Cresce la domanda di accompagnamento spirituale per chi si trova in crisi

Intervista con il Padre Larry Larry Yévenes, s.j.

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SANTIAGO, Cile, martedì, 31 agosto 2004 (ZENIT.org).- Sarà per il superamento di certi pregiudizi o per lo stressante stile di vita di questi tempi, ma il numero delle persone che, trovandosi in crisi, cercano aiuto sembra aumentare. Una sfida questa che coinvolge anche la Chiesa, spiega Larry Yévenes, s.j., direttore di “Cuadernos y Área de Psicología y Espiritualidad” del “Centro de Espiritualidad Ignaciana” (CEI) in Cile.

In questa intervista pubblicata dalla Conferenza Episcopale cilena, il gesuita ripercorre le tappe dell’accompagnamento spirituale destinata a coloro che hanno vissuto momenti di crisi.

In che modo si può imparare ad assistere il prossimo di fronte a situazioni di crisi?

P. Yévenes: Aiutare una persona che sta vivendo una crisi è un servizio che richiede una grande dose di sensibilità e di empatia umana. È un esercizio che richiede di porsi costantemente nei panni dell’altro. Per questo, come accompagnatori dobbiamo investire tutto il tempo necessario, rispettando i tempi propri della persona. Non si deve mai forzare chi si trova in condizioni di crisi a compiere quei passi per i quali non è ancora preparato.

Inoltre, dobbiamo instillare nella persona una fiducia di fondo verso l’azione di Dio su di essa e verso le risorse di cui dispone per andare avanti. Aiutare non implica infantilizzare la persona che soffre.

Infine, è fondamentale imparare dalle esperienze di crisi vissute dalle stesse persone che aiutano il modo in cui siamo riusciti a venirne fuori. Questo ci consentirà di applicare gli elementi che ci sono stati utili, rispettando al contempo l’originalità di ogni crisi individuale.

Attraverso quale metodo è possibile prestare aiuto? In cosa consiste l’aiuto?

P. Yévenes: Esiste una metodologia, chiamata “gestione della crisi”, che consiste fondamentalmente nell’arginare la spirale dei comportamenti inadeguati, nel modo più rapido e abile possibile, restituendo in questo modo la persona al suo livello funzionale pre-crisi.

Questa metodologia si può riassumere in sei passi: 1) definizione del problema o della crisi – spesso le persone arrivano assai confuse – 2) garantire la sicurezza della persona; 3) dare appoggio o sostegno, lasciando che la persona esprima i propri sentimenti; 4) rivedere con la persona le possibili alternative; 5) elaborare programmi realistici; 6) ottenere un impegno. Nelle nostre lezioni sviluppiamo ciascuno di questi passi della metodologia.

Probabilmente molte persone che hanno vissuto una situazione difficile dubitano della propria fede. Come è possibile riportarli a credere?

P. Yévenes: Nella scrittura cinese la parola crisi è rappresentata da due realtà diverse: il pericolo e l’opportunità. Nel campo della fede si possono vivere entrambe le situazioni: da un lato si corre il rischio di cadere in una crisi di fede, ma allo stesso tempo si può vivere la crisi come un’opportunità per maturare e rafforzare la fede in Dio per mezzo del dolore.

L’accompagnatore può invitare la persona a riscoprire le radici profonde del suo rapporto con Dio. In quell’ambito ci potranno essere molti elementi da purificare. Spesso il dialogo con il trascendente si interrompe a causa di immagini distorte su chi sia Dio per l’umanità e per ciascuno di noi.

A volte lo si è considerato solo come un “fornitore di favori”, qualcuno che deve essere a disposizione per soddisfare i nostri desideri, e questo ci porta ad essere frustrati quando le cose non si sviluppano come noi vorremmo. Quindi, domandarsi chi sia Dio per noi è un passo fondamentale quando accompagniamo spiritualmente la persona nel suo dolore.

Per i cristiani, un altro elemento fondamentale è offrire il dolore e lo stato di crisi alla persona di Gesù. Al riguardo ci può illuminare la domanda del Padre Hurdado: cosa farebbe Cristo al posto mio? In altre parole, che farebbe il Signore se si trovasse nella mia condizione di crisi? Non dimentichiamoci che buona parte del ministero pubblico di Gesù si è svolto accompagnando persone che si trovavano in situazioni di “crisi”: malati terminali, uomini e donne reiette dalla società (lenoni, prostitute…). Per questo è molto utile invitare la persona che soffre a riscoprire la misericordia di Gesù.

Riassumendo, quando accompagniamo qualcuno che si trova in una situazione di crisi, il nostro ruolo è di invitarlo a non abbandonare la preghiera e a parlare del suo problema con Dio.

Nell’ambito del contesto odierno lei crede che vi sia una carenza di questo tipo di attività?

P. Yévenes: Oggigiorno il fenomeno della crisi mostra aspetti diversi. Li vediamo quotidianamente nelle situazioni di pericolo di vita (incidenti, tentati suicidi, aborto), di crisi situazionali (ad esempio se disoccupati), di crisi esistenziali (mancanza di senso della vita, pensionamento) o di crisi ecologiche (ad esempio le piogge torrenziali nel sud del Cile).

Nel Centro di Spiritualità Ignaziana abbiamo una grande tradizione di formazione degli accompagnatori spirituali e degli agenti pastorali che seguono questo tipo di casi con grande frequenza. Ad essi vengono forniti strumenti mutuati dalla psicologia e dalla spiritualità ignaziana per assistere in modo efficace coloro che vivono situazioni di crisi.

Nella nostra esperienza con questi agenti pastorali abbiamo riscontrato che il numero delle persone che chiedono aiuto risulta essere in aumento. Un esempio emblematico è rappresentato da “Apoyo espiritual”, un valido servizio che il Santuario di Padre Hurtado offre ai pellegrini. L’aumento delle richieste di aiuto può essere dovuto sia al superamento di certi pregiudizi, sia allo stressante stile di vita che conduciamo al giorno d’oggi. Di certo si tratta di una sfida che come Chiesa dobbiamo affrontare con il meglio di cui disponiamo.

Osserva qualche mancanza spirituale nella popolazione?

P. Yévenes: La parola “mancanza” può non essere del tutto appropriata in quanto appare suggerire una responsabilità morale di chi attraversa un momento di crisi. Io preferisco parlare di “necessità non soddisfatta”.

Tra queste vorrei evidenziarne quattro su cui ritengo importante fare una trattazione a parte. La prima è la necessità di imparare a tollerare le frustrazioni. Oggi giorno viviamo con una tendenza a voler sfuggire il più presto possibile dalle difficoltà. Ci pesa sopportare ciò che non gradiamo, ciò che ci complica la vita. Per questo gli impegni presi vengono diluiti con grande facilità e non è facile vedere persone che restano fedeli alla parola data.

La seconda necessità è connessa con la prima e consiste nell’esigenza di vivere con maggiore speranza, lasciando da parte il pessimismo che storicamente sembra molto radicato nel carattere cileno.

La terza necessità è di verità e di trasparenza. È ciò che auspichiamo per molti aspetti della nostra vita pubblica, dove ci sembra che conosciamo solo la punta di un iceberg in cui vi sono forze occulte che determinano l’andamento di molte questioni di interesse comune.

Infine, la quarta necessità è di identità e si manifesta nella maniera in cui molte persone cercano ossessivamente modelli a cui ispirarsi (personaggi televisivi o cantanti) oppure pretendono di essere o avere ciò che non sono e non posseggono. Dietro il consumismo sfrenato vi è molta mancanza di identità.

È necessario credere in Dio per avere una vita spirituale piena?

P. Yévenes: Oggi non abbiamo un significato univoco della parola “spiritualità”. Sfogliando i giornali scopriamo molte offerte diverse di attività “spirituali”, che non corrispondono necessariamente alla nostra tradizione giudaico-cristiana.

Credo che sia urgente coltivare un sano discernimento quando si tratta di scegl
iere attività formative per il nostro spirito. Non tutto è allo stesso livello. Vi sono alcune attività, laboratori o corsi che possono condurci verso un forte egocentrismo o ad un narcisismo nascosto dietro una forma di ricerca della pace.

Nella nostra affannosa ricerca di attività che ci diano pace rischiamo di dimenticarci che al nostro fianco passano persone che hanno bisogno del nostro appoggio e della nostra compagnia. Nel mese corrente, dedicato alla solidarietà, è opportuno imparare dal modello di Padre Hurtado, per il quale un’autentica spiritualità implica la necessità di metterci in gioco per gli altri.

Dalla nostra prospettiva cristiana, una “spiritualità piena” implica uscire da noi stessi per andare incontro agli altri, specialmente a coloro che soffrono, e dialogare con Dio per scoprire la sua volontà.

D’altra parte, tutti conosciamo figure spirituali – come ad esempio Gandhi – che, pur senza condividere la nostra fede in Gesù Cristo, hanno incarnato in modo sublime i valori dell’impegno con gli altri, dell’altruismo e della donazione di sé. Figure che il teologo Kart Rahner ha chiamato “cristiani anonimi”.

[Intervista di Catalina Bravo, CEI]

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ZENIT Staff

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