Comunicare al mondo la propria esperienza dell'incontro con Cristo (Seconda parte)

L’esperienza di don Giussani ricordata da Roberto Fontolan

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Riportiamo oggi la seconda e ultima parte dell’intervento di Roberto Fontolan, direttore del Centro Internazionale di Comunione e Liberazione, al Convegno internazionale sulla missione dei movimenti ecclesiali e delle nuove comunità nella formazione e nella diffusione della fede, che si è svolto il 16 maggio all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum. 

*** 

4. Allargare la ragione.

Qui si capisce tutta la portata della battaglia, che Benedetto XVI ha condotto per l’intera durata del suo pontificato, ad allargare la ragione.

Perché questa cultura in cui oggi siamo immersi, non deriva tanto dall’aver abbandonato i principi che la Chiesa propone, quanto da un uso ridotto della ragione in chiave esclusivamente positivista, dalla quale viene escluso tutto ciò che non rientri nel campo del verificabile o del falsificabile.

Ma è del tutto evidente la limitatezza di un simile concetto di ragione. A questo proposito non possiamo dimenticare la geniale metafora del bunker, usata da Benedetto XVI durante il suo viaggio in Germania, per cui « la ragione positivista, che si presenta in modo esclusivista e non è in grado di percepire qualcosa al di là di ciò che è funzionale, assomiglia agli edifici di cemento armato senza finestre, in cui ci diamo il clima e la luce da soli e non vogliamo più ricevere ambedue le cose del mondo vasto di Dio»9. Soltanto una ragione aperta al linguaggio dell’Essere può lasciare lo spazio per una fede non percepita come un’aggiunta irrilevante. E solo se noi accettiamo di usare la ragione secondo tutta la sua ampiezza – e non ridotta al misurabile, al dimostrabile o al logico – possiamo superare quel dualismo che condanna la fede come priva d’interesse per la vita di ogni uomo.

Occorrono testimoni in cui possa risplendere la bellezza, la ragionevolezza, l’intelligenza di una vita che sfidi la cultura della secolarizzazione: un soggetto umano che viva il reale in modo diverso.

In questo senso diventa ancora più stringente quella verifica della fede che Luigi Giussani profeticamente evocava: « […] una fede che non potesse essere reperta e trovata nell’esperienza presente, confermata da essa, utile a rispondere alle sue esigenze, non sarebbe stata una fede in grado di resistere in un mondo dove tutto, tutto, diceva l’opposto»10.

5. Afferrati dalla Verità.

Ma perché noi cristiani possiamo portare una novità liberante e ragionevole? Forse perché siamo i detentori della verità? No, perché nessuno possiede la verità, ma è la verità che ci possiede Esponendo questo concetto di fronte ai suoi ex- alunni riuniti a Castel Gandolfo, Benedetto XVI usava un termine a mio parere interessante. Diceva che noi siamo «afferrati» dalla verità. Questa parola – afferrati – è la medesima con cui il presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julián Carrón, ha voluto commentare la decisione del Pontefice di rinunciare al ministero petrino, parlando dell’«incredibile libertà di un uomo afferrato da Cristo»11.

La conseguenza di chi si lascia “afferrare” e guidare da Cristo, dalla verità fatta carne, ce l’ha testimoniata il Papa con la sua stessa persona, sorprendendoci «per una mossa di libertà senza precedenti, che privilegia innanzitutto il bene della Chiesa», mostrando al mondo intero «di essere totalmente affidato al disegno misterioso di un Altro.[…]. Il gesto del Papa è un richiamo potente a rinunciare a ogni sicurezza umana, confidando esclusivamente nella forza dello spirito[…]»12.

E si è trattato di un richiamo talmente potente che ha colpito non soltanto i cattolici, ma tutta l’umanità, che per un momento si è fermata.

E qui torniamo nuovamente al punto con cui abbiamo cominciato: non è stata una strategia comunicativa a creare lo stupore dello scorso 11 febbraio, ma il rapporto decisivo e totalizzante del Papa con il Signore della vita.

Benedetto XVI ci mostra in prima persona quale sia l’unico modo di comunicare al mondo l’incontro con Cristo: lasciarsi afferrare da Lui. È necessaria quindi una nostra continua riconversione a Lui, un ritorno costante alla sua persona. «A nulla fuorché a Gesù il cristiano è attaccato»13.

6.La vera speranza poggia su Cristo.

E con la stessa chiarezza, il suo successore, fin dalla scelta del nome Francesco, ci indica «dove occorre fissare lo sguardo. Come il poverello di Assisi, il Pontefice dichiara di non avere altra ricchezza che Cristo, e non conosce altro modo di comunicarla che la semplice testimonianza della propria vita»14. Francesco ci mostra dove può poggiare la vera Speranza: «Non lasciatevi prendere mai dallo scoraggiamento! La nostra non è una gioia che nasce dal possedere tante cose, ma nasce dall’aver incontrato una Persona: Gesù, che è in mezzo a noi; nasce dal sapere che con Lui non siamo mai soli, anche nei momenti difficili, anche quando il cammino della vita si scontra con problemi e ostacoli che sembrano insormontabili, e ce ne sono tanti! […] Noi accompagniamo, seguiamo Gesù, ma soprattutto sappiamo che Lui ci accompagna e ci carica sulle sue spalle: qui sta la nostra gioia, la speranza che dobbiamo portare in questo nostro mondo. E, per favore, non lasciatevi rubare la speranza! Non lasciate rubare la speranza! Quella che ci dà Gesù»15.

Mi sembra interessante che il Papa, tra i primi gesti dopo la sua elezione, abbia voluto esortare –in modo particolare i giovani – a non perdere la speranza. La stessa cosa aveva fatto Giovanni Paolo II, nel suo discorso d’inizio pontificato, con la frase, divenuta poi celebre, «Non abbiate paura, aprite, anzi spalancate le porte a Cristo»16. E anche Benedetto XVI aveva voluto riprendere l’invito dell’amato predecessore, proprio in occasione della sua prima celebrazione da Vescovo di Roma17.

Ma perché gli ultimi tre papi hanno voluto cominciare in questo modo i rispettivi pontificati? E soprattutto, nella realtà per tanti aspetti drammatica che oggi ci troviamo a vivere, chi altri ha il coraggio di fare un’affermazione del genere, specie se indirizzata ai giovani? Queste esortazioni alla speranza e al non avere paura, nascono non dal censurare tutta la problematicità che il nostro tempo porta con sé, ma perché, pur vivendo la stessa condizione che vivono tutti, può essere ragionevolmente affermare una positività.

Perché? Perché la nostra speranza non poggia sulla fiducia nella capacità o nella coerenza umana, ma sul fatto che Cristo ha già vinto.

E questo crea una certezza così grande che è in grado di «renderci liberi» da ogni paura e che non può non avere come riverbero il desiderio di comunicarlo a tutti. Non a caso Giussani affermava che la missione è «il modo originale di dialogo dei cristiani»18. Un dialogo che nasce dalla certezza di essere legati tutti da un comune destino. E questa, infatti, è un’altra grande scoperta dell’incontro con Cristo: che nell’unità con Lui nulla ci rimane estraneo. Il rapporto con Lui ci apre a tutto e a tutti, per questo la missione ha una tensione universale e non è autentica se non è aperta a tutti.

7.Una conversione continua nel rapporto costante con Lui.

Ma per essere portatori di questa novità, dobbiamo essere noi, in un certo senso, ogni volta, i primi destinatari di questo nostro annuncio. La via della conversione, difatti, non giunge mai ad un punto di arrivo definitivo. Per quale motivo? Perché il percorso del cristiano è un continuo «protendersi nella corsa per afferrare» di uno che «è già stato afferrato». Proprio in quanto non ci confrontiamo con un fatto del passato, ma con Gesù vivo oggi nella sua Chiesa è necessario un rapporto con Lui, un ritorno continuo a Lui. È necessaria una convivenza con Lui, dal momento che è questo il metodo che Gesù ha scelto per comunicarsi all’uomo.

In fondo cosa raccontano i quattro vang
eli se non com’era la vita con Lui? Sono riportati anche fatti eccezionali, è vero, ma lo stupore per il miracolo è destinato a scemare se si ferma alla meraviglia e rifiuta di impegnarsi in un rapporto con Lui.

È solo nella convivenza che noi veniamo approfondendo quel fascino di cui abbiamo sentito il contraccolpo iniziale, che però sbiadirà in un bel ricordo del passato se ci rifiutiamo di cominciare il cammino che questo contraccolpo implica e che Lui ci propone.

Come osservava Romano Guardini, «Questa rivelazione della divinità che si palesa nell’esistenza viva di Gesù, non però con manifestazioni irruenti e con azioni grandiose, ma con un continuo, silenzioso trascendere i limiti delle umane possibilità, in una grandezza e in una vastità che si percepiscono dapprima solo come una naturalità benefica, come una libertà che appare naturale, come umanità semplicemente sensibile – espresse nel nome meraviglioso di “Figlio dell’uomo”, che egli stesso tanto volentieri si attribuiva – finisce per rivelarsi semplicemente come un miracolo […] un passo silenzioso che trascende i limiti segnati dalle umane possibilità ma ben più portentoso della immobilità del sole e del tremare della terre»19.

Per annunciare l’esperienza dell’incontro con Cristo non dobbiamo riportare fatti eccezionali e sensazionali: essi possono avere una grande risonanza immediata, ma sono ben presto destinati all’oblio, perché al mondo non serve questo. Quello di cui davvero il mondo oggi ha bisogno – e che è realmente convincente del messaggio evangelico – è una quotidianità, che diventa sì eccezionale, ma non perché accadano fenomeni paranormali. Diventa eccezionale perché, pur rimanendo quotidianità, viene rinnovata dalla presenza di Cristo.

Chi riconosce la presenza di Cristo nella vita, chi accetta la Sua contemporaneità ha in sé una forza comunicativa che parla da sé. E lo vediamo bene, perché ciascuno di noi è attratto da quegli uomini e quelle donne che si rendono trasparenti a Cristo. Giriamo lo sguardo verso di loro, li cerchiamo, vediamo in loro una pienezza umana, una capacità d’amore, una verità d’animo che ci fa dire: «anch’io voglio essere così». Ma il bello del Cristianesimo è che ciascuno può essere così. E non perché uno diventi improvvisamente coerente, non ci sono esami da superare per giungere ad una tale pienezza e luminosità. Non si arriva a Cristo perché si è cambiati, si arriva a Lui perché si è bisognosi. Allora, di fronte a questo invito, nessuno può sentirsi escluso. 

(La prima parte è stata pubblicata ieri, sabato 18 maggio)

*

NOTE 

9 Benedetto XVI, Discorso durante la visita al Parlamento Federale nel Reichstag di Berlin, 22 settembre 2011

10 L. Giussani, Il rischio educativo, Rizzoli, Milano 2005, p. 20

11 Comunicato stampa – Carron (CL):«L’incredibile libertà di un uomo afferrato da Cristo»

12 Ibidem

13 L. Giussani, Quella grande forza del Papa in ginocchio, Repubblica 15 marzo 2000

14 J. Carron, Francesco ci indica dove occorre fissare lo sguardo, Avvenire 16 marzo 2013

15 Francesco, Omelia per la Celebrazione della Domenica delle Palme e della Passione del Signore, Roma, 24 marzo 2013

16 Giovanni Paolo II, Omelia di inizio Pontificato, Roma, 22 ottobre 1978

17 Benedetto XVI, Omelia di inizio Pontificato, Roma, 24 aprile 2005

18 L. Giussani, Il cammino al vero è un’esperienza, Rizzoli, Milano 2006, p. 188

19 R. Guardini, La figura di Gesù Cristo nel nuovo testamento, Morcelliana, Brescia 1964, p. 98

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ZENIT Staff

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