Dal Giubileo del 1950 a quello della misericordia

Una verifica dell’apostolato

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L’apertura del Giubileo della misericordia a cinquant’anni dalla conclusione del concilio Vaticano II vede in concomitanza la pubblicazione del volume Giuseppe Buffon, La Chiesa nello specchio del mondo. Il Concilio Vaticano II nella visione del centro pastorale per le missioni interne (1950-1970), Carocci Editore, Roma 2015, pagine 352. Un testo frutto di una approfondita ricerca che documenta come la predicazione del Vangelo è stato vissuto in uno dei paesi più secolarizzati, ossia la Francia, dal Giubileo del 1950 fino ai primi anni post conciliari. Quasi una cartina tornasole di quel panorama culturale di scristianizzazione che si trovano a vivere i paesi europei – e non solo – e delle varie modalità più o meno efficaci con cui è affrontato. Un libro ricco di spunti di riflessione perché l’apostolato – compreso quello giubilare – non sia solo efficiente ma soprattutto porti molto frutto che rimanga (cfr. Gv 15).

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Raccogliere la sfida di una missione in ambiti esterni alla parrocchia, di un’evangelizzazione fuori delle chiese, nei quartieri, negli ambienti lavorativi, persino in quelli di svago, è perciò condizione imprescindibile per adattare il messaggio all’evoluzione dei tempi, per compiere una vera attualizzazione della parola come richiesto dalla tessitura spirituale del kérigma. La missione della Parola come richiesto dalla tessitura spirituale del kérigma. La missione in chiesa, la predicazione sono allora complementari all’evangelizzazione fuori dagli edifici di culto. L’uditorio, infatti, non può essere considerato in termini dicotomici, perché il messaggio cristiano è unico: uno l’uditorio, una la Parola, una la missione! Anche i missionari, perciò, predicatori o laici, impegnati nell’annuncio e nella testimonianza, si devono sentire impegnati a condividere un’unica missione.

Sulla realizzazione di una vera unità di intenti e di un’autentica corresponsabilità è niente meno che l’integrità del messaggio a esser posta in gioco, l’integrità della Parola, l’integrità della comunità ecclesiale convocata dalla Parola.

Stimmatizzando quel predicatore che, serrato in un atteggiamento pigro e monotono, al pari di un venditore ambulante, trasporta la merce della sua retorica da un pulpito all’altro, manifestando scarsa attenzione alla peculiarità dell’ambiente sociale del proprio auditorio. Al contrario, per il predicatore la conoscenza dell’ambiente vale lo stesso che la conoscenza delle lingue per il missionario. […] privilegia una riflessione non tanto sulla forma quanto sul contenuto della predicazione, il cui oggetto deve essere soprattutto il ruolo che nel piano di salvezza viene riservato a Cristo e all’uomo che collabora con Dio nella realizzazione del Regno, «avendo come conseguenza la nostra gioia: in una parola, una religione proposta nei suoi aspetti positivi e benefici e secondo la prospettiva dell’amore misericordioso» […]«Non possiamo parlare di reclutamento di personale ma di diffusione di una visione della vita».

 

 

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ZENIT Staff

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