Dalla notte del buio al mattino della luce

Omelia di mons. Vincenzo Bertolone, arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nella Pasqua di Risurrezione del 2012

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di Eugenio Fizzotti

ROMA, sabato, 7 aprile 2012 (ZENIT.org).- Partendo dalla certezza che Cristo, consacrato dal Padre in Spirito Santo e potenza, è davvero risorto, Mons. Vincenzo Bertolone, Arcivescovo di Catanzaro-Squillace, nel corso della celebrazione della Pasqua ha tenuto una straordinaria omelia nel corso della quale ha messo in risalto la contrapposizione che gli evangelisti pongono tra il buio della notte e la luce del mattino nel racconto di Maria che da sola se ne va al sepolcro. Marco, infatti, quanto all’ora, annota: “Di prima mattina, quando già era sorto il sole”, mentre Giovanni dice che “era ancora buio”, pur essendo l’inizio dell’alba.

Tale differenziazione costituisce per Mons. Bertolone un richiamo alla realtà sistematica dell’uomo che procede ancora nel buio di una parziale conoscenza. Del resto già «Tommaso d’Aquino commentava che era un andare con il buio della “notte del dubbio”, a conseguenza del quale ci si ferma alle sole evidenze dei sensi, che vedono fino a un certo punto, quanto basta a raccogliere dati oggettivi. In questo caso, un cadavere (che non c’è più), il masso che è stato tolto; i teli che sono rimasti e il sudario, che è avvolto in un luogo a parte. Quanto basta a far insorgere dubbi, domande che – però – non trovano spiegazioni razionali».

Ovviamente l’esperienza profonda del cristiano fa maggiore riferimento al mattino che fa aprire gli occhi e permette alla mente di lasciarsi «illuminare dalla luce dell’Agnello della Pasqua eterna, in modo da essere in grado di credere e di comprendere, quindi di testimoniare, cioè di annunciare al popolo che Gesù è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio».

E per spiegare tale autentico e originale atteggiamento Mons. Bertolone fa riferimento a Maria di Magdala che corre da Pietro mentre costui, con l’altro discepolo, va diretto al sepolcro e si fa metafora di due popoli: «l’ebraico, cui è stata comunicata la salvezza (eppure si è ostinato a non vedere), e il popolo dei non credenti, che ha visto nel cosmo le tracce naturali del Creatore, ma non sa o non vuole scavare nel mistero. Tuttavia, come suggerisce l’apostolo Paolo, bisogna guardare il mistero non più con gli occhi di prima, non più con il lievito vecchio, né con quello di malizia e di perversione, bensì con àzzimi di sincerità e di verità (1Cor 5.6b-8)».

Ciò vuol dire che servono altri occhi che permettano di togliere il lievito vecchio e, facendo esperienza piena del “risuscitato da Dio il terzo giorno”, superano il buio e l’oscurità cercando di avere la meglio e individuano le risposte significative ai dubbiosi interrogativi, che non promettono nulla di buono.

Purtroppo la società contemporanea, e Mons. Bertolone lo riconosce con estremo realismo, «crede alla Resurrezione perché vede le tombe scoperchiate. Eppure, se non saremo capaci di rileggere e fare nostra la narrazione di questo evento centrale della fede, rimarremo come estranei ad esso. Al contrario, credere nella Resurrezione di Gesù è passare senza violenza in questo mondo di violenza, come ha fatto Lui; è rinunciare alle spese miliardarie di guerra e di morte nell’Africa stremata; è opporsi alle mafie; è stendere la mano all’avversario; è chiedere perdono al coniuge oppresso; è favorire e richiedere a gran voce interventi drastici contro la disoccupazione e l’emarginazione sociale, soprattutto rimuovendo una volta per tutte le cause originarie. È liberare dal potere del diavolo, come dice san Pietro, e dalla malattia, dalla morte e da tutto ciò che ne è effetto: miseria, fame, oppressione solitudine, disoccupazioni, egoismi».

L’appassionata e coinvolgente conseguenza della vera manifestazione di Colui che era morto, ma adesso vive, esige per il Vescovo di Catanzaro-Squillace «uno stile da testimoni, non da gente che si fa “i fatti suoi”, bensì da gente che sa riconoscere la luce del mattino, per mettere in fuga le ombre che persistono». Ciò vuol dire che la Risurrezione rompe gli schemi usuali e comporta una lettura attenta e profondamente comprensiva delle Scritture da cui scaturisce «un’intensa vita di fede, un’ininterrotta formazione catechetica, un confronto costante con i Pastori e i catechisti».

Del resto, essendo il centro essenziale della vita della Chiesa, la Resurrezione consente di comprendere in termini semplici e carichi di senso che da essa è nata la comunità dei credenti che, trovando la loro giusta e confortante risposta ai grandi interrogativi escatologici, tornano alle sorgenti di luce, amore e bellezza per poi spingersi verso chi è solo ed emarginato e mettono in pratica quello che già secoli fa suggeriva l’apostolo Pietro: «Siate pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. E questo sia fatto con dolcezza, rispetto e retta coscienza» (1Pt 3,15-16).

Ecco perché Mons. Bertolone invita tutti i fedeli della sua Arcidiocesi a non nascondere la fiaccola sotto il moggio, ma a lasciarla risplendere «davanti agli uomini perché vedano le loro opere buone» e attraverso uno stile di vita coerente, solidale e generoso, assicurino che la vittoria sulla morte è possibile e che, dopo di essa, sono attesi dalle braccia amorose del Salvatore che apre per loro l’orizzonte della vita eterna e li porta alla salvezza».

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ZENIT Staff

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