Commento al documento “Famiglia e procreazione umana”

Presentato dal Cardinal Alfonzo López Trujillo all’Università Urbaniana

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Di Luca Marcolivio

ROMA, giovedì, 17 gennaio 2008 (ZENIT.org).- Il 15 gennaio è stato presentato presso la Pontificia Università Urbaniana, alla presenza di illustri personalità laiche ed ecclesiastiche, il volume dal titolo “Famiglia e procreazione umana. Commenti sul documento” (Libreria Editrice Vaticana).

L’opera si pone come testo di approfondimento e riflessione al documento “Famiglia e procreazione umana”, che è stato pubblicato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia nel giugno 2006, in occasione del venticinquesimo anniversario di questa istituzione vaticana.

La conferenza è stata moderata da padre Gianfranco Grieco, OFM, capoufficio del Pontificio Consiglio per la Famiglia, e introdotto dal Rettore dell’Urbaniana, monsignor Ambrogio Spreafico, che ha sottolineato in modo particolare il carattere di “universalità” del concetto di famiglia, travalicante le epoche e le culture, e il fondamento biblico (Genesi) dell’istituto familiare.

È seguita la prolusione più lunga e più attesa: quella del Cardinal Alfonzo López Trujillo, Presidente del Pontificio Consiglio per la Famiglia. Esaurito il preambolo riguardante l’origine del documento, il porporato ha esordito richiamandosi al rapporto tra famiglia e demografia.

“È curioso – ha affermato López Trujillo – che taluni, senza alcuno studio approfondito, abbiano osato presentare come ideale demografico, la proposta di un solo figlio per famiglia, analogamente alla Sacra Famiglia di Nazareth”.

Prendendo ad esame i dati demografici dell’ultimo secolo, il Cardinale ha rilevato come le prospettive di un boom devastante della natalità, a livello mondiale, siano state smentite dalla realtà dell’ “inverno demografico” che coinvolge soprattutto l’Europa.

Citando il saggio La Peste Blanche dei francesi Pierre Chaunu e Georges Suffret, pubblicato nel 1976, il porporato colombiano ha parlato di “peste bianca”, intesa come “generalizzata mancanza di speranza, l’indifferenza per la vita, il rifiuto di tutto il sistema dei valori, l’egoismo presentato come la più raffinata delle arti”. Un nichilismo che ha come conseguenza un “suicidio collettivo”, anche demografico.

Il Cardinale ha quindi sottolineato il “legame strettissimo tra vita e procreazione umana” ed ha ricordato, citando l’enciclica Humanae Vitae, l’esistenza di un “significato di amore coniugale e di apertura alla vita umana, che non può essere seppellito da un atteggiamento di difesa della coscienza individuale e da una libertà incapace di aprirsi agli altri”.

Altro documento citato è stato la Familiaris Consortio per il quale “la procreazione umana non è riducibile a ciò che è meramente biologico”. “In questo senso – ha aggiunto Trujillo – l’essere umano non è un prodotto ma il luogo di una vera promozione umana che esige dai genitori, e anche dalla società, un amore tenero, un impegno insostituibile, cioè di coloro che sono alleati di Dio, nel dono miracoloso della vita umana”.

L’illiceità dell’aborto, in questo senso, è favorita dalla confusione tra legge e morale, “l’atteggiamento per il quale i delitti diventano diritti” e che conduce all’inganno dell’ “aborto sicuro” che, non meno di qualsiasi altra pratica abortiva, procura sempre e comunque la “crudele e inumana eliminazione della persona umana, del bambino, di colui che ha diritto a nascere”.

Altro ‘mito’, stigmatizzato dal Pontificio Consiglio per la Famiglia, è quello del cosiddetto “aborto raro”, l’aspirazione alla riduzione numerica delle interruzioni di gravidanza, che, comunque, ha “scatenato il più grande massacro mondiale conosciuto dalla storia dell’umanità, che porta a cancellare ogni anno una nazione pari alla popolazione dell’Italia”.

In conclusione del suo intervento, il Cardinale ha invitato a prendere ancor più sul serio il diritto alla vita del nascituro e anche la proposta di una moratoria sull’aborto, avanzata lo scorso mese dal Direttore de Il Foglio, Giuliano Ferrara.

Sono seguiti gli interventi di monsignor Angelo Amato, Segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha illustrato struttura e contenuti di Famiglia e procreazione umana e del professor Michael Waldstein, Presidente dell’Istituto Teologico internazionale per gli Studi su Matrimonio e Famiglia (Austria) e membro laico del Pontificio Consiglio per la Famiglia.

“Un bene comune – ha esordito Waldstein – è un bene che molte persone possono condividere senza doverlo ridurre o dividere”. In quest’ottica la pace, anche nell’ambito di una famiglia è “un vero bene comune”.

Al tempo stesso “il bene comune della famiglia viene prima di quello della comunità politica”, ha aggiunto il teologo che, richiamandosi a Famiglia e procreazione umana, ha indicato una “circolarità tra famiglia e società”. “La famiglia viene ordinata alla società e questa si ordina al servizio della famiglia”, si legge nel testo.

C’è però un ulteriore passaggio in quanto “la famiglia è anche ordinata al bene comune della Chiesa”. Citando il teologo “M.J.Scheeben (1835-1888), Waldstein ha affermato: “Quando si uniscono l’uno all’altra (uomo e donna) possono farlo in giustizia solo per lo stesso scopo che Cristo persegue nel suo legame con la Chiesa per estendere il corpo mistico”.

I rischi di una deriva eugenetica sono stati illustrati, attraverso numerosi esempi pratici, da Eugenia Roccella, giornalista e portavoce del Family Day. Analizzando il termine ‘tecnoscienza’, Roccella, ha subito evidenziato l’odierna concezione di una “scienza fondata sulla tecnica, più che sull’acquisizione della conoscenza”.

“L’irruzione della tecnoscienza sulla procreazione – ha proseguito Roccella – sta modificando in modo radicale le relazioni tra uomo e donna” ma soprattutto “la genitorialità e l’autopercezione del figlio”. Cresce, nel contempo, il ricorso alla fecondazione in vitro che, oltre a impedire a molti bambini nati la conoscenza del proprio padre naturale, condanna i nati con questa tecnica ad una molto probabile sterilità.

Inoltre gli esseri umani concepiti in vitro “sono spesso prematuri e sottopeso”, “con un più alto tasso di disabilità alla nascita”. Da questa tecnica, ha ricordato la Roccella, scaturiscono anche frequenti gravidanze multiple che spesso si risolvono nella “riduzione fetale”, ovvero “l’aborto di alcuni feti per permettere ad altri di svilupparsi”.

La “postmodernità tecnoscientifica” ha avuto come conseguenza “una frattura che non abbiamo mai sperimentato nel corso del tempo in modo così drastico ed assoluto”, che “ci allontana dal passato, dalla tradizione, dall’esperienza, in un certo senso da noi stessi”.

Tra le altre conseguenze della tecnoscienza c’è una concezione del corpo ridotto a mero “composto biochimico, materia che si può manipolare in laboratorio” o, al più, a “linguaggio, pura attività simbolica”. E il figlio, “sganciato dalle relazioni d’amore tra uomo e donna”, diventa “oggetto di consumo” e “realizzazione di un desiderio personale”.

Quest’ultimo atteggiamento “inquina il significato primario di maternità”, la quale si esprime naturalmente come “non scelta”, ovvero “accoglienza a prescindere da ogni condizione”. “È un amore non meritato, che tocca a ciascuno di noi come figlio, e non ci viene dato perché siamo buoni, belli o intelligenti” ma anche se “siamo brutti, disgraziati e con difetti fisici”.

Siamo dunque, secondo Roccella, sull’orlo di una “società postumana”, nell’ambito della quale i vecchi concetti pro-life, a difesa della vita, non sono più adeguati: anche l’embrione creato in laboratorio è vita, anche gli i
bridi e le chimere sono vita”.

Si palesa, quindi, il paradosso di una “società totalitaria in nome dei diritti individuali”. Una sorta di “totalitarismo genetico” che passa “attraverso l’utopia scientista” e che pretende di “dividere l’umanità tra chi ha diritto di nascere e chi no”.

Uno scenario dittatoriale nell’ambito del quale l’istituzione familiare è presa di mira, in quanto la famiglia, per dirla con G.K.Chesterton è “una cellula anarchica”, perché è “una zona cuscinetto tra l’individuo e la società, l’individuo e i poteri esterni, in primo luogo quelli dello Stato”.

“In essa – ha proseguito Roccella – non esistono criteri di efficienza economica e i primi sono gli ultimi. Si privilegia il debole, il malato e il piccolo; è il luogo dello scambio affettivo, del dono, dell’amore gratuito, dell’affidamento reciproco: si dà secondo i bisogni, si cura, si accoglie”. La famiglia è quindi “il luogo di resistenza naturale alla utopie di perfettibilità, all’esercizio dell’ingegneria sociale”, alla cui seduzione “l’individuo da solo non può resistere”.

La relazione conclusiva è stata affidata a monsignor Klaus Kung, consultore del Pontificio Consiglio per la Famiglia, il quale ha denunciato la “mentalità contraccettiva” come uno dei “fattori determinanti della denatalità”, affermando che “specie nell’ambito delle convivenze more uxorio la contraccezione diventa in un certo senso una pratica ‘obbligata’”.

“Matrimonio e famiglia possono avere esito felice – ha concluso – se i problemi ad essi inerenti sono affrontati con la fede. Sul piano pratico è giusto che le decisioni delle famiglie, in specie modo la nascita dei figli, non debbano essere condizionate dagli svantaggi economici”.

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ZENIT Staff

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