Crowdfunding: la direttiva Consob supera la divisione profit e no profit

Il modo di fare impresa degli USA, che non rinnega la possibilità di distribuire utili e remunerare equamente il capitale, rientra nell’esperienza di economia civile proposta dalla Caritas in Veritate

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Il mondo dell’economia civile cattolica ha sempre reputato manicheo fissare il confine tra la “buona” e la “cattiva” impresa, esclusivamente nel perseguimento o meno del profitto. Questa visione è frutto della matrice culturale statalista o neoliberista.

La Dottrina Sociale della Chiesa da sempre ha denunciato i limiti di questa visione e, ultimamente, nel vivo della crisi finanziaria ha indicato una via d’uscita alle società postmoderne con la Caritas in Veritate. Per la DSC, la “buona” impresa è civile se riesce a coniugare l’utile insieme a valori come la gratuità, la fraternità, il dono, l’inclusività, i beni comuni, le virtù civiche ecc.

Venendo al crowdfunding civic, anche la Consob (Commissione Nazionale per le Società e la Borsa n.d.r.) ha dato una prima scossa al baluardo ideologico, circa la distribuzione degli utili alle imprese sociali. Difatti il regolamento della raccolta online di capitali, pubblicato venerdì dalla Commissione, riconosce lo status di impresa sociale anche alle imprese sociali che in futuro potranno remunerare il capitale di rischio conferito nell’impresa.

Più nel dettaglio, il regolamento riprende i concetti della precedente legge e stabilisce che una impresa per accedere al crowdfunding civic deve essere una “start-up innovativa”. Ma il perimetro va oltre i confini tecnologici. Difatti al punto C dell’articolo 2 del regolamento, la Consob definisce “emittente” del crowdfunding civic: “La società start-up innovativa, compresa la start-up a vocazione sociale, come definite dall’articolo 25, comma 2 e 4, del decreto”.
(decreto legge 18 ottobre 2012 n. 179, meglio conosciuto come Decreto crescita 2.0).
In altre parole viene riconosciuta la figura giuridica della start-up a vocazione sociale.

Mentre il comma 2 del suddetto decreto configura la società innovativa, il comma 4 descrive la dimensione sociale prevedendo che sono start-up a vocazione sociale quelle che operano in via esclusiva nei settori che rientrano “nell’ambito di utilità sociale”, come ad esempio l’assistenza sociale e la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema. Quindi, l’unico limite per poter rientrare nella figura giuridica di startup innovativa è quello di non poter distribuire per quattro anni gli utili ai propri soci. Nel regolamento Consob, però, non c’è nessun richiamo al discusso articolo 3 della legge 155, ossia quello che ribadisce per le imprese sociali la necessità dell’assenza di scopo di lucro e il divieto di distribuire utili.

Si tratta di un dibattito che dura da diversi decenni da chi rimane ancorato alla ideologia del non profit (neoliberisti) e del terzo settore (statalisti). Purtroppo il portato ideologico ha influito anche sui risultati sperati della legge 155. Un tentativo per cambiare la disciplina italiana dell’impresa sociale è stata la proposta di emendamento della Legge di stabilità 2013 che puntava a eliminare il divieto assoluto della distribuzione di utili (sostituendolo con un tetto al 50% degli stessi) e per specifiche categorie di soci che non potessero comunque avere quote di controllo dell’impresa. L’emendamento, purtroppo è stato fortemente osteggiato dalle opposizioni ed il governo lo ha ritirato.

Questa sconfitta Parlamentare rappresenta l’humus culturale manicheo che confonde “la distribuzione degli utili”, con la “speculazione”. C’è da sperare che con il crowdfunding civic e il regolamento Consob si possa riformare il concetto di impresa sociale in Italia e più in generale il concetto d’impresa civile. Purtroppo tale blocco ideologico avviene proprio in Italia patria dell’economia civile, mentre negli USA – patria della dizione non profit o no profit – visione neoliberista – il tabù è stato superato e si è intrapresa la strada del “for-benefit”. Si tratta, cioè, di un modo di fare impresa che non rinnega la possibilità di distribuire utili e remunerare il capitale pur facendo impresa sociale. 

Questa visione, se declinata insieme ai valori di gratuità e fraternità, rientra senz’altro nell’esperienza di economia civile proposta dalla Caritas in Veritate e può aprire la strada ad una quarta forma d’impresa contribuendo allo sviluppo economico civile e alla risoluzione dei problemi sociali. In definitiva, si tratta di un nuovo modello di politica economica civile.

In tal senso si indirizza un equity crowfunding applicato all’impresa sociale, ovvero quello del regolamento Consob, il primo nel suo genere al mondo a condurre automaticamente a un esito di questo tipo: chiedere capitali diffusi a persone che vogliono coniugare valori sociali e remunerazione del capitale. In altre parole, la bontà sociale dell’idea è tale proprio perché avvia un percorso imprenditoriale di successo, capace allo stesso tempo di declinare e fornire risposte valoriali e di essere sostenibile economicamente, remunerando in maniera equa il capitale. In tal modo si attiva un circuito virtuoso e civile. Altrimenti, l’equity crowfunding non sarebbe necessario e sarebbero “sufficienti” le donazioni.

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Carmine Tabarro

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