"Consacratevi al mio Cuore Immacolato"

Riflessione di padre Piatti nella ricorrenza liturgica di Maria Santissima Addolorata

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di padre Mario Piatti icms,
direttore del mensile “Maria di Fatima”

ROMA, sabato, 15 settembre 2012 (ZENIT.org).- Dal trono e dall’altare della Croce viene donato finalmente al mondo un criterio nuovo di valutazione, che capovolge le nostre abituali e comuni prospettive. “Avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine”, dice il vangelo di Giovanni. Li amò “sino alla fine”, cioè sino alle estreme conseguenze dell’amore, che consistono nel donare tutto – la vita stessa – per chi si ama.

In questa logica è coinvolta la Madre, associata a Cristo in tutto e ora, ancora di più, ai piedi della Croce, innestata per sempre in questo inscindibile legame di dolore e di amore, attraverso il quale Gesù ci dona la Salvezza.

Con l’Incarnazione la divinità del Verbo ha “toccato” la nostra misera condizione, risanandola radicalmente ed elevando l’apparente banalità della vita alle altezze delle “cose di Dio”. In virtù di questo atto di Misericordia anche il dolore della Madre acquista un valore universale, diviene significativo per ogni uomo. “Tutte le generazioni mi diranno beata”, proclama nel Magnificat la Vergine; ma, pure, in tutti i tempi, Ella sarà anche l’Addolorata, raccoglierà nel suo Immacolato Cuore l’eco di ogni dolore. Sarà invocata nella prova, nell’angoscia, nella malattia. Il popolo di Dio, nei suoi ricorrenti drammi, coglierà una speciale parentela di affetti con Lei e la sentirà solidale in tutto il suo difficile cammino. Gli innumerevoli “titoli”, con cui la Vergine è ricordata e venerata dovunque, esprimono la vastità di questo corale affidamento di tutta la povertà umana a Lei, “Madre di Misericordia”, capace di comprendere e di sostenere maternamente ogni infermità: fisica, morale e spirituale.

Dio ha voluto, nel mistero della sua Volontà, che in quel Cuore si celebrassero i gaudi del Cielo e si avvertissero insieme i morsi crudeli della sofferenza umana, in una compenetrazione di amore e di dolore che in Maria raggiunge il suo culmine più sublime. In Lei la nostra fatica quotidiana riceve, per Grazia, una luce e un senso nuovi, ogni pena acquista un valore inatteso.

In virtù dell’infinito valore della Redenzione, la partecipazione di Maria Santissima alla Passione del Figlio acquisisce perciò una valenza universale, divenendo “esemplare” per ogni generazione, per ogni cristiano; e travalica addirittura i confini della Chiesa, come “segno” eloquente, umanissimo, comprensibile dunque a ogni uomo “di buona volontà” e motivo di speranza e di riflessione per tutti.

La Consacrazione al Cuore Immacolato trova, nell’icona evangelica di Maria accanto alla Croce del Figlio, il suo fondamento e la sua ragione. Lungo i secoli i cristiani si sono sempre sentiti “affidati” in modo speciale a questa Madre; molti, come il Montfort, hanno saputo, con soprannaturale sapienza, cogliere le radici spirituali e teologiche di una realtà che non è soltanto affettiva e sentimentale, ma che rientra a pieno diritto nel quadro della economia salvifica.

Sia in forma privata e personale; sia comunitaria, ecclesiale –fino a coinvolgere tutta la Chiesa, come avvenne il 25 marzo del 1984, in Piazza San Pietro, per iniziativa del beato Giovanni Paolo II- questo gesto rinnova e conferma l’impegno assunto dalla Vergine a beneficio dei suoi figli, rappresentati dall’apostolo Giovanni. Lo “Stabat” di Maria segna, con la irrevocabile forza della sua Fede, la nostra vita e la storia stessa della Chiesa: nulla e nessuno l’avrebbero potuta mai più distogliere o allontanare dalla sua missione, di ricondurre i figli dispersi alla sorgente della Verità e di offrire a tutti il materno conforto della sua intercessione.

Il dolore riceve uno “statuto nuovo”, ai piedi della Croce, nella Persona di Cristo e per la presenza di sua Madre: non più la maledizione della originaria condanna, ma la libertà di chi ama, di chi abbraccia il fratello piagato, di chi si consacra al Bene e per il Bene del prossimo. In quel solenne reciproco affidamento – della Madre a Giovanni e dell’apostolo a Maria – sono comprese le infinite e variegate espressioni della carità; sono riassunti i nostri tentativi, spesso impacciati, ma che vorremmo sempre autentici e sinceri, di prodigarci per i nostri cari, per gli altri, affidati a noi, alla nostra generosità, alla nostra attenzione. Ogni sofferenza che incontriamo è come una richiesta rinnovata e incessante di amore che deve trafiggere il nostro cuore, come attraversò la spada del dolore quel Cuore Immacolato; che deve travolgere il nostro opaco e gretto egoismo, per aprirci alla Grazia; che deve vincere le nostre resistenze e reticenze, per fare di noi, finalmente, una creatura nuova.

Lo “stabat” di Maria ci insegna anche a rimanere al nostro posto, là dove Dio ci ha chiamati, per essergli testimoni -nell’apparente consueto “grigiore quotidiano”- della vita nuova del Vangelo. Senza sognare illusori “paradisi”, ma abbracciando la Volontà di Dio nelle condizioni, nei volti e nelle circostanze che Lui ha voluto per noi. È lì che incontriamo la Madre; e lì che Ella si fa mediatrice di Grazia per noi.

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ZENIT Staff

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