Creando la donna Dio ha benedetto il mondo (prima parte)

Il genio femminile spiegato da una giovane suora

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di Antonio Gaspari

ROMA, mercoledì, 7 marzo 2012 (ZENIT.org).- Per riportare su un piano di verità, giustizia e bellezza la dimensione femminile. Per uscire dalla retorica ipocrita e ideologica relativa alla festa della donna, ZENIT vorrebbe favorire la discussione sul tanto bene che è nel progetto di Dio quando ha creato la donna.

A fronte di notizie tremende e drammatiche in cui la donna è vittima di violenze e soprusi, c’è un mondo enorme di bene in cui le donne sono protagoniste.

A questo proposito ZENIT ha intervistato suor Maria Caterina Gatti dell’Istituto Serve del Cuore Immacolato di Maria (Icms).

L’8 marzo si celebra la festa della donna. In questa festa pochi sottolineano le grandi virtù femminili esaltate sia dalla vita religiosa e consacrata che dal ruolo di tante madri e mogli che vivono gioiosamente la loro vita. Piuttosto, una certa cultura tende a identificare nella donna moderna la ribellione al ruolo di moglie e di madre, una libertà intesa come capacità di dominio nel lavoro e nella casa. Qual è il suo parere in proposito?

Certamente la società in cui viviamo tende ad identificare il progresso, la libertà e l’emancipazione della donna con forme di ribellione a quei “ruoli” che da sempre sono costitutivi della femminilità, dell’identità della donna, quali appunto l’essere sposa, o la maternità. È stato l’errore commesso da tante femministe che – partendo dall’intento buono di esaltare il “genio femminile” – sono giunte a rifiutare o negare ciò che “rende donna la donna”, anche dal punto di vista antropologico. Le varie correnti femministe hanno avuto grande influenza sulla cultura, portando la donna a volersi emancipare in maniera errata, dimenticando la sua prima e altissima missione di moglie, di madre e pure di educatrice. Rientra nella vocazione della donna, infatti, anche il compito educativo, come spiega chiaramente la Mulieris Dignitatem al n. 19: “La donna, come genitrice e come prima educatrice dell’uomo […], possiede una specifica precedenza sull’uomo. Se la sua maternità […] dipende dall’uomo, essa imprime un «segno» essenziale su tutto il processo del «far crescere come persona» i nuovi figli e figlie della stirpe umana”. “In tale opera esse [le donne] realizzano una forma di maternità affettiva, culturale e spirituale, dal valore veramente inestimabile, per l’incidenza che ha sullo sviluppo della persona e il futuro della società” (Lettera Alle donne, 9). Il ruolo di educatrice si estende quindi all’intera umanità.

Tali compiti e peculiarità – non dimentichiamolo – le sono stati donati da Dio come talenti da far fruttificare per realizzarsi appieno e per il bene dell’umanità. Per lei, la missione tracciata da Dio è quella prendersi cura in modo speciale dell’uomo, dell’essere umano, che il Signore le affida. “Questo affidamento riguarda in modo speciale la donna – proprio a motivo della sua femminilità – ed esso decide in particolare della sua vocazione” (cfr Mulieris Dignitatem, 30). È chiaro che quando ad una persona ne viene affidata un’altra, essa ne avrà cura e non certo cercherà di prevaricarla, di dominarla o, peggio ancora, di eliminarla (come accade purtroppo con l’aborto).

Quali secondo Lei le virtù tipicamente femminili che caratterizzano le donne?

Le virtù e le caratteristiche che credo costituiscano la peculiarità della donna sono le seguenti: l’accoglienza, il perdono, la comprensione, l’empatia, la generosità, la donazione, la dolcezza, l’attenzione, la delicatezza, il sacrificio, lo spirito intuitivo. La donna sposata poi deve essere in famiglia l’angelo della fede, l’angelo della casa. Deve guardare a tutte quelle virtù che caratterizzano Maria Santissima per poter vivere come Lei nella grazia di Dio, dando il buon esempio, vivendo con quella consapevolezza di essere sempre sotto lo sguardo di Dio, anche quando fa la spesa o va al lavoro in ufficio, mentre lava i piatti o aiuta i figli a fare i compiti. Sono piccole cose, ma erano proprio piccole cose quelle che faceva la Madonna. Anche le ragazze o le donne non sposate devono guardare alla Madonna come al loro modello, perché anche loro sono chiamate a vivere in grazia di Dio per poi trasmettere questa bellezza interiore alle persone con cui si relazionano.

E quali in particolare le virtù che esaltano la vita di religiose e consacrate?

Al di là delle virtù che caratterizzano la vita religiosa in genere, tanto maschile quanto femminile, credo che per la donna consacrata valgano sempre quelle virtù che già ho elencato come tipicamente femminili, perché non dobbiamo dimenticare che ogni religiosa, prima di essere una consacrata, è una donna. La santità infatti si costruisce su una base di umanità, proprio per quell’unicum costituito da anima e corpo. È naturale che sarà differente la modalità in cui tali virtù dovranno essere esercitate: l’accoglienza, l’attenzione, la donazione sono vissute diversamente dalla donna consacrata – totalmente dedita a Dio e ai fratelli, inserita in una comunità religiosa – rispetto a come le vive una madre all’interno della sua famiglia. Se guardiamo poi alla vita delle più grandi sante religiose, le virtù che ne esaltano la vita sono quelle tipicamente relative alla vita consacrata in generale: obbedienza, carità, fede, purezza, povertà, umiltà, fedeltà, prudenza…

Maternità e verginità sono due dimensioni particolari della donna, alla luce della Divina Rivelazione, che trovano la loro più alta espressione nella Madonna, che è al contempo Vergine e Madre. “La persona della Madre di Dio aiuta tutti – specialmente tutte le donne – a scorgere in quale modo queste due dimensioni e queste due strade della vocazione della donna, come persona, si spieghino e si completino reciprocamente”. Ecco allora che Maria SS.ma è Colei che tanto la donna “laica”, quanto la consacrata devono avere sempre dinanzi come modello per scorgere in Lei le virtù da imitare.

In che modo la vita religiosa riesce a sublimare e praticare il desiderio di famiglia e maternità?

La donna – che come l’uomo è un “essere in relazione” – si scopre “fatta per l’uomo”, per una comunione sponsale con lui. Così ci ha creati il Signore, con questa “diversità nell’uguaglianza” (la sessualità ci differenzia all’interno dell’umanità). Nella vita consacrata, questo “per l’uomo” – secondo una bella definizione di Arnaldo Pigna – viene sostituito con “per Cristo”. Lo Sposo è Cristo stesso, è Lui la Persona con cui la donna consacrata entra in relazione, in comunione, dedicandosi totalmente a Lui e quindi trovando pienezza e realizzazione personale solo in Lui. Non è un “amare meno”, ma un “amare di più”. Chi abbraccia la verginità consacrata vuole raggiungere la pienezza dell’amore – e quindi della sessualità – facendo a meno della mediazione, ma anche delle limitazioni della fisicità, della carne. “Si sceglie la continenza non per amare meno, ma per amare meglio […]. Essere casto verginalmente, è tenere il cuore in potenza assoluta di amare, senza altro limite che la propria capacità” (A. Pigna): la verginità non chiude all’amore, ma anzi, insegna a trovarlo. Il desiderio di famiglia è colmato dalla nuova famiglia costituita dalla comunità e dall’istituto religioso di cui si entra a far parte. La maternità poi non viene “soppressa” nella donna consacrata, ma è vissuta in un modo più elevato: è la maternità spirituale. La maternità infatti è costitutiva della donna, elemento fondante della sua identità, in quanto a lei Dio affida il compito di “prendersi cura della vita”: non impli
ca necessariamente la generazione fisica di un’altra creatura, ma è costituita da un atteggiamento di fondo, da un’apertura di spirito caratterizzata dal dono di sé, dall’attenzione, dal farsi carico degli altri, dal sacrificio. La donna consacrata vive quindi in pienezza la sua maternità, diventando madre di tutti, del bambino come dell’anziano, generando Cristo nel cuore del prossimo. È quindi, anche quella spirituale, una maternità feconda.

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ZENIT Staff

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