Dialogo, “medicina preventiva più che curativa” degli scontri fra le religioni

L’arcivescovo Fitzgerald per i 40 anni del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso

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CITTA’ DEL VATICANO, venerdì, 14 maggio 2004 (ZENIT.org).- Alla luce dei conflitti che si impongono sempre più all’attenzione di tutta la comunità mondiale, l’arcivescovo Michael Fitzgerald, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, afferma che il dialogo, in una società attuale, come luogo di intreccio fra numerose culture, risulta essere un strumento efficace di prevenzione degli scontri fra le religioni, finalizzato alla promozione e al favorimento della pace nel mondo.

Quest’oggi in occasione dell’apertura dell’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, in corso fino al 19 maggio prossimo, e nel clima delle celebrazioni per i 40 anni della sua istituzione voluta dal Papa Paolo VI, l’arcivescovo Fitzgerald, ha rilasciato un’intervista a “Radio Vaticana” nella quale sottolinea “una nuova coscienza dell’importanza di questo dialogo”.

In particolare, l’arcivescovo nel ravvisare una ragione di questo nuovo stato di cose nel cambiamento del mondo, soprattutto occidentale, “diventato pluralista”, ha affermato che il dialogo “dà un’importanza a questi rapporti che devono essere stabiliti tra cattolici, tra cristiani in generale, e persone di altre religioni, anche per favorire la pace nel mondo”.

“E abbiamo visto questo con Giovanni Paolo II – ha poi chiarito il monsignore – che , seguendo l’impulso dato dal Concilio, ha invitato i capi religiosi ad Assisi nell’ottobre del 1986, per pregare per la pace”, la quale ha “avuto un impatto immenso sul dialogo con le altre religioni”.

Alla luce poi dello scenario internazionale fatto di “scontri che non sono necessariamente di origine religiosa ma che assumono una colorazione religiosa”, Fitzgerald ha chiamato a considerare il dialogo “un po’ come una medicina preventiva più che curativa”.

A suo avviso esso “dovrebbe rinforzare il legame tra le comunità religiose, affinché possano resistere agli elementi che vengono dall’esterno e che possono mettere queste comunità in conflitto le une con le altre”, ha in seguito chiarito.

In merito, invece, ad una sorta di interessamento generale dei politici alle religioni, considerato dal presidente del dicastero vaticano perlopiù come “una sorta di necessità di controllo”, l’arcivescovo ha commentato che esso “è, da un lato, positivo ma è anche un pericolo”.

“Noi non dobbiamo lasciarci manipolare da loro. Bisogna cercare di conservare una distanza critica dai governi – ha affermato –. Credo che noi dobbiamo essere la voce della giustizia nel mondo, e questo vuol dire anche criticare i nostri governi quando ce n’è necessità.

“E credo che le diverse religioni debbano parlare insieme quando è possibile, e questo sarebbe un vantaggio”, ha infine affermato il Presidente del Pontificio Consiglio formato da 46 Membri, 40 Consultori e un’equipe di 8 persone.

Nel rispondere alla domanda sulla possibilità di conciliare la necessità del dialogo con le altre religioni con l’urgenza pastorale dell’annuncio del Vangelo, l’arcivescovo ha infine affermato che il dialogo interreligioso “non è una preparazione all’annuncio di Cristo, ma non è opposto a questo stesso annuncio”, aggiungendo che esso è in più generale “un’espressione dell’amore di Dio per le persone” ed “una forma di rispetto per la loro libertà”.

“Dio non abbandona le persone; Dio invia il suo spirito alle persone, e lo spirito è attivo anche oltre le frontiere della Chiesa e quindi quando entriamo in dialogo con persone di altre religioni, troviamo tra di loro già l’effetto dello Spirito Santo: nei loro cuori ma anche nelle loro tradizioni”, ha infine concluso.

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ZENIT Staff

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