Dal “pastorale” alla pastorale

La spiritualità eucaristica del sacerdote diocesano

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di don Roberto Pedrini

ROMA, lunedì, 4 luglio 2011 (ZENIT.org).- “Credo la Chiesa, una santa, cattolica e apostolica”. A partire da questa professione di fede, papa Benedetto XVI ricorda spesso ai sacerdoti di essere adoratori e il fondamento dell’adorazione eucaristica sta prima di tutto nella sua forza intrinseca che permette al ministro di Dio di entrare realmente e maggiormente in comunione con il corpo di Gesù mangiato e assimilato nella celebrazione, riflettendola conseguentemente in tutta la sua azione pastorale.

Se “la fede della Chiesa è essenzialmente fede eucaristica e si alimenta in modo particolare alla mensa dell’eucaristia” (Sacramentum Caritatis n.6), la parola pastorale assume qui il suo significato più vero. Riconoscendo Gesù come il pastore “vero”, occorre fare buon uso del bastone del Pastore, col quale la Chiesa “protegge la fede contro i falsificatori, contro gli orientamenti che sono, in realtà, disorientamenti. Proprio l’uso del bastone può essere un servizio d’amore. Oggi vediamo che non si tratta di amore, quando si tollerano comportamenti indegni della vita sacerdotale. Come pure non si tratta di amore se si lascia proliferare l’eresia, il travisamento e il disfacimento della fede, come se noi autonomamente inventassimo la fede” (omelia di papa Benedetto XVI a chiusura dell’Anno Sacerdotale, 11 giugno 2010, festa del Sacro Cuore, tema sviluppato dal prof. Nicola Bux sulla rivista di apologetica “il Timone” di novembre 2010, p. 51). Ne deriva che qualsiasi azione pastorale senza l’eucaristia, diventa priva di senso e inefficace, se il fine ultimo è quello di promuovere e difendere la vera fede nel culto eucaristico. Se poi il sacerdote diocesano è collaboratore del vescovo, di colui che impugna il bastone nelle liturgie, pure al sacerdote è chiesto di saperlo impugnare subito a partire dal giorno dell’ordinazione presbiterale, in comunione con colui che è il successore degli apostoli.

Un bell’esempio di pastorale eucaristica è dato dal Trittico dei sette sacramenti, un dipinto di Roger van der Weiden, riportato nella sezione seconda della parte seconda del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, riguardo la celebrazione del mistero cristiano. Il trittico rappresenta una chiesa dove al centro si erge una croce, in fondo un sacerdote celebra la messa, la riattualizzazione del sacrificio della croce, mentre nelle cappelle laterali della chiesa si amministrano gli altri sacramenti come frutto del sacrificio redentore di Gesù in croce, a conferma che tutti i sacramenti sono ordinati all’Eucaristia “come al loro specifico fine” (S. Tommaso d’Aquino) (Compendio 250).

Proviamo a tenere davanti a noi lo sguardo su questo trittico, come un’ottima sintesi teologica sacramentale, e scopriremo che il sacerdote diocesano posto a capo di una comunità, non cederà più al rischio purtroppo di dover tristemente vivisezionare l’intera sua vita ministeriale costo la perdita della propria identità, sempre più lontano dagli altri, ma a partire dall’eucaristia degnamente celebrata e adorata, dalla quale fuoriescono i sacramenti dei fedeli, riuscirà di conseguenza a toccare anticipatamente e misteriosamente in unione con Gesù Cristo la vita attuale e futura di tutti quelli che gli sono e gli saranno stati affidati, perché ha vissuto l’eucaristia come fonte. La conseguenza invece di una degna celebrazione eucaristica vissuta come culmine, diventerà garanzia di efficacia per esempio nel campo della catechesi, perché il sacerdote ha saputo indicare alla sua gente il fine ultimo della vita cui guardare: pensiamo all’esperienza dei santi che non avevano bisogno di parole per evangelizzare, ma bastava guardarli come celebravano la messa, dal curato d’Ars a S. Massimiliano Maria Kolbe, da S Pio da Pietrelcina all’ormai beato Giovanni Paolo II! Non è quindi inopportuno parlare di pastorale eucaristica, con una seria presa di coscienza, cui far dipendere il frutto dell’evangelizzazione.

Anche l’esortazione apostolica Sacramentum Caritatis del 2007, nella prima parte sviluppa il tema dell’Eucaristia e i sacramenti, facendo emergere una preoccupazione, nella parte riguardante l’iniziazione cristiana, se veramente l’eucaristia gode della sua giusta collocazione: “A questo proposito, come hanno detto i Padri sinodali, dobbiamo chiederci se nelle nostre comunità cristiane sia sufficientemente percepito lo stretto legame tra Battesimo, Confermazione ed Eucaristia. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che veniamo battezzati e cresimati in ordine all’Eucaristia” (SC 17). In effetti nelle comunità parrocchiali si corre il rischio di mancare all’ “impegno di favorire nella prassi pastorale una comprensione più unitaria del percorso di iniziazione cristiana [..] Pertanto la santissima Eucaristia porta a pienezza l’iniziazione cristiana e si pone come centro e fine di tutta la vita sacramentale” (SC 17).

Di fronte a ciò, il sacerdote diocesano, si impegnerà su questo delicato punto della pastorale, impugnando (come dicevo) il pastorale o il bastone del successore degli apostoli, vale a dire il magistero stesso della Chiesa, che lo guiderà alla pratica dell’adorazione eucaristica, proprio all’interno di un percorso di iniziazione cristiana: “raccomando che nella formazione catechistica, ed in particolare negli itinerari di preparazione alla Prima Comunione, si introducano i fanciulli al senso e alla bellezza di sostare in compagnia di Gesù, coltivando lo stupore per la sua presenza nell’Eucaristia” (SC 67). papa Benedetto non si smentisce mai, ripensando al 15 ottobre 2005, anno dell’Eucaristia, a pochi mesi dall’elezione, dove ha guidato l’adorazione eucaristica davanti a una piazza S. Pietro gremita di bambini di prima comunione!

L’arcivescovo di Bologna, il cardinale Carlo Caffarra, riguardo poi l’educazione dei giovani si è così espresso: “educare il giovane significa portarlo a incontrare una persona viva, Gesù il Cristo Signore. Non dobbiamo dare per scontata questa direzione, specialmente oggi. E’ facile quindi vedere la centralità della celebrazione dell’Eucaristia e della sua adorazione. Tutti i grandi educatori hanno sempre educato i giovani a una profonda “devozione eucaristica” (C. Caffarra, “La scelta educativa nella Chiesa di Bologna”, documenti chiese locali 143, EDB 2008, p. 30).

Là dove i Padri sinodali al n. 20 della Sacramentum Caritatis si sono soffermati sulla perdita della coscienza del peccato, direttamente proporzionale a una certa superficialità nell’intendere l’amore stesso di Dio, in positivo il sinodo ha affermato invece quello che il sacerdote adoratore sperimenta per sé e per la sua comunità, che “l’amore all’Eucaristia porta ad apprezzare sempre più anche il sacramento della Riconciliazione” (SC 20), in forza del loro nesso intrinseco.

Esiste un altro sacramento di guarigione, l’unzione degli infermi: “ Se l’Eucaristia mostra come le sofferenze e la morte di Cristo siano state trasformate in amore, l’Unzione degli infermi, da parte sua, associa il sofferente all’offerta che Cristo ha fatto di sé per la salvezza di tutti, così che anch’egli possa, nel mistero della comunione dei santi, partecipare alla redenzione del mondo” (SC 22): chiarissima quindi la relazione tra questi sacramenti, a tal punto che il sacerdote adoratore non può essere indifferente di fronte al malato impossibilitato a ricevere l’Eucaristia sotto la specie o apparenza del pane. Provvederà a portare all’infermo anche il sangue di Cristo sotto le apparenze del vino.

A proposito, il rituale romano sul sacramento dell’unzione e cura pastorale (!) degli infermi, al n. 130 riguardo alla comunione ricevuta sotto forma di viatico, sottolinea: “Se un infermo non può ricevere la comunione sotto la specie del pane, gli si può dare sotto la specie del vino. In questo caso, se non si celebra la messa in casa dell’infer
mo, dopo la celebrazione si conservi nel calice, debitamente coperto e riposto nel tabernacolo, una quantità sufficiente del Sangue del Signore; per portarlo all’infermo, si usi un recipiente adatto e ben chiuso, in modo da evitare qualsiasi pericolo di versamento. Nel dare poi il sacramento, caso per caso si scelga il modo più adatto tra quelli proposti per la distribuzione della comunione sotto le due specie”. Il sacerdote avrà una cura particolare per quel fedele che sta per lasciare la vita terrena, per passare alla contemplazione del Pastore, nutrito dalla comunione sotto forma di quel viatico “che schiude all’infermo la pienezza del mistero pasquale” (SC 22).

Giunti a questo punto, non occorre dimenticare la potenza di guarigione proveniente dalla benedizione eucaristica, come è accaduto alla signora Marie Fabre guarita a Lourdes il 26.9.1911, all’età di 32 anni; appena ricevuta la benedizione eucaristica si sentì meglio, parlò e si alzò dalla barella: era il 40° miracolo riconosciuto l’8.9.1912.

Sul matrimonio, il sinodo ha ricordato papa Giovanni Paolo II che ha avuto più volte l’occasione di affermare il carattere sponsale dell’Eucaristia ed il suo rapporto peculiare con il sacramento del matrimonio: “L’Eucaristia è il sacramento della nostra redenzione. E’ il sacramento dello Sposo, della Sposa” (SC 27). A partire dall’Eucaristia il sacerdote riuscirà ad avere quella “massima cura pastorale raccomandata dal sinodo nella formazione dei nubendi e nella previa verifica delle loro convinzioni circa gli impegni irrinunciabili per la validità del sacramento del matrimonio”.

San Gregorio Magno, in una sua omelia, disse una volta che gli angeli, a qualunque distanza vadano con le loro missioni, si muovono sempre in Dio, sono sempre con Lui. Nel suo commento, papa Benedetto XVI, ad Altötting nel 2006, disse che S. Gregorio pensava anche ai vescovi e ai sacerdoti: ovunque vadano, dovrebbero sempre stare con Lui. “Stare con Lui e, come inviati, essere in cammino verso la gente; queste due cose vanno insieme e, insieme costituiscono l’essenza della vocazione spirituale, del sacerdozio”. Queste parole non lasceranno indifferente il sacerdote diocesano adoratore, il quale, quasi a coronamento della sua esperienza ministeriale, non temerà di tenere continuamente aperte le porte della sua chiesa perché il Santissimo Sacramento possa essere adorato da tutti, senza interruzione giorno e notte, realizzando quella meravigliosa pratica che prende il nome di adorazione eucaristica perpetua, come indicata nella Sacramentum Caritatis al n. 67.

In sintesi chi è il sacerdote diocesano? Ai partecipanti al convegno “Il compito dei presbiteri nella catechesi in Europa”, promosso dal Consiglio delle Conferenze Episcopali d’Europa, papa Giovanni Paolo II, l’8 maggio 2003, si è così espresso: “il presbitero, specialmente se parroco, è chiamato ad essere il primo credente”. E qui c’è veramente tutto!

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*Don Roberto Pedrini è parroco di Santa Maria Assunta di Lagaro (Bo).

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ZENIT Staff

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