostro Maestro, un altro ne ha usurpato la cattedra…

Ma quanto dura è la legge imposta dal demonio, quanto corrotto il suo insegnamento: precetti esigenti per essere sempre cool, menzogne come lacci tesi a legare le persone; sotterfugi e compromessi per non perdere l’affetto degli altri. E peccati, i sette peccati capitali con i quali ci illudiamo di saziare la fame che non smette un secondo di gridarci dentro.

E invece “distruggono” il Tempio, come accadde a quello di Gerusalemme sotto la furia dei pagani. E anche in noi l’abominio della desolazione, l’idolo del nostro io, l’orgoglio smisurato, siede usurpando la cattedra riservata a Dio.

Ma Dio non ci ha dimenticato! Non può resistere nel vederci crollare sotto i colpi del demonio, del mondo e della carne. Ha compassione e le sue viscere di misericordia ardono di gelosia. Per questo anche questa Domenica invia il suo Figlio a “ricostruire in noi il suo Tempio”.

E compie nella nostra vita ciò che fece quel giorno al Tempio di Gerusalemme, quando prese una “sferza di cordicelle”, in greco phragellion, ovvero il flagellum romano, termine che significa allo stesso tempo corda e dolori, in particolare quelli del parto. E cominciò a seminare terrore, come annunciato dai Profeti e come anche la tradizione rabbinica immaginava l’avvento del Messia.

Per questo i Giudei non si stupirono del gesto in sé, ma, indignati, chiesero a Gesù “il segno” che legittimasse il suo “fare queste cose”, e certificasse che Lui era il Messia. E Gesù, rispose annunciando l’unico segno, la sua Pasqua, con cui avrebbe dedicato il Tempio all’autentica lode nell’unico e valido sacrificio: il flagello che brandì durante la loro Pasqua, avrebbe lacerato le sue carni, per perdonare ogni uomo e riconsegnargli una carne purificata e capace di amare.

La traduzione letterale dal greco, infatti, recita così: “sciogliete” il “Santo dei Santi” e lo farò “sorgere” in “tre giorni”. Lui è il cuore del Tempio, il Luogo della Presenza dove era custodita l’Alleanza. In esso aveva accesso una volta all’anno il solo Sommo Sacerdote, nel giorno solenne dello Yom Kippur, il giorno del perdono e dell’espiazione. Vi entrava pronunciando il Nome del Dio Altissimo, nel quale ogni peccato era perdonato. Il velo che divideva il Santo dei Santi dal resto del Tempio precludendone l’accesso fu squarciato in due, letteralmente “sciolto”, al momento della morte del Signore.

Oggi Gesù entra nella nostra vita allo stesso modo. La sua Parola, come un “flagello”, penetra ben oltre l’epidermide della nostra religiosità, e rompe il “velo” d’ipocrisia che nasconde il marcio che cova nel cuore, destinato da Dio a custodire la sua presenza.

E proprio lì, nel fondo nascosto del nostro intimo, come nella centrale di Fukushima, sana la nostra ferita con il balsamo della sua misericordia, togliendovi la malizia che il demonio vi ha deposto.

Così Gesù, attraverso la Chiesa, ci attira nella sua Pasqua: con i sacramenti che ci uniscono a Lui, perché con Lui venga “distrutto” il corpo che ha peccato, e “ricostruito dopo tre giorni il Tempio del suo corpo” in noi, l’uomo nuovo che rinasce dalla Grazia. “Sciolti” dal peccato, potremo fare della nostra vita una liturgia di santità.

Celebriamo oggi la “Dedicazione della Basilica Lateranense”, la Cattedrale di Roma. In essa il Papa siede sulla sua cattedra, da dove, con il suo magistero, presiede la Chiesa nella carità e pasce il gregge di Cristo.

Ma celebriamo anche la nostra vita “dedicata” nuovamente a Dio, per obbedire alla Parola di Dio che ci annuncia la Chiesa. Non siamo più pecore senza pastore, in noi vi è la cattedra di Cristo che ci guida e ci insegna a compiere la volontà di Dio.

Come nel Rito della dedicazione di una Chiesa, anche noi, unti dello Spirito nel quale Gesù si è offerto al Padre, diveniamo altari consacrati per dedicare a Dio nella carità la nostra vita: ogni relazione, ogni attività è come un’eucarestia dove offrirci a chi ci è accanto.

Siamo chiamati a vivere il matrimonio, il fidanzamento, il lavoro, le amicizie, lo studio come un culto spirituale, elevando al Cielo la lode
e il rendimento di grazie per l’amore che ci ha salvato. E’ questo il “segno” atteso da ogni uomo per credere che il Salvatore è davvero arrivato.

La Chiesa, infatti, è il Corpo benedetto di Cristo dedicato a Dio che si offre come uno scudo di carne a raccogliere i flagelli destinati ad ogni generazione. Nell’insulto che oggi ci toglierà l’onore; nella calunnia che ci metterà alla berlina; nella ribellione del figlio; nell’incomprensione del coniuge; nella tentazione della concupiscenza; nella malattia che ci indebolisce; nei fallimenti della missione; in tutto, si nasconde il flagello geloso di Dio che, da un lato ci purifica giorno dopo giorno, e dall’altro lacera il nostro corpo perché il mondo, il prossimo e anche il nemico, abbia accesso alla vita.

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Antonello Iapicca

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