"Custodite integra la rettitudine della vostra coscienza"

Omelia del card. Caffarra per la Festa di S. Matteo Apostolo, Patrono della Guardia di Finanza

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Riportiamo di seguito l’omelia pronunciata questa mattina dal cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna, nella Messa per i militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Bologna, celebrata nella Basilica di San Francesco in occasione della Festa di S. Matteo Apostolo, Patrono della GdF.

*** 

Cari amici della Guardia di Finanza e non, si rinnova ogni anno questo sacro appuntamento. Esso avviene nella luce dell’apostolo Matteo, patrono della Guardia.

La pagina evangelica appena proclamata ci offre come due quadri: il primo riguarda Matteo; il secondo una cerchia più ampia di persone.

1. E’ la chiamata di un esattore di tasse a seguire Gesù. Benché la narrazione, come avviene di solito nei Vangeli, sia molto scarna, essa, se letta attentamente, rivela grande profondità. Vediamo i due personaggi in gioco: Matteo e Gesù. Matteo è intento al suo lavoro: «seduto al banco delle imposte». Un lavoro improbo, che lo rendeva odioso ai suoi concittadini.

E qui entra in scena il secondo personaggio: Gesù. Di Lui si dicono due cose: guarda Matteo; gli ordina di seguirlo. Che cosa disse al finanziere Matteo quello sguardo? Quale potenza, quale fascino esprimeva? Notate bene. Matteo è guardato dal Signore non mentre si trova nel tempio a pregare; o ritirato in casa a leggere e meditare la S. Scrittura. E’ guardato mentre sta svolgendo il suo lavoro.

Quale grande insegnamento! Il Signore può entrare nella nostra vita in qualunque momento. Può incontrarci in qualunque situazione. S. Agostino scrive: «timeo Dominum transeuntem» cioè: “temo che il Signore passi, ed io non me ne accorga”.

Ma Gesù compie una seconda azione. Chiama Matteo a seguirlo. E Matteo «si alzò e lo seguì».

Gli esattori delle tasse in Palestina al tempo di Gesù erano non solo poco amati, ma cordialmente odiati. Stante l’organizzazione fiscale nell’impero, essi rubavano; intascavano parte del denaro prelevato. Erano chiamati “pubblicani” anche, e peccatori.

Forse Matteo in quella scelta e chiamata di Gesù, nel suo sguardo, vide e sentì un amore quale mai aveva sentito. Vide che Gesù non faceva eccezioni di persone. E siamo così arrivati al secondo quadro evangelico.

2. La scena si allarga. Non è più qualcosa che avviene fra due: Gesù e Matteo. Avviene fra Gesù e «molti pubblicani e peccatori». Non durante, diremmo oggi, l’orario di lavoro, ma a tavola. Probabilmente Matteo ha invitato i suoi colleghi.

In questo contesto, Gesù fa una delle più alte rivelazioni del mistero di Dio, quale si manifesta nella sua persona e nel suo comportamento.

Quella tavola di pubblicani e peccatori seduti attorno a Gesù è il segno che Dio in Gesù non “va a cercare i sani, ma i peccatori”; non vuole “sacrifici, ma misericordia”. Questi è il Dio in cui crediamo: ricco di misericordia verso tutti coloro che si convertono a Lui con cuore contrito ed umiliato.

Forse durante quella cena, Matteo ha capito fino in fondo che cosa era accaduto nella sua vita: aveva incontrato la misericordia di Dio in Gesù.

Un grande scrittore ecclesiastico del VII secolo, il venerabile Beda, commentando la pagina del Vangelo, dice che Gesù si comportò verso Matteo «eligendo et miserando». Cioè: Gesù ha scelto Matteo per pura misericordia.

3. Gesù, narrano i Vangeli, ha incontrato un altro esattore di tasse, un altro pubblicano. Si chiamava Zaccheo. A diversità di Matteo, Gesù non lo toglie dal suo lavoro. In fondo, Zaccheo fu cambiato nel cuore.

Dunque il lavoro che fate è luogo di incontro col Signore, come ogni lavoro onesto. Il vostro poi è di particolare importanza perché è in ordine al bene comune.

Nel vostro lavoro voi fate incontrare il cittadino collo Stato sul terreno del denaro che il cittadino ha onestamente guadagnato. Se disonestamente, ha a che fare colla Magistratura penale.

Mentre negli scorsi anni mi sono messo piuttosto dalla parte del cittadino, meditando sui suoi doveri, credo non sia inutile mettersi oggi dalla parte dello Stato, e riflettere sui gravi doveri che esso ha.

Il sistema fiscale è parte cospicua del patto sociale, in forza del quale il cittadino ha il diritto di avere quei servizi pubblici, in ragione dei quali paga le tasse. E’ questo il principio fondamentale, da cui derivano alcune conseguenze, che mi limito ad enunciare.

a) Lo Stato viola il patto sociale e diventa ingiusto se non rende i servizi; oppure se questi sono di pessima qualità; oppure se i più poveri non sono ugualmente trattati nell’accesso ai medesimi.

b) Lo Stato viola il patto sociale e diventa ingiusto se i cittadini sono costretti, decidendo di esercitare un loro diritto fondamentale, a pagare due volte lo stesso servizio. Come avviene a chi esercita il diritto alla libertà di educazione dei propri figli.

c) Lo Stato viola il patto sociale e diventa ingiusto se la spesa pubblica, cioè l’uso di quanto i cittadini hanno versato al Fisco, è esorbitante. E’ una sorta di egoismo pubblico.

E’ una malattia terribile. La pur necessaria burocrazia, tende sempre a generare burocrazia. Un grande scrittore e poeta del secolo scorso, ha scritto: «tu hai cercato salvezza nell’organizzazione / che non può altro produrre che altra organizzazione». [P.P. Pasolini, Poesia della tradizione].

d) Lo Stato viola il patto sociale e diventa ingiusto quando la tassazione è talmente elevata da rendere impossibile la tutela e la promozione di beni umani fondamentali, quale il lavoro. Pensate, per esempio alle difficoltà in cui sono messe piccole e medie imprese.

Cari amici, fra voi vedo molti servitori dello Stato, cioè del bene comune. Conosco le difficoltà di questo servizio. Custodite integra la rettitudine della vostra coscienza: è questa la ricchezza più grande che possediamo, una ricchezza che nessuno può rubarci.

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ZENIT Staff

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