Comunicazione e catechesi: l'esempio di Giovanni Paolo I

Il Papa del sorriso che evangelizzava raccontando con gioia

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di Antonio Gaspari

CITTA’ DEL VATICANO, sabato, 24 novembre 2012 (ZENIT.org) – Nel corso del convegno di studio a cento anni dalla nascita di Albino Luciani, organizzato dall’Osservatore Romano e dal Messaggero di sant’Antonio, svoltosi in Vaticano, giovedì 8 novembre, è intervenuto il prof. Roberto Pertici docente di Storia contemporanea all’Università di Bergamo, con una relazione dal titolo Giovanni Paolo I: la passione del comunicare.

Seppure il pontificato di papa Luciani sia durato solo 33 giorni, è riconosciuto che comportò un cambiamento radicale dei modi della comunicazione pontificia e non solo. 

Ha raccontato il prof. Pertici che “basta leggere i quotidiani del tempo  per rendersi conto dell’enorme successo che Papa Luciani riscosse, dell’aumentare vertiginoso dei partecipanti alle udienze, dello stupore da cui furono presi anche scaltriti uomini di cultura” .

Alfredo Cattabiani, allora direttore delle edizioni Rusconi, avrebbe poi ricordato di avere ascoltato per la prima volta la sua voce nel pomeriggio di domenica 3 settembre, durante la messa d’inizio del ministero pontificio (quella che fino ad allora era culminata nell’ incoronazione, ma Luciani modificò radicalmente l’investitura pontifica, abolendo la tiara e l’intronizzazione).

Era con lui lo scrittore Diego Fabbri, a Venezia per il premio Campiello: “ascoltavamo silenziosamente  attenti – ha scritto Cattabiani – e alla fine dell’omelia ci sorprendemmo entrambi in un gesto irrefrenabile, il segno della Croce, commossi e colmi di speranze”.

Venerdì 1 settembre 1978, Giovanni Paolo I  ricevette nell’aula delle Benedizioni gli ottocento giornalisti italiani ed esteri che avevano seguito le vicende vaticane dal giorno della morte di Paolo VI.

Li deliziò con un approccio schietto e bonario, li invitò a “non attardarsi sulle cose secondarie” a “non cedere alla superficialità e di considerare anche la dimensione sacra della realtà”.

Papa Luciani disponeva di un repertorio illimitato di aneddoti, citazioni, reminiscenze letterarie e storiche che ricorrono ripetutamente per quarant’anni nei suoi scritti e discorsi.

Qualche prelato lo criticava per il suo stile semplice e diretto, in realtà Giovanni Paolo I aveva la consapevolezza dell’importanza dei mass media  ed era convinto della necessità che laici ed ecclesiastici se ne servissero per la loro attività di apostolato.

Il prof. Pertici ha ricordato che Luciani era stato precocissimo giornalista (iniziò a scrivere per Il Celentone, bollettino parrocchiale di Forno di Canale, alla fine degli anni Venti)  e poi sempre svolse una fittissima attività pubblicistica per bollettini parrocchiali, giornali e riviste: fino alla collaborazione al Gazzettino di Venezia degli anni Settanta, alla quale affiancò quella al Messaggero di Sant’Antonio, da cui scaturì il fortunato volume Illustrissimi che anche il cardinale Joseph Ratzinger ha letto e apprezzato pubblicamente.

Già in una serie di conversazioni col clero della sua diocesi del settembre 1960, Luciani parlò della «parola di Dio “incartata”», cioè sulla possibilità di fare dei giornali un veicolo di evangelizzazione.

Egli proponeva una stampa che fosse al tempo stesso di notizie, ma anche di orientamenti culturali e religiosi, purché – aggiungeva – «il giornale resti giornale e non predica, non libro di studio».

Il giovane Luciani non amava il giornalismo “colto” o “sofisticato”, tipico dello “snobismo di massa”. Il primo a insegnargli un modo più efficace di comunicare fu Don Filippo Carli, il parroco di  Canale d’Agordo.

Racconta il giovane Luciani che al primo articolo che scrisse nel 1961 per il Bollettino diocesano, Don Filippo gli disse. “È ben scritto, ma sa di predica ed è troppo lungo e difficile. Pensa che lo deve leggere quella vecchietta, sai?, che sta su in cima al paese. Te la immagini, povera vecchia, cogli occhiali sul naso e le mani tremanti, davanti a queste parole così moderne, che ci hai messo e a questi periodi così lunghi? Provaci di nuovo, ma va a capo spesso, cioè fai periodi corti corti, con idee semplici, vestite di immagini ed esposte con parole facilissime”.

Luciani imparò la lezione e cominciò a scrivere e spiegare. “La bravura, – affermò – non è nel dire cose facili con parole difficili, ma cose vere con parole facili”.

Per chiarire e illuminare situazioni e concetti, Luciani cominciò a inserire  di continuo nei suoi interventi (articoli e omelie) un gran numero di racconti e reminiscenze letterarie, accumulati in decenni di voraci letture: Esopo, La Fontaine, i fratelli Grimm, il prediletto Mark Twain e Charles Dickens, Paul Bourget e Alphonse Daudet, Bernanos e Claudel, Chesterton o Anatole France, Papini  e Solovev, Bernardino da Siena e Piero Bargellini, Pierre l’Ermite e innumerevoli altri.

Ha osservato il prof. Pertici che la sua tecnica comunicativa rifletteva l’approccio catechetico.

Sull’utilizzo delle storie, Luciani scrisse: “i racconti contengono i pregi sia dei paragoni che degli esempi ed oltre che gettar luce nell’intelligenza, spingono al bene e servono a tener la disciplina nella scuola. […] Saper raccontare bene è una delle migliori qualità del catechista. Vi riesce chi si fa piccolo come i fanciulli e si adatta ai loro gusti, facendo vivere e parlare fra di loro i personaggi del racconto, drammatizzando e sceneggiando”.

“Narrando – aggiunse – si stia attenti a usare frasi brevi, parole concrete e chiare, a gettar la luce là dove deve risplendere. […] Se vuole ‘far vedere’ la verità che si sta spiegando, il racconto deve apparire strettamente unito alla verità spiegata, parte del catechismo, e non come uno zuccherino staccato, che si dà per far accettare un cibo o una medicina sgradevole”.

“La prima dote del catechista, che deve saper rendere attraente e desiderabile la verità, – aveva scritto nel 1950  – è l’arte irresistibile di insinuarsi nei cuori” ed ancora “si predica troppo, si istruisce poco”, e poi «Le prediche son su, alte, aeree, vicine alle canne dell’organo: bisogna scendere, vicino ai cuori, col catechismo». […] In questo clima di vicendevole amore, correva benissimo il dialogo catechistico, filavano che era un piacere le spiegazioni familiari, avrebbero stonato le frasi pompose e magniloquenti”.

Come ha rilevato il prof. Pertici, “queste sono le regola auree dello stile comunicativo di Luciani, che lo spinsero come ad “annullare la distanza fra il Papa e il vasto uditorio che gli stava di fronte, nella piazza e nelle case davanti ai televisori”.

Ha concluso il docente di Storia Contemporanea: “Era il Papa del sorriso”; questo fu il titolo dei giornali  il giorno dopo la sua morte improvvisa e solitaria. Ma quel sorriso non scaturiva dalla bonomia contadinesca di un parroco veneto salito al soglio di Pietro (come anche fu detto). In quel sorriso fioriva la gioia interiore di chi ha bisogno di perdono e sa di poter essere perdonato: e questa speranza vuol comunicare ai suoi fratelli”.

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ZENIT Staff

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