Con il corpo a Roma ma con il cuore in Corea

Ai fedeli riuniti in Aula Paolo VI per l’Udienza generale, Francesco racconta il suo recente viaggio nella terra asiatica riassunto secondo tre parole-chiave: “memoria, speranza, testimonianza”

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Un “grande dono” che si può riassumere in tre parole-chiave: “memoria, speranza, testimonianza”. Si snoda a partire dal vivido ricordo del recente viaggio in Corea del Sud, la catechesi di Papa Francesco per l’Udienza generale di oggi, la seconda di agosto. Con i fedeli riuniti non in piazza San Pietro, ma in una Aula Paolo VI gremita e piacevolmente climatizzata, Francesco condivide il diario di bordo del suo pellegrinaggio in terra asiatica. 

Un viaggio durante il quale – dice – “ho avuto modo di visitare una Chiesa giovane e dinamica, fondata sulla testimonianza dei martiri e animata da spirito missionario”. Un viaggio il cui significato lo condensa nella memoria, nella speranza e nella testimonianza di un paese in cui “si incontrano antiche culture asiatiche e la perenne novità del Vangelo”.

Memoria appunto perché la funzione principale della Chiesa nel “Paese del calmo mattino” è di essere custode di memoria e speranza, come il Papa stesso ha ribadito ai vescovi nell’incontro a Seoul. La memoria, cioè, di tutti gli anziani, gli antenati di questa grande famiglia spirituale, la cui testimonianza trasmette ancora oggi forza, rigore nel lavoro, ordine e disciplina alle nuove generazioni, e mantiene accesa in loro “la fiaccola della fede”.

“La memoria dei testimoni del passato diventa nuova testimonianza nel presente e speranza di futuro”, dice infatti il Papa. E in questa danza tra passato e futuro, offre una chiave di lettura per interpretare i due eventi principali del viaggio in Corea. Anzitutto la beatificazione dei 124 Martiri coreani, che – ricorda – “si aggiungono a quelli già canonizzati 30 anni fa da san Giovanni Paolo II”. Poi l’incontro con i circa 50.000 ragazzi e ragazze provenienti da ogni parte del Continente giallo, in occasione della VI Giornata Asiatica della Gioventù.

Entrambi, questi, due eventi dedicati ai giovani: quelli del passato che hanno offerto la propria intera vita a Cristo, e quelli del presente, desiderosi di farlo al più presto. Perché “il giovane – osserva il Santo Padre – è sempre una persona alla ricerca di qualcosa per cui valga la pena vivere, e il Martire dà testimonianza di qualcosa, anzi, di Qualcuno per cui vale la pena dare la vita”. Questa è la speranza di cui essere custodi, nonché la gioia che la gioventù asiatica ha assaporato in questi giorni e che ora porterà nei diversi Paesi dove “faranno tanto bene”.

Nel libro della memoria della Corea una menzione speciale meritano poi i laici, i quali – rimarca Papa Francesco – ebbero un ruolo “primario” sia “agli albori della fede”, sia “nell’opera di evangelizzazione”. Non furono sacerdoti né missionari, infatti, a gettare il seme buono del Vangelo in quella terra, bensì “un gruppo di giovani coreani della seconda metà del 1700” che “furono affascinati da alcuni testi cristiani, li studiarono a fondo e li scelsero come regola di vita”.

Uno di loro fu poi inviato a Pechino per ricevere il Battesimo che amministrò a sua volta ai compagni. Da un piccolo e coraggioso nucleo si sviluppò quindi una “grande comunità”, ricorda Bergoglio, “che fin dall’inizio e per circa un secolo subì violente persecuzioni, con migliaia di martiri”. E nel segno del martirio e dell’impegno missionario, i primi cristiani coreani “si proposero come modello la comunità apostolica di Gerusalemme, praticando l’amore fraterno che supera ogni differenza sociale”. Un incoraggiamento per i tempi attuali “ad essere generosi nella condivisione con i più poveri e gli esclusi”.

La storia della fede in Corea rende evidente, dunque, che “Cristo non annulla le culture, non sopprime il cammino dei popoli che attraverso i secoli e i millenni cercano la verità e praticano l’amore per Dio e il prossimo”. Cristo – insiste Papa Francesco – “non abolisce ciò che è buono, ma lo porta a compimento”.

L’unica cosa che Egli combatte “è il maligno”, che “semina zizzania tra uomo e uomo, tra popolo e popolo; che genera esclusione a causa dell’idolatria del denaro; che semina il veleno del nulla nei cuori dei giovani”. E che, ammette implicitamente il Papa, è colpevole anche delle guerre e divisioni tra le due Coree.

Non dimentichiamo però che il maligno è stato già sconfitto dal Figlio di Dio attraverso “il suo Sacrificio d’amore”. Anche noi, allora, “se rimaniamo nel suo amore”, come i Martiri “possiamo vivere e testimoniare la sua vittoria”, afferma il Pontefice. E con questa stessa fede, esorta a pregare per “i figli della terra coreana”, affinché, al di là delle divisioni, “possano compiere un cammino di fraternità e di riconciliazione”.

Un ultimo pensiero infine per Maria Assunta in Cielo, la cui luce ha illuminato il viaggio in Corea del Sud. Il Pontefice ne invoca la benedizione “dall’alto, dove regna con Cristo”, e assicura che, come Madre della Chiesa, “accompagna il cammino del popolo di Dio, sostiene i passi più faticosi, conforta quanti sono nella prova e tiene aperto l’orizzonte della speranza”.

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Per il testo integrale della catechesi del Santo Padre cliccare qui

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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