A young religious sister or nun

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Diaconato al femminile o diaconia della Chiesa?

Un dilemma antico quanto il cristianesimo, riemerso sulla scia del Concilio Vaticano II

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Con la nomina della commissione che dovrà riflettere sul tema del diaconato al femminile, riprende anche un dibattito in verità mai sopito, che oggi più che mai necessita di essere accompagnato da un sereno discernimento.
L’entusiasmo mediatico con cui questa notizia è stata accolta e i commenti di quanti leggono questa prospettiva mediante una sapienza umana, cioè come occasione di rivalsa della donna o di una parità finalmente raggiunta, disperdono il reale valore della questione e allontanano da una riflessione utile e feconda.
Si tratta infatti di una questione non nuova che non può dipendere dalla sensibilità dell’onda mediatica che sospinge e poi si ritrae, suggerisce e poi dimentica e soprattutto non lascia alcun segno dopo il suo passaggio.
Così, se è da salutare con grande favore la disponibilità del Santo Padre per approfondire tale questione, potrà essere altresì utile interrogarsi sulla percezione ecclesiale di questo percorso che si apre.
Con rigorosa acribia e con umile e mite preghiera si dovrà discernere se la questione del diaconato al femminile sia il riflesso delle attuali attese e problematiche ecclesiali o sia la risposta all’ascolto della voce dello Spirito. Detto in altro modo: cosa serve alle nostre Chiese? Cosa chiede lo Spirito?
Se quindi non si parte dal diaconato al femminile ma dalla diaconia di Cristo, si potrà favorire un dialogo che non cada nel tranello del vuoto e infecondo scontro di visioni. Centrata su Cristo, la diaconia esprime il modus vivendi dei suoi autentici discepoli. Essa vive da sempre nella Chiesa a partire dalla sua triplice scansione: l’annuncio della morte e resurrezione di Gesù (diaconia kerigmatica), il dialogo con il mondo e con la storia (diaconia profetica) e anche la stessa trasmissione della fede mediante l’insegnamento (diaconia didascalica).
Tre operazioni o diaconie che per essere autentiche richiedono che il discepolo non separi il servizio dalla sequela di Cristo, come Egli stesso volle indicare ai suoi: “Chi mi vuol servire mi segua” (Gv 12,26). La diaconia nasce dunque dalla sequela di Cristo, non si nutre di auto candidature o autoreferenzialità e non ama un eccessivo sbilanciamento sul fare. Diaconizzare non significa semplicemente fare qualcosa. C’è infatti un fare sterile, anche quello apparentemente compiuto nel nome di Gesù (Mt 7,21ss) e invece un fare fecondo in una “santa inconsapevolezza” (Mt 25,13ss).
Per tutti potranno essere di giovamento e conforto le parole dell’Apostolo San Paolo: “Anch’io, fratelli, quando venni tra voi, non mi presentai ad annunciarvi il mistero di Dio con l’eccellenza della parola o della sapienza. 2Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso. 3Mi presentai a voi nella debolezza e con molto timore e trepidazione. 4La mia parola e la mia predicazione non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, 5perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio (1Cor 2,1-5)”.
C’è una forza intrinseca nell’annuncio e quindi nella diaconia della Parola. Ricordava don Giuseppe Dossetti: “La trasmissione della fede non ha bisogno né delle persuasioni, né dei discorsi, né degli argomenti dotti e neppure delle operazioni prodigiose, e che manifesta, se mai, la potenza dello Spirito Santo che è in essa proprio, portando gli altri alla fede, e a una fede che si fonda non sulle argomentazioni e nemmeno sui prodigi, ma su questo contatto di Spirito. Dobbiamo crederlo!” (G. Dossetti, La parola di Dio seme di vita incorruttibile, 71).
E quindi procedendo dalla diaconia in Cristo del discepolo e dunque della Chiesa e focalizzando l’attenzione su quest’ultima, si scorge un’indole tutta al femminile, una diaconia materna, come rileva don Giuseppe Bellia, forse ancora da scoprire: “La diaconia della Chiesa è associata all’opera di servizio della Chiesa/corpo di Cristo, della Chiesa/sposa, e perciò ha, o dovrebbe avere, un timbro e un’intensità al femminile, fatta di dedizione generosa e discreta, come ci mostra l’impegno instancabile e perseverante di molte donne nella vita della Chiesa, ancora in gran parte da riconoscere e rivalutare come esemplarità di servizio umile e fecondo” (G. Bellia, Servi di chi. Servi perché. Piccolo manuale della diaconia cristiana, 99).
I Vangeli ci dicono inoltre che alle donne è dato ciò che è concesso anche ai discepoli, a partire dall’insegnamento. Maria, sorella di Marta, ha scelto la “parte buona” e ascolta Gesù e il suo insegnamento, e ancora il vangelo di Marco assegna proprio alle donne i tre verbi che descrivono il discepolato: “seguire”, “servire”, “salire con Lui” (cf. Mc 15,40-41). Le donne seguono e servono Gesù fino alla croce, e sono considerate discepole.
C’è allora una diaconia al femminile nelle comunità cristiane dei primi secoli, e con studio e preghiera, si dovrà comprendere se tale diaconia può esser considerata anche diaconato. Un’analisi biblica serena e non di parte, potrà evitare fenomeni di distorsione della Parola, e un approfondimento rigoroso e documentato dei dati storici, potrà giovare alla riflessione.
L’analisi delle due ricorrenze neotestamentarie, Rm 16,1-4 e 1 Tm 3,8-12, invita ad una certa cautela. Di Febe, è detto, “nostra sorella, diacono”, e cioè, formula maschile introdotta da un articolo femminile, mentre nel brano delle lettere pastorali si sta parlando delle spose dei diaconi. C’è dunque bisogno di studio. Si ricordi per esempio che la vicenda dei sette, di cui si parla in Atti degli Apostoli, non appare per nulla configurata in modo ministeriale e inoltre essi, non sono mai chiamati diaconi.
Sintetizzando i risultati degli studi sulla prassi e l’approccio delle Chiese dei primi secoli, sembrerebbero emergere scelte differenti tra Chiesa d’Occidente e Chiesa d’Oriente, nessun valore sacramentale per il diaconato femminile nella prima, sembrerebbe di sì nella seconda, a partire dalla testimonianza delle Costituzioni Apostoliche tuttavia un unicum a riguardo. Si tratta di una querelle molto nota agli studiosi: cheirotonia o cheirothesia? E cioè: Ordinazione sacramentale con epiclesi o solo benedizione? Tuttavia la vera questione, che ha sostenuto il dibattito dei teologi Martimort e Vagaggini, è di natura teologica: in che rapporto sta il diaconato femminile con il sacerdozio di Cristo?
Il Concilio Vaticano II, riscoprendo l’intima connessione tra Parola, Eucarestia e servizio è approdato al ripristino del diaconato nella Chiesa.

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Giovanni Chifari

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