Condanna ortodossa e cattolica della violenza contro i Serbi in Kosovo

Volontari cattolici chiedono un maggiore impegno da parte della comunità internazionale

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ROMA, lunedì 22 marzo 2004 (ZENIT.org).- Rappresentanti della Chiesa cattolica e della Chiesa ortodossa hanno levato insieme la proprio voce a condanna degli atti di violenza che hanno luogo contro i Serbi del Kosovo, da mercoledì scorso.

Sedici chiese e monasteri serbo-ortodossi, molti di essi gioielli dell’architettura medioevale, sono stati demoliti in Kosovo da quando sono scoppiati gli scontri, secondo quando annunciato venerdì dalla Chiesa ortodossa serba a Belgrado.

A Pristina, poliziotti dell’ONU e soldati della Forza multinazionale (KFOR) hanno utilizzato giovedì notte gas lacrimogeni per disperdere un gruppo di Kosovari di origine albanese che stavano incendiando la chiesa di San Nicola.

Secondo fonti dell’ONU, gli atti di violenza in Kosovo hanno provocato da mercoledì almeno 31 morti e circa 500 feriti. Centinaia di serbi sono stati evacuati dalla missione ONU in Kosovo (MINUK) e dalla KFOR.

Venerdì, la Chiesa ortodossa greca ha confessato la sua “forte preoccupazione” per i fatti ed ha assicurato di essere disposta a offrire tutto il suo aiuto alla Chiesa ortodossa Serba.

Anche la Chiesa cattolica ha fatto appello affinchè si ponga fine agli scontri. Dai microfoni della Radio Vaticana, un religioso che lavora in quella regione e che ha chiesto di restare anonimo, ha rivolto un appello per mantenere la “calma”.

“Ad ogni modo, bisogna precisare che gli ultimi scontri non hanno nulla a che vedere con la religione o con la fede: è una questione puramente politica”, ha affermato il religioso.

Il Volontariato Internazionale per lo Sviluppo, una delle organizzazioni non governative cattoliche presenti in quella regione, ha rivolto un appello alla comunità internazionale perché risolva alcuni dei problemi pendenti che hanno già influito sul conflitto alla fine degli anni ’90.

“Dopo cinque anni esatti dall’operazione repressiva di Slobodan Milosevic e dai bombardamenti sulla Serbia e il Kosovo da parte delle forze NATO, la regione balcanica torna a rivivere ancora una volta la recrudescenza degli scontri tra le due etnie”, afferma Antonio Raimondi, presidente dell’istituzione.

“Questo è ciò che succede se dopo un conflitto non si interviene sulle sue cause più profonde” – aggiunge il presidente dell’organizzazione ispirata alla spiritualità salesiana. “Non basta garantire una pacificazione forzata con la presenza militare internazionale, in Kosovo dal 1999 e in Bosnia dal 1995, ma è necessario lavorare per promuovere la giustizia sociale e la riconciliazione, elementi essenziali per una pace autentica e duratura.”

“Il Kosovo vive un periodo di grande incertezza politica ed economica. Di fatto, non si sa ancora cosa sarà della regione in futuro: regione con una forte autonomia all’interno della Repubblica di Serbia e Montenegro o Stato indipendente. A livello economico, basta ricordare che la disoccupazione raggiunge il 57% della popolazione attiva”, constata Raimondi in un comunicato giunto alla redazione di ZENIT venerdì scorso.

Il presidente del Volontariato Internazionale per lo Sviluppo rivela che quando si chiede un maggior impegno della comunità internazionale nella regione, soprattutto dell’Europa, tutti ripetono che “oggi le priorità sono altre, l’Afghanistan e l’Irak”.

“Vorrei ricordare a tutti, proprio a tutti, le scene drammatiche che ci hanno accompagnato negli anni ‘90”, ha poi detto a conclusione.

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ZENIT Staff

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