Crisi monetaria europea: il caso spagnolo

Se la BCE non avesse acquistato titoli di stato, l’economia iberica sarebbe fallita già da tempo

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di Carmine Tabarro

ROMA, venerdì, 20 luglio 2012 (ZENIT.org) – Nel precedente articolo avevo affermato che il prossimo Paese sottoposto all’attacco della speculazione sarebbe stata la Spagna.

Ieri il ministro economico spagnolo Cristobal Montoro ha lanciato al Parlamento un duplice allarme. Il primo: “La Spagna non ha più un soldo in cassa per pagare i servizi pubblici, e se la Bce non avesse comprato i titoli di Stato il Paese sarebbe fallito”.

Il secondo: “senza la Bce, o qualcuno disposto a comprare i suoi titoli di Stato, potrebbe fallire nei prossimi mesi”. Questo è il problema più urgente e grave per la Spagna. Difatti alla cecità della Germania e dei Paesi del Nord Europa, si è aggiunta la mancanza di trasparenza del governo spagnolo che finora aveva nascosto il dissesto del sistema bancario.

Tutto questo ha rappresentato benzina sul fuoco per la speculazione. Difatti l’insieme combinato di questi fattori ha fatto sì che non ci sia quasi più nessuno sul mercato mobiliare che vuole acquistare i titoli di Stato spagnoli. Gli acquirenti esteri di titoli di Stato sono scomparsi, mentre gli operatori Istituzionali spagnoli sono dissanguati e non sono in grado di fare acquisti.

Questa situazione è stata fotografata dal Tesoro spagnolo. Difatti a dicembre 2010 il 45,51% del debito pubblico di spagnolo era in mano a investitori internazionali. Oggi, invece, in mani estere c’è solo il 31%: questo dato evidenzia la fuga in massa degli investitori esteri.

Le loro vendite sono state compensate solo per un breve periodo dalle banche spagnole, che hanno comprato i titoli di Stato con i soldi presi in prestito dalla Bce: da inizio dicembre – calcola la Bce – ne hanno acquistati per 79 miliardi di euro. Così ora detengono il 41% del totale.

Il problema è che con la speculazione che si è abbattuta sul debito sovrano spagnolo, l’aumento dello spread i problemi strutturali delle banche spagnole (vedi il crollo del mercato immobiliare ed il credito facile concesso) ora sono le stesse banche in crisi nera: in altre parole non sono in grado di continuare a comprare con gli stessi ritmi.

Ad aggravare la situazione spagnola è la mancanza di altre tipologie di investitori istituzionali iberici in grado di acquistare titoli di Stato in quantità importanti: le assicurazioni spagnole detengono solo il 7% del debito pubblico, i fondi pensione il 2,75%, i fondi comuni d’investimento il 4%. Si tratta di Istituzioni finanziarie di piccole dimensioni che poco possono fare per difendere la Spagna dagli attacchi speculativi.

Altro gap spagnolo è la mancanza di risparmiatori. Secondo il Global Wealth Report del Credit Suisse, in Spagna la ricchezza finanziaria e immobiliare di ogni abitante è mediamente pari a 104mila dollari, contro i 210mila medi degli italiani.

In altre parole in Spagna non esistono quelli che da noi chiamiamo i BoT-people. E lo dimostrano sempre i numeri: i risparmiatori spagnoli detengono solo lo 0,87% del debito pubblico sovrano. Tutte queste informazioni sono in possesso degli speculatori e degli investitori esteri ?

Questo da una parte alimenta la speculazione contro la Spagna dall’altro spinge gli investitori esteri a fuggire o a richiedere tassi d’interesse sempre maggiori all’aumentare del rischio Paese. La domanda che dobbiamo porci e chi finanzierà la Spagna se l’Unione Europea non ripensa ad un progetto comunitario e solidale.

Difatti questi dati fanno capire perché Madrid sia sull’orlo di una crisi di liquidità ed abbia bisogno di aiuto per salvare le persone, le famiglie da un ulteriore disastro dopo quello della Grecia, dell’Irlanda e del Portogallo.

Attenzione, anche l’Italia è stata contagiata dalla stessa dinamica che è partita dalla Grecia ed è arrivata in Spagna. Difatti anche da noi gli investitori esteri sono infatti fuggiti (ormai detengono solo il 40% del debito pubblico), ma le banche sono più solide. Anche da noi i fondi pensione hanno numeri limitati; invece i risparmiatori hanno mediamente più risparmi (questo è quello che dicono le statistiche, che andrebbero lette in maniera disgregata; la ricchezza concentrata nelle percentili più alte della scala sociale): infatti, secondo gli ultimi dati Consob, oltre il 13% delle famiglie detiene titoli di Stato italiani. E questi ultimi rappresentano l’80% delle attività finanziarie delle famiglie.

Una notizia positiva per l’Italia c’è: come dimostrano i dati diffusi dal Tesoro sulle ultime aste, timidamente, qualche investitore estero stia tornando sui titoli di Stato italiani soprattutto quelli a breve scadenza. Bene inteso: questo non ci ripara dal contagio del rischio liquidità. Ma, per ora abbiamo un fiato meno corto.

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ZENIT Staff

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