Come trovare Dio nella "Blogsfera"

Intervista al padre gesuita Antonio Spadaro

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ROMA, mercoledì, 26 aprile 2006 (ZENIT.org).-Antonio Spadaro, S.I., scrittore de “La Civiltà Cattolica”, ha appena pubblicato il libro “Connessioni, Nuove Forme della cultura al tempo di internet” (Pardes Edizioni, Pagine 178, Prezzo: € 13,00).

Nella prefazione Xavier Debanne, dirigente della Siemens Informatica S.p.A. (Siemens Business Services Group) e professore presso il Centro Interdisciplinare sulla Comunicazione Sociale della Pontificia Università Gregoriana dal 2002 al 2004, ha scritto che il libro di Spadaro “incita a riflettere sulla fenomenologia dell’incontro in Internet, in quanto luogo frequentato da milioni di persone ogni giorno, spazio che nessuno possiede e che favorisce le connessioni”.

“Tale luogo è diventato un ambiente culturale ed educativo frequentato da milioni di persone, credenti e non, e rappresenta per la Chiesa una formidabile opportunità di comunicazione perché consente di moltiplicare le connessioni sia come collegamenti personali sia per la costituzione di nuove forme di aggregazione sociale”, ha aggiunto.

In questa intervista concessa a ZENIT, padre Antonio Spadaro spiega l’influenza che la Rete, i blog, etc. esercitano sulla cultura e sul modo di vivere la religione, e come essi possano aprire spazi prima inesistenti di dialogo interreligioso e teologico.

C’è Dio nella blogosfera? E come si fa a trovarlo?

Padre Spadaro: In internet si nota una crescita di bisogni religiosi. Nel mio libro illustro il fenomeno, ne faccio notare i rischi (penso, ad esempio alle cosiddette cyber-religioni e alle sette), ma soprattutto cerco di indicare le sfide da accogliere con ottimismo e discernimento: la risposta ai bisogni religiosi più autentici. Il blog (Termine nato dalla contrazione tra Web e log (giornale, diario). è una delle realtà più interessanti della Rete. Esso è un «diario in Rete»: chi ne possiede uno inserisce giorno per giorno pensieri, idee, note, ma anche vere e proprie ampie riflessioni, anche molto attente. Ogni blog è collegato ad altri blog e tutti insieme costituiscono un vero e proprio sistema, definito comunemente come «blogosfera».

Esiste Dio in questi mondi di diari in Rete? Per quanto il dato sia relativo, esistono circa 130 milioni di pagine web in cui appaiono insieme le parole God e blog. Se ricerchiamo blog religiosi nel web mondiale notiamo un crescendo continuo di presenze. Non mancano idee stimolanti. La rivista Christianity today ha parlato di una vera e propria rivoluzione teoblogica e di blogosfera cristiana. Essa è molto variegata e comprende spazi di riflessione e discussione teologica tra studenti, blog legati a riviste cristiane, spazi personali, anche di pastori e sacerdoti, di ispirazione religiosa. La blogosfera italiana sembra ancora un luogo di espressione non ancora fortemente segnata dalla presenza ecclesiale né dalla riflessione teologica: è un compito aperto alla pratica e alla riflessione. Già si notano interessanti evoluzioni.

E’ possibile percorrere un cammino spirituale in rete?

Padre Spadaro: L’uomo alla ricerca di Dio oggi si pone anche di fronte a uno schermo e avvia una navigazione. In tal modo sussiste il rischio di illudersi che il sacro o il religioso sia «a portata di mouse»: basta un click per passare da un sito di neo-stregoneria a quello di un’apparizione mariana, oppure da un tempio neo-pagano a un sito di cristiani tradizionalisti. La Rete, proprio grazie al fatto che è in grado di contenere tutto, può essere facilmente paragonata a una sorta di grande supermarket del religioso. La Chiesa invece non è mai e in nessun caso «prodotto» della comunicazione.

La fede inoltre non è fatta soltanto di informazioni, né è luogo di mera «trasmissione», cioè non è una pura «emittente». E tuttavia, proprio notando questo proliferare del religioso in Rete è anche possibile farsi un’idea del bisogno profondo di Dio che agita il cuore umano, seppure vissuto in maniera spesso alienante e distorta. Rendersi conto di queste esigenze significa imparare a muoversi in questo ambiente digitale in maniera appropriata, proponendo iniziative adeguate: la possibilità di un dialogo spirituale, la possibilità di avere spunti di meditazione pubblicati in maniera periodica o inviati via e-mail. E altro ancora.

La mancanza di un contatto relazionale che non sia virtuale non è un handicap grave?

Padre Spadaro: Il motivo che spinge a stringere relazioni in Rete consiste proprio nella tipologia di rapporto che si crea. Esso presenta contemporaneamente elementi contraddittori. È infatti per sé molto anonimo e impersonale, in quanto ciascuno può far credere di essere ciò che non è a livello di età, sesso e professione, esprimendosi senza i limiti dati dalla propria identità pubblica. In Rete si dialoga per quel che ci si sente di essere. Proprio per questo dunque, il dialogo è anche molto confidenziale, perché permette di dire di sé cose che altrimenti difficilmente una persona direbbe nei suoi panni quotidiani. Si può avere un’apertura completa e un grande livello di autenticità, ma d’altra parte si può cadere anche nello spontaneismo senza limiti e senza pudori. Il cyberspazio dunque è un luogo emotivamente caldo e non algidamente tecnologico, come qualcuno sarebbe tentato di immaginare.

Il rapporto in Rete dunque può essere anonimo, ma anche estremamente «vero». Bisogna però sempre ricordare che la Chiesa è luogo di comunicazione e testimonianza vissuta del messaggio che si annuncia. I rapporti di Rete invece rischiano di formare un’abitudine all’inutilità della mediazione incarnata in un certo momento e in un certo luogo e, dunque, anche alla testimonianza e alla comunicazione autorevole. Benedetto XVI lo ha evidenziato di recente: si deve «purtroppo constatare che non sempre in questo nostro tempo le nuove tecnologie e i mass media favoriscono le relazioni personali» (discorso all’incontro Univ 2006). Dunque la relazione di Rete va comunque considerata come un’opportunità da cogliere con spirito di fiducia ma anche di attento discernimento nella direzione di rapporti «veri». Capita spesso che quando un rapporto iniziato in Rete si fa significativo poi spinge all’incontro reale. Comincia a non essere raro trovare persone in direzione spirituale o anche in cammino vocazionale che hanno avviato il loro percorso in Rete.

E’ possibile sviluppare un dialogo teologico?

Padre Spadaro: Se la Rete può essere luogo di dialogo spirituale, essa certamente può aprire al dialogo interreligioso e teologico spazi prima inesistenti. L’articolazione critica e la mediazione del sapere della fede, che è il compito primo della teologia, si realizza sempre in un contesto di pensiero, di linguaggio, di immagini, di cultura e dunque di «comunicazione». La Rete realizza una mutazione nel modo di vivere le istanze di comunicazione e di comunione. Pensiamo alla comunicazione costante tra persone che lavorano a una stessa idea, che però abitano in varie parti del mondo, e non si conoscono personalmente. Esse realizzano tra loro, se entrano in relazione forte, una sorta di «coscienza comune». Ciò certamente ha ricadute in ambito teologico, tanto più se la comunicazione avviene tra persone che per cultura e formazione usano metafore, immagini e linguaggi differenti per dire Dio e la fede. Quali effetti avrà ciò sulla conoscenza e la comunicazione teologica? È una domanda che impegna la teologia su vari piani. I primi livelli sono certamente quelli dello studio che usa teorie, modelli, metodi della scienza delle comunicazioni in grado di aiutare la propria riflessione sulla fede e quello del modo di comunicare la teologia. Un modello di teologia della Rivelazione di tipo «verbale», che inquadra l’u
omo come «uditore della Parola» o, se vogliamo, il modello della parabola puntata al cielo o quello dell’uomo-radar rischiano, infatti, di non essere così esplicativi come lo erano in passato. Se una volta l’uomo era visualizzabile come un essere alla ricerca di una risposta sulla sua vita, adesso è più inquadrabile come una persona in atteggiamento di scelta, selezione, discernimento sulla risposta più adatta e soddisfacente. Deve insomma imparare sia a cercare sia a trovare. La Rete offre alla teologia nuove opportunità e, insieme, lancia sfide di ordine sia metodologico sia speculativo.

Quanto le nuove tecnologie della comunicazione possono favorire le attività pastorale e quali i limiti della diffusione in rete?

Padre Spadaro: Giovanni Paolo II per la XXXVI Giornata mondiale delle comunicazioni sociali del 2002 scelse il tema: «Internet: un nuovo forum per proclamare il Vangelo». In occasione di quella giornata, preparò un messaggio dai toni ispirati al «senso di avventura che ha caratterizzato altri grandi periodi di cambiamento», al «realismo» e alla «fiducia» fino all’esortazione, rivolta a tutta la Chiesa, a «varcare coraggiosamente questa nuova soglia, per “prendere il largo” nella Rete». Quindi la pastorale deve confrontarsi con la Rete, non solo come «strumento» di evangelizzazione, ma innanzitutto come «ambiente» culturale e educativo. Esso determina uno stile di pensiero, contribuendo a definire anche un modo nuovo di costruire la conoscenza e le relazioni. L’uomo infatti non resta immutato dal modo con cui manipola il mondo: a trasformarsi non sono solo i mezzi di comunicazione, ma l’uomo stesso e la sua cultura. L’impegno nei mass media così non ha solo lo scopo di moltiplicare l’annunzio. Non basta usare i media per diffondere il messaggio cristiano e il magistero della chiesa, ma occorre integrare il messaggio stesso nella nuova cultura creata dalla comunicazione moderna.

In un capitolo lei parla della Rete come modello di Chiesa, ci spiega il perché?

Padre Spadaro: Le relazioni in Rete funzionano se le connessioni sono sempre attive: qualora un nodo o un collegamento fosse interrotto, l’informazione non passerebbe e la relazione sarebbe impossibile. La reticolarità della vite nei cui tralci scorre una medesima linfa non è distante dall’immagine di internet, tutto sommato. Da ciò si intende che la Rete è immagine della Chiesa nella misura in cui la si intende come un corpo che è vivo se tutte le relazioni al suo interno sono vitali. Poi l’universalità della Chiesa e la missione dell’annuncio «a tutte le genti» rafforzano la percezione che la Rete possa fornire un modello di un certo valore ecclesiologico. Ma il discorso può risultare ambiguo: la Chiesa non potrà mai essere intesa unicamente come una «comunità virtuale» né essere «ridotta» a una rete autoreferenziale. La Chiesa non è una Rete di relazioni immanenti, ma ha sempre un principio e un fondamento «esterno». Se le relazioni in Rete dipendono dalla presenza e dall’efficace funzionamento degli strumenti di comunicazione, la comunione ecclesiale è radicalmente un «dono» dello Spirito.

Nell’appendice del suo libro, lei dà molta attenzione alla lettura, arrivando al punto di dire che “la lettura può diventare esperienza spirituale”. Può illustrarci il suo punto di vista?

Padre Spadaro: Nel mio libro faccio notare come il libro abbia un carattere «virtuale» perché non può essere ridotto al testo stampato né al lettore: esso esiste veramente quando è letto, quando si sviluppa una interazione tra le pagine e chi le legge. Così l’opera prende vita. Il testo è come un gioco nel quale il lettore si coinvolge interattivamente.

L’esperienza proposta dagli Esercizi Spirituali di sant’Ignazio di Loyola immerge colui che li fa nel mistero biblico-cristiano e lo abilitano a interagire attivamente con personaggi, eventi, discorsi, anche grazie alla sua capacità di immaginazione. Gli Esercizi dunque possono costituire un modello di lettura di qualunque testo letterario. Il coinvolgimento, alla luce degli Esercizi, è una situazione nella quale il lettore entra con tutto se stesso (memoria, intelletto, volontà, direbbe Ignazio, e cioè con le sue aspettative, i suoi ricordi, la sua comprensione del reale) nella lettura e lì egli in qualche modo «legge» se stesso, i suoi desideri, le sue tensioni interiori. La persona attenta alla propria vita spirituale sarà in grado di «sentire e conoscere le mozioni che si causano nell’anima» durante la lettura. Esse sono all’opera in noi anche quando leggiamo un libro o vediamo un film. Non è raro che alcune immagini o alcune espressioni agiscano in noi in maniera profonda e siano fonte di consolazione o di desolazione spirituale. Perché avvenga questo riconoscimento è necessario il discernimento spirituale.

Così per il lettore formato alla spiritualità degli Esercizi non sarà insolito interrogare se stesso o discutere nel dialogo con una guida spirituale sulle emozioni che egli ha provato leggendo un romanzo o un racconto o anche guardando un film, notando — come chiede più volte Ignazio negli Esercizi — i «punti» o le «parti più importanti», dove si sia sentita «qualche conoscenza, consolazione o desolazione» o dove siano state avvertite «maggiori mozioni e gusti spirituali» (Esercizi Spirituali nn. 62, 118 e 227).

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ZENIT Staff

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