Dal Medioevo una guida per l'«homo viator» (Prima parte)

Commento alla lettera pastorale di Benedetto XVI su Santa Ildegarda di Bingen

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di Massimo Introvigne

CITTA’ DEL VATICANO, domenica, 21 ottobre 2012 (ZENIT.org) – Qualche giorno fa è stata pubblicata la lettera apostolica di Benedetto XVI, datata 7 ottobre 2012, per la proclamazione di  santa Ildegarda di Bingen  (1098-1179) come dottore della Chiesa universale. I dottori della Chiesa sono santi canonizzati che il Papa o un Concilio propongono ai fedeli come maestri particolarmente qualificati della dottrina cattolica. Il titolo è raro,  dal momento che i dottori della Chiesa finora proclamati sono solo trentacinque. Ildegarda è la terza donna a ricevere questo titolo, dopo Teresa d’Ávila (1515-1582) e Teresa di Lisieux (1873-1897).

Il Pontefice è particolarmente affezionato a questa santa benedettina medievale tedesca, che ha spesso citato, e vale dunque la pena di tornare sulla lettera apostolica.

Dopo avere ricordato che il beato Giovanni Paolo II (1920-2005) ebbe a definire Ildegarda «luce del suo popolo e del suo tempo», Benedetto XVI osserva che «come per ogni autentica esperienza umana e teologale, la sua autorevolezza supera decisamente i confini di un’epoca e di una società» e s’impone a noi ancora oggi. La ragione è la «straordinaria armonia tra la dottrina e la vita quotidiana», ispirata alla Regola di san Benedetto (ca. 480-547) e accompagnata da una straordinaria «capacità di penetrazione delle realtà celesti».

Ildegarda, ricorda il Papa, nasce nel 1089 a Bermersheim in Renania, da genitori nobili. A otto anni entra come oblata nell’abbazia benedettina di Disibodenberg, e a diciassette anni emette la sua professione religiosa. Alla morte di Jutta di Sponheim (1092-1136), all’età di quarantasette anni  Ildegarda è chiamata a succederle in qualità di maestra delle novizie. La sua fama di santità attira così tante vocazioni che nel 1150 la comunità dovette dividersi in due. Ildegarda «fondò un monastero sul colle chiamato Rupertsberg, nei pressi di Bingen, dove si trasferì insieme a venti consorelle. Nel 1165, ne istituì un altro a Eibingen, sulla riva opposta del Reno. Fu badessa di entrambi».

Ma non si occupò solo dei suoi monasteri: «s’impegnò attivamente a rinvigorire la fede cristiana e a rafforzare la pratica religiosa, contrastando le tendenze ereticali dei catari, promuovendo la riforma della Chiesa con gli scritti e la predicazione, contribuendo a migliorare la disciplina e la vita del clero. Su invito prima di Adriano IV [1100-1159] e poi di Alessandro III [1100-1181] Ildegarda esercitò un fecondo apostolato — allora non molto frequente per una donna — effettuando alcuni viaggi non privi di disagi e difficoltà, per predicare perfino nelle pubbliche piazze e in varie chiese cattedrali, come avvenne tra l’altro a Colonia, Treviri, Liegi, Magonza, Metz, Bamberga e Würzburg».

Non è esagerato dire che – prima di morire nel monastero del Rupertsberg il 17 settembre 1179 – Ildegarda esercitò un influsso decisivo su tutta la cultura del suo tempo, «coinvolgendo in un incisivo rinnovamento la teologia, la liturgia, le scienze naturali e la musica».

La dottrina di Ildegarda si basa spesso sulle sue rivelazioni private, ma «è ritenuta eminente sia per la profondità e la correttezza delle sue interpretazioni, sia per l’originalità delle sue visioni. I testi da lei composti appaiono animati da un’autentica “carità intellettuale” ed evidenziano densità e freschezza nella contemplazione del mistero». «Il Signore l’aveva resa partecipe, fin da bambina, di una serie di visioni», che furono messe pr iscritto, e studiate e approvate da san Bernardo di Chiaravalle (1090-1153) e dal Papa beato Eugenio III (1145-1153). Ildegarda scrisse anche di medicina, scienza naturali, musica. «Il corpus dei suoi scritti, per quantità, qualità e varietà di interessi, non ha paragoni con alcun’altra autrice del medioevo».

Benedetto XVI cita come sue opere principali lo «Scivias», il «Liber vitae meritorum» e il «Liber divinorum operum». «Tutte narrano le sue visioni e l’incarico ricevuto dal Signore di trascriverle». Ma anche le sue Lettere, «nella consapevolezza delle stessa autrice, non rivestono una minore importanza e testimoniano l’attenzione di Ildegarda alle vicende del suo tempo, che ella interpreta alla luce del mistero di Dio». Ci sono inoltre cinquantotto discorsi o sermoni alle consorelle, le «Expositiones evangeliorum»,  «contenenti un commento letterale e morale a brani evangelici legati alle principali celebrazioni dell’anno liturgico». Ma andrebbero letti anche gli scritti sulla musica, con la «Symphonia armoniae caelestium revelationum»; sulla medicina, con il «Liber subtilitatum diversarum naturarum creaturarum» e il «Causae et curae»; sulle scienze naturali, con la «Physica»; sulla linguistica, con la «Lingua ignota» e le «Litterae ignotae», «nei quali compaiono parole in una lingua sconosciuta di sua invenzione, ma composta prevalentemente di fonemi presenti nella lingua tedesca».

[La seconda parte sarà pubblicata domani, lunedì 22 ottobre]

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ZENIT Staff

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