Crescono le preoccupazioni sulla libertà religiosa nel mondo

Aumentano i Paesi sotto osservazione USA

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WASHINGTON, D.C., sabato, 13 maggio 2006 (ZENIT.org).- La Commissione USA sulla libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha pubblicato il suo rapporto annuale sulla situazione mondiale, nel quale esprime anche le sue raccomandazioni annuali al Segretario di Stato americano relative ai Paesi di particolare preoccupazione (CPC “countries of particular concern”).

In base alla legge del 1998 sulla libertà religiosa internazionale, gli Stati Uniti designano come CPC quei Paesi i cui governi sono stati coinvolti o hanno tollerato violazioni gravi e sistematiche del diritto universale alla libertà religiosa o di credo.

In seguito al rapporto dello scorso anno, il Segretario di Stato Condoleezza Rice ha individuato come CPC i seguenti Paesi: Corea del Nord, Eritrea, Iran, Cina, Arabia Saudita, Sudan, Vietnam e Myanmar (ex Birmania). Quest’anno il rapporto consiglia di mantenere in elenco questi 8 Paesi, ma di aggiungervi anche l’Uzbekistan, il Turkmenistan e il Pakistan.

La Commissione USCRIF ha anche una “lista di guardia” (“Watch list”) di Paesi che presentano gravi problemi relativi alla libertà religiosa. Nel rapporto di quest’anno figura anche l’Afghanistan, oltre a Bangladesh, Bielorussia, Cuba, Egitto, Indonesia e Nigeria.

L’USCIRF sta anche monitorando da vicino la situazione in India, Russia e Sri Lanka, oltre ad esprimere “particolare preoccupazione” per l’Iraq.

Riguardo quest’ultimo Paese, il rapporto dell’USCIRF dimostra una certa preoccupazione per il “contenuto definitivo della Costituzione e per l’elaborazione della legislazione attuativa in materia di libertà religiosa e di diritti fondamentali”. Conseguentemente, i diritti umani – tra cui la libertà religiosa – continuano ad essere a rischio. Il rapporto esprime preoccupazioni anche per la violenza in Iraq, derivante dall’intolleranza religiosa, e per gli attentati contro i luoghi di culto.

Alcune minoranze, tra cui i cristiani iracheni, sono particolarmente esposte. A causa della perdurante violenza, i cristiani stanno abbandonando il Paese, e l’USCIRF ha avvertito che l’esodo potrebbe significare la fine della storica presenza dei cristiani.

Dopo i talebani

Riguardo la presenza dell’Afghanistan nella lista di guardia, il rapporto osserva che le condizioni sono migliorate rispetto ai giorni del regime talebano, ma che l’ultimo anno è stato problematico per quanto riguarda la libertà religiosa.

La nuova Costituzione afghana contiene qualche difetto. Manca in particolare una chiara tutela del diritto alla libertà di religione o di credo, afferma il rapporto. Questo ha consentito di aumentare il numero dei processi penali e delle altre azioni pubbliche contro gli individui.

I difetti costituzionali sono poi esacerbati dalla Corte suprema del Paese, “che continua ad essere presieduta da un giudice che non ha voluto esprimere alla Commissione un’adesione agli standard internazionali dei diritti umani fondamentali”.

Inoltre, la mancanza di un efficace controllo governativo su gran parte del territorio, salvo la capitale Kabul, ha portato ad una situazione che si è progressivamente deteriorata in molte province del Paese, relativamente alla libertà di religione e agli altri diritti umani.

La visita in Cina

Intanto, la Cina ha rafforzato i controlli sui vertici religiosi, secondo il rapporto USA. Alcuni componenti dell’USCIRF hanno visitato la Cina per la prima volta lo scorso agosto. Nelle varie riunioni essi hanno incontrato anche i rappresentanti delle organizzazioni religiose “patriottiche”. Queste organizzazioni, ufficialmente riconosciute, si limitano a cinque religioni: Buddismo, Cattolicesimo, Islam, Protestantesimo e Taoismo.

Il costo per ottenere il riconoscimento ufficiale è elevato, secondo l’USCIRF. Le organizzazioni autorizzate devono poi anche subire il monitoraggio governativo delle loro attività, ed accettare le restrizioni sui contenuti di dottrina e di tradizione che possono essere insegnati. Alcuni esponenti cristiani hanno dovuto astenersi dall’insegnamento relativo alla seconda venuta di Gesù, alle guarigioni miracolose, alla pratica del digiuno e alla nascita verginale.

“Gran parte della pratica religiosa in Cina avviene al di fuori delle organizzazioni religiose riconosciute”, afferma il rapporto dell’USCIRF. E questo nonostante le severe sanzioni previste per coloro che svolgono attività religiose non autorizzate.

Anche i buddisti del Tibet e i musulmani nella regione dello Xinjiang subiscono forti restrizioni alla pratica della religione, e il rapporto accusa le autorità anche di gravi violazioni dei diritti umani in queste due regioni.

Un altro Paese tra i CPC è il Vietnam. Il Governo “continua a rendersi responsabile di gravi violazioni della libertà di religione e di credo”, secondo il rapporto USA. Nel maggio del 2005, il Dipartimento di Stato americano ha annunciato il raggiungimento di un accordo con Hanoi sui valori di confronto, per dimostrare un miglioramento nelle condizioni di libertà religiosa.

Secondo l’USCIRF, “i dati sul Vietnam, relativi a questo accordo, non sono univoci”. Alcuni prigionieri sono stati rilasciati e diversi luoghi di culto sono stati aperti. Sono state allentate anche alcune restrizioni sui buddisti e i cattolici. Ma molte restrizioni continuano ad esistere.

L’Africa in conflitto

Il Sudan è un altro Paese che il rapporto identifica come preoccupante. Il 9 gennaio 2005 è stato sottoscritto un accordo di pace che pone fine ad una guerra civile tra il Nord e il Sud del Paese. Tuttavia le clausole relative alla libertà religiosa non sono state rispettate, secondo il rapporto USA.

Qualche miglioramento è stato registrato nel Sud, secondo il rapporto. Ma nel Nord del Sudan tutti gli abitanti, compresi i cristiani e i seguaci di religioni tradizionali africane, sono soggetti alla Svaria (la legge islamica). Nel Nord è quindi necessaria, ad esempio, l’autorizzazione governativa per la costruzione e l’utilizzo dei luoghi di culto; autorizzazione che viene sistematicamente negata per la costruzione delle chiese e concessa invece per la costruzione di moschee. In effetti, sono più di 30 anni che il Governo continua a negare il permesso per la costruzione di chiese cattoliche nelle zone da esso controllate.

Le chiese edificate senza autorizzazione sono spesso rase al suolo. Inoltre, le proprietà della Chiesa legalmente riconosciute sono soggette a sequestri. Il rapporto osserva il caso di una struttura cattolica ricreativa che è stata confiscata dal Governo per essere destinata ad uso privato del Partito Nazionale del Congresso.

Sebbene non sia stata applicata negli ultimi anni, nel Sudan esiste ancora la pena di morte per l’apostasia dall’Islam. I convertiti al Cristianesimo subiscono solitamente tali pressioni e oppressioni istituzionali, da rendergli impossibile la permanenza nel Paese.

La religione è un elemento di conflitto anche in Nigeria. Secondo il rapporto americano, sin dall’arrivo al potere del presidente Olusegun Obasanjo, in seguito alle elezioni popolari del 1999, più di 10.000 nigeriani sono stati uccisi in attacchi da parte di sette e gruppi, e in rappresaglie tra musulmani e cristiani. Tra gli episodi più recenti vi è l’uccisione di almeno 120 persone tra musulmani e cristiani nel corso delle proteste del febbraio scorso relative alle vignette sul profeta Maometto. Le proteste hanno alimentato le tensioni di fondo già esistenti di natura religiosa ed etnica.

I cristiani negli Stati del Nord, dove vige la Sharia, lamentano discriminazioni perpetrate da governi controllati da musulmani e affermano di essere trattati come una comunità di cittadini di serie B.

Finanziare l’odio

Un altro Paese ad essere iscritto nella lista nera dell’USCIRF è l’Arabia
Saudita. Il rapporto osserva che anche quest’anno il Governo ha impedito ogni forma di manifestazione pubblica della religione oltre alla scuola sunnita islamica ufficialmente riconosciuta. Anche ogni pratica religiosa privata è stata repressa dalle autorità.

Inoltre, il rapporto accusa il Governo saudita di continuare a finanziare “in tutto il mondo attività a sostegno dell’intolleranza religiosa, dell’odio e in alcuni casi della violenza contro i non musulmani e i musulmani sciiti”.

Il rapporto osserva che in Pakistan continua a persistere la violenza, e per questo ne raccomanda l’iscrizione nella lista dei Paesi CPC. La risposta del Governo contro la violenza, sebbene sia migliorata, “continua ad essere insufficiente e non pienamente efficace”, secondo il rapporto.

L’USCIRF osserva che sulla base di alcune leggi, le autorità del Paese hanno spesso perpetrato arresti con accuse relative alla religione o al credo. A rendere più complessa la situazione vi è l’alleanza politica del Governo pakistano con i gruppi religiosi militanti, in base alla quale questi gruppi si sono rafforzati ed esercitano una certa influenza sugli affari del Paese. Una tendenza inversa rispetto a quella della separazione tra Chiesa e Stato.

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ZENIT Staff

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