Dinanzi alla crisi, riscoprire il concetto di "cura"

Imprese for profit e no profit devono preoccuparsi del benessere collettivo, al fine di massimizzare la qualità della vita delle persone che possono così godere di una iniziativa, di un servizio, a livello di comunità

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Il nostro Paese, come tutti i Paesi deboli dell’area euro, in forte sofferenza sociale e morale a causa della crisi, la più lunga dal 1929, ha bisogno di recuperare il concetto di “cura”. Concetto che, a sua volta, ne richiama un’altro: quello di amore in senso di philia (greco).

Già il grande poeta latino Orazio (65-8 a.C.) osservava con finezza: “La cura è compagna permanente dell’uomo”. Ma il vero concetto di prendersi “cura” dell’altro a cui faccio riferimento, è quello dell'”I care”, che don Milani aveva appeso alla scuola di Barbiana, che significa “mi sta a cuore”, “mi riguarda”.

Attenzione, il concetto di “cura” non deve declinare il solo sentimento o l’emotività, ma deve “abbinarsi” sia con la responsabilità verso gli altri e il bene comune, sia in termini economici. Riguardo a quest’ultimo punto, bisogna ricordare che tutti noi in maniera diretta o indiretta spendiamo il 75% del nostro tempo in luoghi di natura economica. Fenomeno meglio conosciuto come “biocapitalismo”.

Per affrontare in maniera civile questa crisi dobbiamo rielaborare la cultura ontologica che coniuga tutto questo tempo (dal fare impresa  alle università, dal supermercato alla banca), in maniera tale che la “cura dell’altro”, per il bene comune, renda il Paese più civile.

Questa affermazione che può apparire forse anche un po’ banale, deve essere invece ai primi posti dell’agenda del Paese. Il discorso si rivolge in maniera particolare agli imprenditori for profit e no profit, i quali devono porsi tra i loro obiettivi la preoccupazione nei confronti del benessere collettivo al fine di massimizzare la qualità della vita delle persone che possono godere così di una iniziativa, di un servizio, di un bene, a livello di comunità. Difatti, come dimostrano i vari premi Nobel per l’economia, uno fra tutti Amartya Sen, la vera crescita di un Paese non viene solo dal Prodotto interno lordo (Pil), ma anche e sopratutto dal capitale civile.

L’impresa civile (profit e no profit) ha da sempre posto questo concetto come elemento fondamentale di fare impresa. Il benessere sociale è infatti una preoccupazione specifica per le imprese civili. Per queste imprese, la dimensione responsabile al benessere sociale non si declina solo con le donazioni, un sostegno una tantum a cause sociali, ma diviene una scelta strategica, parte integrante della cultura e della prassi del management dell’impresa stessa.

La cultura e la responsabilità verso il benessere si configura quindi come una leva per l’impresa che fonda la propria competitività sulla crescita del capitale civile del territorio dell’impresa. Quindi la qualità e la sostenibilità di una impresa richiede un territorio con elevate infrastrutture umane e tecniche. 

La Responsabilità civile d’impresa prevede dunque una partnership tra le imprese profit e le Istituzioni no profit, quale espressione di una modalità “ordinaria” di partecipazione al prendersi “cura” del mantenimento del benessere sociale mediante il sostegno di cause ritenute vicine e strategiche rispetto al business aziendale. La differenza rispetto all’erogazione liberale è già, dunque, nel rapporto di responsabilità tra l’attività dell’impresa e la missione da raggiungere. Una cooperazione che presuppone, una relazione alla pari tra due soggetti.

Per attivare questo ‘circolo virtuoso’, l’individuazione dell’interlocutore, da parte dell’impresa civile, è strategica rispetto all’intero percorso. La convergenza tra gli interessi dell’impresa e quelli sociali necessita, per essere produttiva, di una cultura della cooperazione, dell’importanza d’investire nel capitale civile, di accordi di lungo periodo, che comprendano un range di iniziative comuni e interazioni tra i due partners, Oltre ad un impegno congiunto e la creazione di uno stile di comunicazione che, già nell’identità visiva, evidenzi le affinità di vedute tra i partners. Infine, ma non da ultimo, prevede meccanismi e criteri di valutazione dei risultati di valore sociale aggiunto prodotto.

Diverse sono le forme che le partnership tra imprese civili e Istituzioni no profit possono assumere: dalla cooperazione in obiettivi specifici, a forme di coinvolgimento dei dipendenti, da organizzazione di iniziative comuni all’interno dell’impresa, a meccanismi di sostegno a cause sociali tramite iniziative di related marketing o di payroll giving e donazioni. Questi sono solo alcuni tra gli esempi di “forme” di partnership. I benefici sono diversi e riguardano tutti gli attori coinvolti: aumento del capitale civile,  reputazionali, economici, legati al coinvolgimento e alla motivazione dei cittadini, dei dipendenti e dei volontari e via dicendo.

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Carmine Tabarro

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