"Così ho ritrovato la fede e la salute. In Cammino per Santiago" (Seconda parte)

Il celebre pellegrinaggio a Compostela, in Spagna, festeggia 1200 anni di storia. La testimonianza di chi ha affrontato 800 chilometri e ha scoperto la preghiera e l’amore di Dio

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La prima parte dell’intervista è stata pubblicata ieri, martedì 22 ottobre 2013. Di seguito la seconda e ultima parte.

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Quando fece il viaggio?

“Nell’estate del 2011. Organizzai tutto in segreto. Parenti e amici mi avrebbero impedito di partire. Ne parlai solo con mia madre, che è sempre stata comprensiva di fronte alle mie spericolate imprese. E  13 giugno 2011 partii. Avevo appena ricevuto l’ennesimo referto medico che mi imponeva il riposo più assoluto. Caricai sulla mia auto lo zaino,  che avevo preparato con tutto il necessario, e partii alla volta della cittadina di St. Jean Pied de Port, cittadina francese sui Pirenei, da dove inizia ufficialmente uno dei tragitti ufficiali per Santiago, il più noto e il più attrezzato. I miei piedi, che mi procuravano dolori lancinanti nel camminare, mi permettevano invece di guidare l’auto senza troppe difficoltà. A St. Jean Pied de Port posteggiai l’auto in una rimessa. Presi alloggio in un albergo e trascorsi una notte agitatissima. Ero cosciente che, partendo, il giorno dopo, mi staccavo dal mondo. Con la macchina riuscivo a spostarmi ovunque. Senza, ero come un naufrago nel mare senza salvagente”.

E come è andata?

“La prima tappa da St. Jean Pied de Port  a Roncisvalle era di 27 chilometri. Una delle più difficili perché in salita  per venti chilometri, seguiti da una discesa ripida  che spacca le gambe. A casa, avevo studiato su Internet tutto il percorso. Conoscendo quindi le difficoltà di quella tappa, partii alla tre del mattino. Dopo pochi metri, credevo di svenire dal dolore. Ho stretto i denti. Camminavo adagio, mi fermavo in continuazione. Le fitte erano terribili, avevo paura che i tendini si rompessero. Ho impiegato dodici ore a fare quei 27 chilometri, fino a Roncisvalle. Una sofferenza inaudita. Entrato in città, sono subito andato alla struttura recettiva per i pellegrini. Mi sono buttato sul letto: ero distrutto dal dolore ai piedi e alla schiena. Avevo constatato concretamente che  fare quel viaggio era impossibile per me. Mai sarei arrivato alla fine. Dovevo, quindi, organizzarmi per tornare indietro, riprendere la macchina e rientrare in Italia”.

E invece?

“Ricordai di aver letto che, ogni sera, nell’abbazia di Roncisvalle si tiene una Messa per le persone che iniziano il cammino di Santiago, seguita da una cerimonia che risale al Medioevo, chiamata ‘Benedizione del pellegrino’. Così, per curiosità, decisi di andarvi. Mi trascinai a fatica fino all’abbazia. Erano trent’anni che non entravo in una chiesa. La mia vita era sempre stata lontana dalla fede. Ma la Messa e poi la suggestiva preghiera della benedizione, mi emozionarono moltissimo. Aspettai che tutti fossero usciti e rimasi quasi solo nella grande chiesa. Mi avvicinai alla statua della Madonna e sentii un improvviso calore. Le gambe mi tremavano, non riuscivo a staccare gli occhi dalla statua. Volevo pregare ma non ricordavo le parole dell’Ave Maria. Allora iniziai a parlare come se avessi una persona di fronte a me. Affidai alla Vergine la mia vita, quella dei miei cari e quella mia disperata condizione.  E subito sentii una voce, non so dire se dentro o fuori di me, che diceva: ‘Marco, stai tranquillo. Ci sono io vicino a te, ti accompagno fino alla fine’.  Sono scoppiato in lacrime e quando sono uscito dalla chiesa, ero un uomo diverso”.

Era guarito?

“Il giorno dopo iniziai la seconda tappa in uno stato d’animo tutto nuovo. Camminavo pregando. E, cosa incredibile, i miei piedi non mi davano neppure fastidio. Cominciavano a farmi male solo quando mi fermavo. Non potevo restare fermo, dovevo proseguire e solo allora il dolore spariva. Qualcosa di strano era, quindi,  accaduto. Ma non certo la guarigione. Infatti, il terzo giorno, il male riprese a farsi sentire. E anche nei giorni successivi. Il male andava e veniva. Io, però, ero cambiato. Avevo misteriosamente ritrovato quei valori religiosi di quando ero un ragazzino. Li avevo ritrovati con mentalità adulta, razionale, anche se in modo emotivo. E, quindi, ‘vivevo’ il dolore ai piedi con  una motivazione spirituale che mi dava coraggio. Ma ho dovuto affrontare egualmente giorni  drammatici, peggiori di quello della prima tappa”.

Quale è stato il giorno più brutto?

L’8 luglio, quando avevo già percorso oltre metà dell’intero viaggio. La giornata era iniziata tranquilla. Mi ero inoltrato per alcuni chilometri in un bosco, seguendo il corso di un fiume, e poi avevo affrontato una specie di deserto. Camminavo spensierato. All’ improvviso,  un dolore acuto al polpaccio mi costrinse a fermarmi. Credevo di essermi procurato uno strappo muscolare, o una contrattura, non riuscivo a proseguire. Mi accovacciai su un   grosso sasso, per massaggiarmi la parte lesa. Feci dello stretching delicato, per non causarmi altri danni. Niente da fare. Ero proprio bloccato. Impossibilitato a muovermi, sotto un sole infuocato, tra un silenzio assoluto e nessuna presenza umana, fui preso dal panico. Mi passavano per la testa pensieri tristi. Dopo qualche ora disperata, riuscii  a “pescare” coraggio  pensando all’esperienza fatta nella cattedrale di Roncisvalle e capovolsi la situazione psicologica che si era formata dentro di me.  Mi dissi che sarei  arrivato alla meta a qualunque costo, anche carponi, strisciando. Anche se avessi dovuto metterci un anno. Questa determinazione disperata mi aiutò a raggiungere l’ostello di Leon, dove potei risposare. E di queste giornate, con micidiali crisi fisiche e psicologiche,  ne affrontati diverse.  Un giorno camminavi in pianure deserte, sotto il sole a 40 gradi, il giorno dopo in montagna, con salite fino a 1300 metri,  tra temporali improvvisi, vento e acqua, freddo, nebbia fitta da farti perdere la strada. E ogni giorno bisognava trovare un nuovo coraggio per andare avanti.

Quando arrivò alla meta?

La sera del 25 luglio. Era la festa di San Giacomo. Un arrivo pieno di simbologia, ma che non avevo affatto programmato. Entrai nella cattedrale di San Giacomo con il cuore che batteva forte per l’e­mozione. Mi avvicinai a passo svelto verso la cripta, sotto l’al­tare, dove si trova il corpo del santo. Scesi gli scalini con le gambe che mi tremavano.  Mi inginocchiai davanti a quelle reliquie. Ringraziai il santo per avermi protetto nel viaggio. Pregai a lungo per me, per il mio avvenire che era incerto e per i miei familiari. Mi fermai poi nella basilica, dove si stavano  celebrando funzioni solenni. Ammirai l’imponente botafumeiro che, con l’ausilio delle braccia di otto preti, volteggiava per aria cospargendo di fumo il capo dei fedeli. Mi fermai davanti al Portico della Gloria, che i pellegrini medioevali utilizzavano per en­trare in chiesa e il cui attraversamento costituiva una sorta di rituale di compimento del Cammino. Quando uscii, era già buio. La città era illuminata a festa. Uno spettacolo di luci pirotecniche volteggiava sulla facciata della cattedrale.  Una melodia medievale risuonava da  enormi altoparlanti creando una atmosfera fuori del tempo. La gente era silenziosa, rapita da quell’atmosfera e da quello spettacolo di luci. In mezzo a quella folla, mi sentivo tremendamente solo. Ripensavo a  tutti i momenti emozionanti di quell’esperienza che volgeva al termine. Tenevo gli occhi chiusi e rivivevo le fatiche, il dolore, la disperazione, le mie orazioni che a volte gridavo a voce alta e riecheggiavano sulle montagne. Ma rivedevo anche le ore di calma, di gioia, e quell’incontro interiore con un qualche cosa di misterioso che aveva dato vita alla mia anima. Andai a dormire. Il giorno dopo mi sentivo meglio. E il giorno successivo le mie condizioni fisiche erano ancora più confortevoli. In breve: quella terribile esperienza che avrebbe dovuto rovinarmi definitivamente le gambe, me le ha i
nvece salvate. Da allora sono trascorsi due anni e continuo a stare bene. Ho ripreso a fare i miei viaggi. Qualche mese fa ho percorso l’antica via Francigena e sono andato pellegrino a Roma sulla tomba di San Pietro. Appena le condizioni belliche me lo permetteranno, ho in programma un viaggio a Gerusalemme”.

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Renzo Allegri

*Renzo Allegri è giornalista, scrittore e critico musicale. Ha studiato giornalismo alla “Scuola superiore di Scienza Sociali” dell’Università Cattolica. E’ stato per 24 anni inviato speciale e critico musicale di “Gente” e poi caporedattore per la Cultura e lo Spettacolo ai settimanali “Noi” e “Chi”. Da dieci anni è collaboratore fisso di “Hongaku No Tomo” prestigiosa rivista musicale giapponese. Ha pubblicato finora 53 libri, tutti di grandissimo successo. Diversi dei quali sono stati pubblicati in francese, tedesco, inglese, giapponese, spagnolo, portoghese, rumeno, slovacco, polacco, cinese e russo. Tra tutti ha avuto un successo straordinario “Il Papa di Fatima” (Mondadori).

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