Commozione e meraviglie del Vaticano II

La convocazione, l’inizio e la chiusura del Concilio nei ricordi di un giovane seminarista

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di Monsignor Vitaliano Mattioli

ROMA, giovedì, 18 ottobre 2012 (ZENIT.org).- Il 25 gennaio 1959, festa della conversione di S. Paolo, Giovanni XXIII celebrò durante la mattinata nella basilica di San Paolo a Roma un solenne pontificale a chiusura dell’ottavario di preghiere per l’unità dei cristiani. Ma questa volta, al termine della Messa il Papa non uscì subito per tornare in Vaticano, come di consueto.

Ero presente alla celebrazione e non desideravo ritornare in Seminario senza vedere il Papa. L’attesa fu lunga. Non ci spiegavamo il perché. Questo lo apprendemmo quando, aprendo la Radio Vaticana, udimmo la notizia che il Papa dopo il pontificale, si era fermato in una sala del Monastero per comunicare ai Cardinali presenti la volontà di convocare un nuovo Concilio: il Vaticano II.

La gioia che provai, con gli altri seminaristi fu grande. In quel tempo studiavo nella facoltà di filosofia e poi di teologia nella Università Lateranense. Quei tre anni di preparazione conciliare furono intensi. Ricordo le varie tendenze specialmente sulla dogmatica e la Bibbia che emergevano nelle diverse Pontificie Università romane.

L’11 ottobre 1962, giorno della solenne apertura del Concilio Vaticano II fu un momento di grande emozione ecclesiale. Nella Basilica di S. Pietro era riunita tutta la Chiesa: Papa, Cardinali, Vescovi, periti conciliari. Attraverso le numerosissime telecamere, gli occhi di tutto il mondo erano puntati nella Basilica trasformata in Aula conciliare. Tuttavia una tristezza offuscò lo splendore di quella giornata: non erano presenti diversi Vescovi e Cardinali della Cina e della Unione Sovietica e Paesi ad essa soggetti, in quanto o imprigionati o le Autorità non avevano concesso il visto per recarsi a Roma; inoltre era assente (arrivò in seguito) la Delegazione della Chiesa Ortodossa Russa.

Partecipare al Concilio fu una grande grazia. Una cosa importante, che in un certo senso mi meravigliò, fu la grande libertà con la quale i Vescovi poterono parlare; libertà a volte anche ardita. Ma questo mostra il grande rispetto che la Chiesa presenta. Dopo la proclamazione del dogma della infallibilità pontificia (Concilio Vaticano I, 1870) alcuni pensarono che ormai la Chiesa aveva chiuso la bocca all’episcopato. Ed invece, non solo questo non avvenne, ma incrementò con il libero dibattito la possibilità dello sviluppo del dogma. Questa libertà di parola impressionò molto, specialmente le Delegazioni delle varie Chiese Ortodosse. Essendo la prima volta che poterono partecipare ad un dibattito conciliare, furono molto meravigliati di questa libertà di espressione esistente nella Chiesa Cattolica. Fu un buon passo in favore dell’ecumenismo.

Giorni molto densi di emozione furono quelli della morte di Giovanni XXIII. In conformità al Codice di Diritto Canonico, alla morte del Papa il Concilio venne sospeso. Spettava al successore continuarlo o no. Ma ormai i lavori conciliari erano avviati e non era opportuno interromperli. Con la sua grande saggezza, il nuovo Papa, Paolo VI espresse il desiderio di continuare. Era una decisione un pò scontata ma fummo tutti molto contenti.

Due grandi avvenimenti fuori del Concilio ma inseriti in quel contesto, captarono la mia attenzione: il viaggio di Paolo VI nella Terra Santa (gennaio 1964) e l’altro alle Nazioni Unite a New York (ottobre 1965).

Si commentò che il Papa esportava il Concilio. Era la prima volta, dopo S. Pietro, che un suo Successore ritornava in Terra Santa. La curiosità era su ciò che Paolo VI avrebbe detto nei vari discorsi, essendo la situazione politica molto complessa e la Santa Sede ancora non aveva relazioni diplomatiche complete con lo Stato d’Israele. Seppi in seguito che qualche discorso fu ‘ritoccato’ il giorno prima di essere letto, in quanto era prudente modificare alcune espressioni. Ma fu un trionfo. La Chiesa ne uscì più fortificata e le distane si accorciarono.

Al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite il problema era maggiore: un Papa invitato ufficialmente dal Segretario Generale U-Thant, poveva parlare ai potenti del mondo, molti non cattolici, alcuni ostili alla Chiesa e contro la religione. Lo stesso Paolo VI in una intervista concessa in seguito, si espresse confidenzialmente che aveva un pò di timore. Al suo ritorno tutti i Vescovi aspettavano il Papa nella Basilica (dall’aeroporto si recò direttamente nella Basilica). Ricordo che anche questo fu un momento molto commovente. Gli applausi coprirono completamente il canto “Tu es Petrus”.

Momenti forti furono quando venivano firmati in maggioranza Documenti discussi; per alcuni fino all’ultimo momento non si era sicuri se sarebbero stati approvati.

Per me il vertice della emozione fu alla vigilia della chiusura, il 7 dicembre 1965. Nella stessa ora Paolo VI nella Basilica di S. Pietro ed il Patriarca Atenagora nella chiesa patriarcale del Fanar a Costantinopoli revocarono le scomuniche comminate in quel triste 16 luglio 1054 dal Papa di allora Leone IX ed il Patriarca di Costantinopoli Michele Cerulario. Finalmente, dopo quasi 900 anni, queste scomuniche venivano abrogate e la distanza tra le due Chiese molto accorciata. Nella Basilica un fremito di commozione pervase gli animi di tutti i presenti.

Qui terminano i ricordi. Il resto è storia.

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ZENIT Staff

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