Contro le “culle vuote” è necessario rompere la solitudine delle famiglie

Intervista al Presidente della Confederazione italiana dei Consultori familiari di ispirazione cristiana

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ROMA, martedì, 22 marzo 2005 (ZENIT.org).- “Le culle vuote sono l’effetto di un grande pessimismo, per questo bisogna ridare un orizzonte di speranza alla famiglia”, ha detto in un intervista a ZENIT, l’avvocato Goffredo Grassoni, Presidente della Confederazione italiana dei Consultori familiari di ispirazione cristiana ( CFCI ).

La CFCI è la più grande associazione nel settore, attiva dal 1978 vi aderiscono 173 consultori distribuiti in 16 Regioni. In questi consultori operano circa 3.500 consulenti e specialisti che assistono donne, bambini, famiglie nei campi della psicologia, del sociale, della pedagogia, della medicina, della legislazione.

“Il ruolo dei consultori cattolici è quello di vera promozione della cultura familiare”, ha spiegato il Presidente del CFCI. “I servizi sono fondamentali ma sono dei sottosistemi. L’obbiettivo vero dei servizi è quello di promuovere una cultura familiare”.

Che tipo di cultura volete promuovere?

Grassani: Una cultura che vuol dire unità della famiglia, stili di vita, ruolo di responsabilità della comunità familiare sia all’interno che all’esterno, una cultura che vuole dire solidarietà tra generazioni, perché non possiamo continuare ad abbandonare gli anziani nelle città in condizioni di disagio.

Questa è la grandezza della famiglia da promuovere, non parliamo poi dell’educazione dei figli, della formazione alla libertà, alla responsabilità e alla socialità.

E’ vero che il CFCI svolge un ruolo di coordinamento anche con altre associazioni di volontariato?

Grassani: L’Associazione dispone di 173 consultori che sono in crescita sia in termini numerici che di servizi. Ha una stretta collaborazione con il “Movimento per la Vita” (MPV) e con i 640 Centri di Aiuto alla Vita (CAV), perché la Vicepresidente è l’onorevole Olimpia Tarzia, Segretario generale del MPV. Inoltre per ragioni culturali e storiche, collaboriamo strettamente con l’AVO (Associazione Volontari Ospedalieri), essendo stato io uno dei soci fondatori.

L’AVO è nata a Milano nel 1964 ed oggi conta oltre 26.000 volontari ed è presente in oltre 400 ospedali.

E’ evidente che in questa contingenza dei referendum abrogativi della legge 40/2004 sulla procreazione assistita, avendo interessi comuni nella battaglia per la tutela e la promozione della vita, abbiamo promosso una stretta collaborazione.

L’obiettivo è quello di promuovere nelle coscienze il significato, il senso vero della vita, prescindendo dagli aspetti tecnici eugenetici della consultazione referendaria

Lei è uno dei primi firmatari del “Comitato Scienza e Vita” ed ha preso una posizione netta sul non andare a votare i referendum. Perché?

Grassani: I referendum sono di due tipi, c’è quello propositivo quando le camere hanno deliberato un progetto e chiedono al popolo sovrano che cosa ne pensano. Quello che ci riguarda appartiene invece alla categoria dei referendum abrogativi, intende cioè abrogare una legge già esistente.

In particolare i referendum abrogativi tendono ad abrogare la legge 40/2004 che in qualche misura tutela il diritto alla vita ed il diritto giuridico dell’embrione. Dal punto di vista della Giurisprudenza la Corte Costituzionale ha già detto in passato che non è ammissibile un referendum abrogativo quando si tendono ad abrogare i diritti garantiti dalla Costituzione.

Per noi il diritto alla vita è il primo dei diritti garantiti dalla Costituzione, non c’è diritto alla libertà, al lavoro, se non c’è la vita. Allora è chiaro che, se in ballo vi è un diritto indisponibile, non posso deliberare con il mio voto, non posso esercitare attività discrezionale su un diritto indisponibile come la vita.

Quindi per coloro che credono nella vita, un segno forte di questa decisione è non andare a votare.

Lei è stato appena eletto Presidente del CFCI, qual è il suo programma di lavoro per i prossimi tre anni?

Grassani: Nel programma di questo triennio della Confederazione che ho proposto c’è un elemento forte. Occorre ricostituire nell’ambito delle comunità cristiane una forte solidarietà tra coloro che operano nei consultori e la famiglia in senso proprio.

Non è il consultorio che deve aspettare la famiglia per dargli aiuto, è il consultorio che deve cercare la famiglia, che deve alimentare le famiglie, capire dove sono i problemi e intervenire con carità cristiana.

Questo approccio fa intravedere un orizzonte di speranza alla famiglia, perché le culle vuote sono l’effetto di un grande pessimismo. La gente non fa più figli perché è preoccupata, angosciata e si sente sola.

Dobbiamo rompere questa solitudine, e attraversare gli affollati deserti delle nostre città metropolitane. Nelle grandi città le famiglie sono sole, e per questo devono essere ricongiunte alla comunità cristiana.

In che modo è venuto in contatto con il mondo del volontariato?

Grassani: Sono uno studioso di diritto, di professione ho fatto l’avvocato. Nel mio studio c’è uno statuto per tutti i collaboratori che prevede l’obbligatorietà del volontariato culturale. Tutti gli avvocati che collaborano con me fanno volontariato culturale.

Pensi che mi sono occupato del volontariato dal 1961, quando ho costituito il primo volontariato per il terzo mondo. Da allora ho partecipato alla nascita ed alla crescita di tante associazioni.

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ZENIT Staff

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