Cristiani non si nasce ma si diventa

Messaggio di Mons. Fiorini Morosini alla diocesi di Locri-Gerace

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Mons. Giuseppe Fiorini Morosini, vescovo di Locri-Gerace, e da qualche settimana nominato Arcivescovo di Reggio Calabria, in cui farà l’ingresso il prossimo 9 settembre, continua a inviare alla sua diocesi degli interventi di formazione nell’arco dell’Anno della fede. 

Punto di partenza del testo inviato è la individuazione che “nella parabola del buon pastore, e in genere sempre che parla di sé e della salvezza, che ha portato nel mondo, Gesù mette come condizione essenziale il rapporto con lui. Le pecore devono essere conosciute da lui e lo devono seguire. Vuole che esse stabiliscano con lui un rapporto di assoluta dipendenza e fiducia. Egli si è definito il pastore che porta alla sicurezza dell’ovile, ma nello stesso tempo è la porta che fa entrare nell’ovile”. 

Solo quando una persona “si rivolge a Gesù come a colui che risponde alle proprie attese, alle proprie speranze, agli interrogativi ultimi della vita, solo allora nasce la fede. Questapoi suggerisce praticamente e concretamente come orientare la propria vita; offre le risposte alle domande poste, spiega i grandi ideali e valori che possiede e che propone come via verso la salvezza. Percui possiamo completare la frase di Tertulliano” che approfondisce tale tematica “con l’aggiunta: si diventa cristiani se si sceglie. Sulla scorta del Vangelo, dobbiamo capire, invece, come sia possibile diventare cristiani. 

Gesù in diversi momenti della sua predicazione ha fatto riferimenti alla sequela di lui, dettando le condizioni perché essa possa avvenire. I contesti più famosi, per Mons. Fiorini Morosini, sono due. “Da una parte quelli in cui egli pone la sequela in relazione al suo mistero pasquale: Chi vuol venire dietro di me rinneghi se stesso prenda ogni giorno la sua croce e mi segua (Mt 16, 24);  se il chicco di grano caduto in terra non muore non porta frutto (Gv 12, 24); chi non porta la propria croce e non viene dopo di me non può essere mio discepolo (Lc 14, 24). Dall’altra i passi in cui egli indica se stesso come il buon pastore che guida al pascolo le pecore (Gv 10, 1-21). 

“Oggi l’evoluzione secolarista e multiculturalista della società pone in primo piano appunto il problema della scelta. Ciò che manca per lo più nel cammino formativo di un ragazzo e di un giovane è proprio l’atmosfera della scelta e la volontà di sequela. I sacramenti vengono ricevuti nel contesto di una fede che si trascina nel fluire spontaneo delle acque della tradizione. Gesù è una statua, un’ostia, un crocifisso, del quale si raccontano tante cose. Ma spesso queste immagini o simboli stanno di fronte al ragazzo o al giovane senza vita, perché egli non riesce ad entrare in comunione con la persna viva di Gesù, perché non è stato aiutato a riconoscerlo come possibile proprio ideale di vita. Non esistendo il fervore della scelta, la durata del sacramento è quella di qualche ora, il tempo di fare festa secondo i canoni sanciti dalla tradizione e dalla cultura che si sono imposte lungo gli anni”. 

Di conseguenza è particolarmente importante rilevare che è urgente “che l’azione pastorale riporti al centro l’evangelizzazione, e questa, a sua volta, si sviluppi nel contesto della riscoperta di Gesù come maestro e salvatore”. 

Questa è la speranza che deve essere l’impegno della comunità che crede. La fede, a sua volta, “ comporta sempre una decisione ferma e decisa: Maestro, ti seguirò dovunque tu andrai (Mt 8, 19); Signore, di chi andremo, tu solo hai parole di vita eterna (Gv 6, 68). Solo quando si riesce a ripetere dal profondo del cuore le parole dense di significato e di decisione per la propria vita (Maestro, tu hai parole di vita eterna), solo allora si può dire che c’è la fede; perché nel ripetere queste parole è chiara la decisione di voler seguire Gesù e di prenderlo a modello della propria vita”.

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Eugenio Fizzotti

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