Giving to the poor

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Dar da mangiare agli affamati: la prima opera di misericordia corporale

L’invito evangelico non chiede di saziare solo la fame materiale ma di sanare quel ‘morso allo stomaco’ che rappresenta il desiderio della misericordia di Dio

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La prima delle sette opere di misericordia corporale è dare da mangiare agli affamati, un gesto di carità che sempre ha bisogno di essere spiegato, compreso ed attuato, perché è alla base della vita dell’uomo sulla terra, ma al contempo racchiude un valore trascendente ed escatologico.
Il lavoro è stato da sempre il mezzo per procurarsi il cibo. Le parole di Dio ad Adamo sul lavoro sono una luce per comprendere il senso e il valore del lavoro, della fatica, del sudore, che non devono essere intesi come una forma punitiva, ma come strumento di riscatto umano per la riconquista di quella dignità perduta a causa del peccato originale, dell’orgoglio e della superbia umana.
Tutti i tempi della storia sono stati caratterizzati da forme di ingiustizia sociale che hanno determinato gravi squilibri nella distribuzione dei beni posseduti dalle persone. Questa situazione ha provocato uno sbilanciamento di ricchezze nella mani di pochi e di miseria nelle mani di molti.
Davanti a questa situazione di povertà, causata dal peccato di incredulità degli uomini che scelgono l‘accumulo dei beni come fine primario della loro vita, il Vangelo propone di diventare servi della misericordia, condividendo il pane con coloro che ne sono stati privati.
Dar da mangiare agli affamati non si esaurisce pertanto nel praticare un’opera antropologica, non significa compiere un atto di giustizia sociale fine a sé tesso, ma vuol essere anzitutto l’adempiere ad un’opera di fraternità che riconosce nel fratello bisognoso il volto del Dio sofferente che chiede di essere sfamato nella persona del povero.
Vi sono tante organizzazioni umanitarie che svolgono un prezioso servizio di sostegno verso i poveri del mondo, ma l’invito evangelico di dar da mangiare agli affamati ha un significato che trascende il gesto di carità materiale, perché non vuole saziare esclusivamente la fame materiale, ma desidera sanare quel ‘morso allo stomaco’ che rappresenta il desiderio di essere riempiti della misericordia di Dio.
Per questa ragione il significato biblico di dare da mangiare agli affamati ha da sempre assunto il duplice valore di condividere il cibo ed offrire una parola di vita e di speranza. Il nutrimento del corpo sazia l’anima solo quando è accompagnato dalla Parola di Dio ed ogni annunzio del Vangelo è accolto con gioia solo quando è accompagnato da gesti di carità materiale. La dignità umana, gravemente danneggiata dalle tristi condizioni di emarginazione e povertà, viene curata e sanata solo attraverso un benessere integrale della persona umana che necessita un sostegno materiale e spirituale.
Dar da mangiare agli affamati non significa allora compiere solo un gesto caritativa saltuario che risolve un problema temporaneo, che solleva la coscienza del donatore, ma lascia il bisognoso nello stato di necessità. Dare da mangiare significa creare quelle situazioni favorevoli per offrire la possibilità di trovare un posto di lavoro che permetta ad ogni uomo e donna di guadagnarsi il pane quotidiano per sé e la sua famiglia.
Questo è il motivo per cui la Chiesa propone una crescita economica diffusa in ogni paese della terra, affinché ogni uomo e donna non siano costretti ad emigrare per trovare quelle condizioni di vita umane e dignitose. La logica dei poteri del mondo, invece, cerca sempre di mantenere sacche di povertà per arricchirsi a loro spese, acquistando a basso prezzo le risorse naturali, sfruttando i lavoro offrendo bassi salari e creando quelle condizioni di instabilità politica che favoreggiano la formazione di regimi totalitari facilmente corruttibili.
Allo stesso modo, saziare la fame di Dio del cuore dell’uomo non può limitarsi ad offrire una sola volta una parola che sazia temporaneamente quel cuore stanco e debilitato. Ma chi sono gli affamati dei nostri giorni? Esistono vari livelli di povertà, di gente ‘scartata’ dalla società: i giovani esclusi dal mondo di lavoro, le famiglie che faticano ad arrivare alla fine del mese, gli anziani che vivono alla soglia della povertà con la loro misera pensione, i lavoratori precari che passano vari periodi senza lavorare, i padri separati costretti a ricorrere alle mense caritative, le madri lasciate solo con il loro figlio, i figli di genitori separati lasciati senza educazione ed affetto, e le tante persone disperate che hanno perso il senso della vita.
E non lasciamoci ingannare da coloro che propongono la riduzione delle nascite perché ritengono che il nostro pianeta non sia in grado di produrre il cibo sufficiente per sfamare tutti i suoi abitanti: la terra è generosa perché è dono di Dio. Le povertà, la fame e lo scarto sono un conseguenza della libertà dell’uomo quando accumula smisuratamente invece di distribuire i profitti equamente.
La dimenticanza della Parola di Dio conduce alla perdita della speranza. Per questo il primato della missione della Chiesa rimane sempre quella di predicare il Vangelo, perché accogliendo il regno di Dio ci sarà a sufficienza quel pane che, quando viene spezzato per condividerlo con i più poveri, si moltiplica soddisfacendo i bisogni materiali di ogni uomo e donna del pianeta.
Anche se i poveri ci sono sempre stati, ci sono oggi e ci saranno sempre, questo non ci deve scoraggiare ma spronarci a versare quella goccia di solidarietà nel mare dell’indifferenza, affinché possiamo contribuire personalmente e comunitariamente a ridurre il livello di povertà condividendo quello che si possiede, con la certezza che quello che viene donato al povero è un prestito fatto a Dio, il quale dona già nel presente il centuplo e nel futuro la vita eterna alla destra di Dio.

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Osvaldo Rinaldi

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