“Dio è amore” in Benedetto XVI e nell’arte

Una suora di clausura commenta la “Deus caritas est”

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ROMA, giovedì, 26 gennaio 2006 (ZENIT.org).- L’enciclica “Deus caritas est” ha suscitato numerose suggestioni poetiche. Per approfondire gli aspetti artistici del testo, ZENIT ha intervistato suor Maria Gloria Riva, delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, autrice del libro “Nell’arte lo stupore di una Presenza” (edizioni San Paolo).

Cosa suggerisce la lettera enciclica “Deus caritas est”?

Suor Maria Gloria: Che Luce e amore sono una cosa sola. Passando da Aristotele a Dante il Papa, nella sua prima enciclica, disegna il percorso dell’amore dall’eros a quella caritas divina che Cristo ci ha rivelato in pienezza. Un tema affascinante che da sempre ha conquistato l’uomo. Anche il nostro tempo, che pure l’ha così sciupato – come osserva il Papa –, subisce il fascino dell’amore e ha bisogno di ritrovare questo sentimento primordiale nella sua integrità, ha bisogno di purificarlo.

Tra le innumerevoli rappresentazioni artistiche dell’amore, quale sceglierebbe per spiegare questa enciclica?

Suor Maria Gloria: Nell’arte il mistero dell’amor che move il sole e della luce eterna che nel volto umano del Cristo trova la perfetta sua manifestazione è stato magistralmente raffigurato dal beato Angelico, il quale, proprio seguendo la lezione di Dante, ha dipinto ne Il Giudizio Universale i beati come figure garbate e danzanti ai piedi della luminosa mandorla del Cristo (www.abcgallery.com/A/angelico/angelico39html).

La bellezza del loro movimento contrasta con la scompostezza dei dannati che, sul lato opposto della scena, fuggono dagli artigli degli spiriti infernali. Contrasta ancor di più con l’immobilità di quanti, avendo amministrato male il dono dell’eros, sono costretti dentro ai gironi infernali. Non si tratta di una grossolana classificazione del mondo tra buoni e cattivi, ma di una profonda meditazione sulla logica conseguenza di ciò che si sceglie nella vita. Chi vive nell’amore-che-si-dona danza la vita, chi vive nell’amore-per-sé si condanna alla solitudine.

L’armonia leggiadra delle figure dell’Angelico dicono quanto l’amore per la forma e la corporeità regni da sempre nella Chiesa. Eppure la bellezza di questi corpi viene deturpata proprio quando è scelta come assoluto. Senza la fede – osserva ancora il Papa – cadiamo nel caos, la sola razionalità neutra non è in grado di proteggerci. Abbiamo bisogno di una fede che si nutra di una visione-comprensione capace di trasformare la nostra vita. Non è forse per questo che Dio ha assunto un volto umano?

Un artista che ha cercato di dipingere la confusione dell’uomo di fronte all’eros ed all’amore è il fiammingo Hieronymus Bosch…

Suro Maria Gloria: Mi viene in mente il Giardino delle Delizie di Bosch (www.abcgallery.com/B/bosch/bosch62.html), che tanto ha scandalizzato gli uomini del Seicento. Al centro del pannello sta l’uomo che si abbandona senza discernimento al suo piacere. Troneggia, sopra al caos delle coppie che si cibano avidamente di frutti come fragole e more (rimando simbolico all’unione sessuale), la fontana dell’adulterio. Il fiammingo Bosch dipinge nel cinquecento, ma il suo narrare è quanto mai contemporaneo. Questo godimento senza freni non ha sbocco, trascina l’uomo verso il regno incolore e senza luce della perdita di sé, della perdita di senso, descritto dall’artista nell’ultimo pannello. Così l’eros se non si converte in agape – annota ancora il Santo Padre – scade e rende infelice l’uomo.

Cristo non è contro l’eros ma nell’agape lo porta a compimento. Lo dice bene Bosch nel primo pannello del Trittico, dove ritrae la coppia primigenia così come è uscita dal pensiero del Creatore. Seguendo un’iconografia frequente nelle miniature, Bosch dipinge Adamo seduto e sveglio mentre attende in dono Eva. Dio Padre, il cui volto è quello del Cristo, gliela conduce compiacente. Dio ha santificato l’amore dell’uomo e della donna facendone la radice della perpetuità della creazione.

Qui è la pace, qui è l’unità dei due: unici non perché soli, ma perché irripetibili.

L’amore rende i molti unici e irripetibili. Lo pensava anche Michelangelo progettando l’immensa affrescatura della Sistina. La bellezza dei corpi, l’armonia delle forme, la storia della luminosa caritas nelle ombre dell’eros, è descritta come l’epopea di un popolo che, trovando nel Creatore la sua radice giunge alla sua realizzazione piena in Cristo. Cristo rivela all’uomo il suo destino ultimo: quello dell’Amore, un amore che ha spinto Dio ad assumere un volto umano, anzi ad assumere carne e sangue, l’intero essere umano.

Questo popolo oggi vive nella Chiesa e proprio lì, nella Sistina, celebra il suo rinnovamento e il suo miracoloso esserci nella storia come riflesso permanente della beltà di Dio.

[Per approfondimenti sul tema, Suor Maria Gloria consiglia la visione de:

Il volto del Dio Amore in una scultura della cattedrale di Chartres,

Il mistero della Chiesa in Raffaello,

La donna come dono,

Amore umano e amore divino nelle tele di Chagall sul Cantico].

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ZENIT Staff

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