Date ai bambini un pallone, ma state lontani dalle scommesse

Trasformare i campioni del cuore in testimonial di scelte sbagliate, vuol dire togliere ai giovani speranza e forse futuro

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«Un giornalista chiese alla teologa tedesca Dorothee Solle: “Come spiegherebbe a un bambino che cosa è la felicità?”. “Non glielo spiegherei” rispose. “Gli darei un pallone per farlo giocare”». Eduardo Galeano, scrittore uruguaiano noto per il suo sviscerato amore per il calcio, così ne descriveva la magia.
In Italia qualcuno ha pensato bene di fare affari pure con quella, affittando le maglie della Nazionale ad un colosso del settore delle scommesse, che così farà pubblicità al proprio marchio. Tutto ciò è lecito, probabilmente inopportuno, certamente opinabile. È già un controsenso che lo Stato, da un lato, vieti le slot machine mentre dall’altro incamera i proventi delle sale da gioco ma adesso si lascia colonizzare anche lo sport: siamo davvero arrivati ad un punto di non ritorno.
La sola idea di legare l’azzardo allo sport denuncia la distanza profonda che ormai separa la realtà sportiva dagli ideali a cui essa dovrebbe ispirarsi. Non si può certo ignorare che il mercato, con le sue regole, abbia già pervaso di sé quasi ogni aspetto della pratica sportiva, ma questa recentissima scelta squarcia anche l’ultimo velo: persino la metafora dello “sport scuola di vita” è ridotta a orpello ipocrita dietro il quale si cela l’idolatria del guadagno, costi quel che costi.
Però, di fronte a questo scenario non si può consentire che la coscienza batta in ritirata. Lo sport, diceva Coubertin, è un’attività fine a se stessa che non deve produrre nulla. È inutile? Forse, ma proprio per questo è preziosissima: è il luogo nel quale ci si mette liberamente alla prova per il solo gusto di scoprirsi migliori.
È sfida esigente con sé prima che con gli altri. È strumento privilegiato di formazione del carattere, oltre che del corpo. È occasione per oltrepassare i limiti. Più in generale, è parte di quella categoria che gli antichi Greci chiamavano “paideia”, cioè un processo di crescita, formazione, evoluzione personale: insomma, cultura. Inoltre, nell’esercizio fisico in cui si intrecciano corpo e anima è anche ascesi che richiede intelligenza, creatività. Come la musica è un linguaggio universale, secondo la definizione coniata da papa Francesco: una modalità di comunicazione che non ha bisogno di interpreti e la cui matrice profonda è il gioco, libera manifestazione di creatività, fantasia, potenzialità fisica e spirituale.
Resta da capire che cosa tutto questo abbia da spartire con la logica dell’azzardo, fatta di solitudine e passività. Sarà triste, in queste sere in cui i beniamini dell’Italia calcistica sono tornati e torneranno a calpestare l’erba degli stadi, pensare che presto sul loro petto campeggerà proprio l’invito all’azzardo, come se nella vita tutto fosse lecito o consentito o possibile.
Per molti giovani i calciatori in genere, figurarsi quelli della Nazionale, hanno un’importante funzione pedagogica, la stessa che genitori, educatori e i sacerdoti stanno perdendo un po’ alla volta. Trasformare i campioni del cuore in testimonial di scelte sbagliate vuol dire togliere ai bambini speranza, forse futuro e persino un pallone vero con cui giocare e crescere.

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Vincenzo Bertolone

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