Cultura "gender" e Dottrina Sociale della Chiesa

Editoriale di Claudio Gentili, Direttore de “La Società”

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La Dottrina Sociale della Chiesa, nella sua concreta evoluzione storica e nella sua attenzione alle domande e ai bisogni che emergevano dalle diverse epoche (dalla questione operaia alla crisi finanziaria, dalla minaccia alla pace ai rapporti tra Nord e Sud del mondo), è stata sempre coerente con un’antropologia rispettosa della verità dell’uomo e del valore sociale del tema della vita che riguarda, non solo chi sarà chiamato a vivere, ma anche chi la vita la sta vivendo. Etica sociale e etica della vita stanno insieme e i valori non negoziabili riguardano la pienezza dell’umano dalla nascita alla morte.

La stessa Caritas in veritate è molto chiara a questo proposito (basta rileggere la seconda parte del n.51, il n.52, come pure il tema essenziale della categoria della relazione al n.53). La stessa coerenza che ha portato i documenti della Dottrina Sociale a occuparsi della pienezza dell’umano nella concretezza delle situazioni storiche e a difendere quindi i diritti sindacali, la responsabilità dei risparmiatori, i diritti dei poveri, le esigenze di emancipazione della donna, ecc…, oggi porta a mettere al centro dell’attenzione la cultura gender come minaccia alla pienezza dell’umano.

Lo ha fatto con un discorso memorabile Benedetto XVI nel discorso alla Curia del 21 dicembre 2012. Lo ha ricordato nella sua prolusione al Consiglio Permanente della Cei del mese di gennaio 2013 il Presidente della Cei, Cardinal Bagnasco. Ne è stato protagonista l’episcopato francese (di solito molto cauto sui temi della laicità) in occasione delle proteste contro il cosiddetto “matrimonio per tutti”.

La Dottrina Sociale della Chiesa oggi è una risposta efficace, non settaria, dialogica e efficace verso i temi posti dalla cultura gender che è ormai diventata cultura dominante. In un Paese che ha gravi problemi da affrontare, dalla giustizia all’istruzione, dalla disoccupazione giovanile alla crescita industriale, fa una certa impressione l’enfasi che è stata dedicata al tema del “matrimonio omossessuale”.

Attenzione, vi sono diritti inalienabili della persona e questi riguardano tutti. Ci sono numerosi paesi nei quali l’omosessualità è considerata reato. È evidente che questo è un tipico caso di discriminazione, che va combattuto. Come vanno combattute le diverse forme di discriminazione religiosa, razziale, etnica. Il rispetto della verità però, ci obbliga a non confondere legami personali di affetto e matrimonio tra un uomo e una donna. E soprattutto, di non cedere a quella forma di egualitarismo che vorrebbe cancellare la differenza sessuale.

La bussola si è completamente smarrita. La distinzione tra diritti e capricci è diventata sempre più labile. Oltre alla negazione della differenza sessuale come generativa di una nuova famiglia, la diffusione della cultura gender nel dibattito politico e sociale sta portando ad una vera e propria moltiplicazione dei generi. Dopo la conferenza sulla donna di Pechino, del 1995, il politicamente corretto ha ormai imposto la sostituzione dei due sessi (basati sulla biologia) con i 5 generi (basati sulla cultura): eterosessuali maschi e femmine, gay, lesbiche e transessuali.

Siamo il Paese che in Europa fa meno figli, che rasenta la crescita zero, che scoraggia in diversi modi la creazione di nuove famiglie “naturali”. E dove ci si separa per non pagare l’Imu  sulla seconda casa. La famiglia di riferimento è diventata quella della Disney, dove, notare bene, non ci sono mai un padre ed una madre, ma zii, nipoti, fratelli e “amici di famiglia”. La coabitazione come condizione sufficiente per formare un’unione familiare. Un diritto preteso, a prescindere, che si costruisce su una fumosa e pretestuosa relazione amorosa. Ma non c’è da sorprendersi, siamo lo stesso Paese in cui un comico è chiamato a spiegarci la Costituzione.

Cosa c’è dietro tutto questo? Il problema non è solo legato all’Italia e al dibattito politico nostrano. La questione è ben più seria e radicata nel cuore di uno scontro, ormai evidente, tra un relativismo che cavalca l’onda del populismo e la fede cristiana che si ispira alla pienezza dell’umano, all’ecologia umana e che trova nella DSC una bussola di riferimento in un tempo di smarrimento etico. Nella modernità liquida, c’è ancora qualcuno che apprezza la solidità dei riferimenti della DSC: il principio-persona, la sussidiarietà, la solidarietà, il bene comune. Principi che vengono capovolti dal politicamente corretto, che al posto della persona idolatra l’individuo, scambia la sussidiarietà per liberismo economico e libertinismo etico, confonde la solidarietà con il collettivismo, il bene comune con l’assistenzialismo.

Il tema del gender è una cartina di tornasole per comprendere la modernità liquida. Poiché dalla solidità del maschile e del femminile (“maschio e femmina li creò”) deriva la solidità della trasmissione della vita, il gender costituisce una vera e propria “anti-genesi”. I più autorevoli organismi internazionali (dall’ONU all’Unione Europea) hanno adottato i punti di riferimento della modernità liquida e hanno respinto i tratti caratterizzanti l’ecologia umana.

Si tratta di una grande opera di inquinamento, mascherata con la difesa dei diritti e la lotta contro le discriminazioni. Con la scusa dell’allargamento delle garanzie per prevenire il pericolo omofobia, ci si dirige verso una destrutturazione delle fondamenta su cui è costruita la famiglia umana. L’indifferenza di genere vista come nuova frontiera della colonizzazione consumistica. Ci troviamo di fronte ad una svendita della natura umana e alla promozione di una ricerca della felicità che si pone in antitesi con il disegno di salvezza. Ma la questione non rimane all’esterno della sfera dei credenti. Il contagio non ha mancato di penetrare il contesto ecclesiale, creando disorientamento.

Cosi, oggi, la teoria gender ha come scopo di rendere inattuale l’antropologia cristiana, e troppi “credenti della domenica” sono terribilmente deboli proprio nella conoscenza dell’ABC della visione cristiana dell’uomo e quindi fertile terreno di colonizzazione per le teorie alla moda. Così, oggi, è sufficiente essere una brava persona. Basta essere politically correct, per rispondere alle incessanti questioni della coscienza. E della morale. E così, anche tra i cattolici si è presa sottogamba la riflessione sul gender. Non a caso, esattamente nel 1995, lo stesso anno in cui l’ONU ha reso il gender nuovo pensiero dominante con la Conferenza di Pechino,l’Evangelium vitae, metteva in guardia sul fatto che la questione sociale diventava questione antropologica. Ma cosa può fare un cristiano oggi?

Il cristiano di oggi deve incarnarne la presenza, costante, che si apre comunque all’altro, al diverso, all’affamato di senso, all’assetato di verità. Il popolo cristiano deve ritrovarsi nell’ascolto e nell’azione condivisa. Per questo motivo la DSC è la bussola del credente e della persona di buona volontà che vuole essere significativo nel mondo di oggi e non subirne le deformazioni.

La Dottrina Sociale della Chiesa distingue nettamente uomo e donna. Padre e madre. In essa la famiglia nata sul matrimonio è la cellula vitale della società, una scuola di virtù, una palestra di relazioni, una fucina di sviluppo, un’arca di salvezza. La famiglia non è un fumetto di buoni sentimenti. La famiglia nasce da un atto drammatico, qual è il matrimonio, in cui due estranei si incontrano in uno stesso progetto di vita, mettendo in relazione le loro differenze, che in primis sono differenze sessuali. È questo il senso di una promessa d’eternità, su cui fondare la generazione di una nuova vita, che si incarna nell’esperienza concreta di tutti i giorni.

Non bastano programmi pastorali o migliorie nella comunicazione. Pur importanti. C’è bisogno di un rinnovamento personale, spirituale
e culturale, che porti a sentire così forte la nostalgia di Dio, l’appartenenza alla comunità umana, da muoversi senza indugio verso la sfida al conformismo intellettuale e mediatico. Una scelta difficile, che si proietta come sfida antropologica di sopravvivenza della natura dell’uomo e di Dio creatore, non come battaglia cieca per la difesa della cristianità e delle prerogative ecclesiali. Una opzione fondamentale da portare ovunque, in politica e in parrocchia, sul lavoro e sulla strada. Senza barricate per la rissa. Ma anche senza rinuncia a quella che Romano Guardini definiva, senza timori, “la differenza cristiana”.

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ZENIT Staff

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