Come rivalutare il diritto canonico

Intervista allo scrittore Pete Vere

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di Carrie Gress

QUEBEC CITY, lunedì, 24 novembre 2008 (ZENIT.org).- Il diritto canonico non è solo un insieme di regole, ma la codificazione della nostra tradizione cattolica, afferma Pete Vere.

Vere è coautore, insieme a Michael Trueman, dei libri “Surprised by Canon Law: 150 Questions Laypeople Ask About Canon Law” e “Surprised by Canon Law, Volume 2: More Questions Catholics Ask About Canon Law”, entrambi pubblicati da Servant Books.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, Vere discute sul ruolo che il diritto canonico svolge nella vita ordinaria dei cattolici ma anche nelle difficili questioni come la liceità o meno della Comunione a politici abortisti oppure gli scandali legati agli abusi sessuali da parte del clero.

Cosa l’ha indotta a scrivere i due volumi “Surprised by Canon Law”? Sulla base della ricerca che ha svolto e delle reazioni che ha ricevuto dai suoi lettori, a suo avviso, in che modo il diritto canonico influisce sulla vita ordinaria dei cattolici?

Vere: Il diritto canonico riguarda ogni aspetto della vita quotidiana dei cattolici: ricevere la santa Eucaristia, ricevere l’assoluzione attraverso il sacramento della riconciliazione, scegliere la persona a cui affidare il ruolo di padrino. Il diritto canonico non è solo un insieme arido di regole, ma è una parte vivente della sacra Tradizione della Chiesa.

Nell’arco dell’ultimo decennio abbiamo visto il diritto canonico attuato nei molti avvenimenti straordinari della vita della Chiesa. Alcuni di questi eventi sono stati dolorosi, come lo scandalo degli abusi sessuali da parte del clero e la necessità di contrastare i politici cattolici che minano la sacralità della vita e del matrimonio. Altri eventi sono stati motivo di gioia e di celebrazione in tutta la Chiesa universale. Tra questi vi è l’elezione del Papa Benedetto XVI, la riconciliazione con i cattolici tradizionalisti a Campos, in Brasile, e le canonizzazioni di Suor Faustina, di Padre Pio, di Josemaría Escrivá e dei pastorelli di Fatima.

Quando scriviamo, come cattolici, speriamo e preghiamo che la nostra ispirazione venga dallo Spirito Santo, anche se saremo sempre strumenti umani imperfetti. Il più delle volte Dio ci parla attraverso la Chiesa e le altre persone. Nel caso del primo volume “Surprised by Canon Law”, l’ispirazione mi è giunta attraverso il Concilio Vaticano II, il movimento apologetico postconciliare e soprattutto attraverso il popolo di Dio che abbiamo servito nel ministero di giustizia.

Il diritto canonico non è fine a se stesso. Esso esiste per assistere la teologia nell’opera di salvezza delle anime, contribuendo a fare ordine nell’ambito della vita cristiana. In questo senso, la salvezza delle anime rappresenta la legge suprema della Chiesa.

Una delle grandi benedizioni scaturite dal Concilio Vaticano II è il fatto di aver aperto le scienze sacre ai laici, nel contesto della universale chiamata del Concilio alla santità. In altre parole, tutti i cattolici sono chiamati a crescere in santità e nella conoscenza della fede. Quindi il Concilio Vaticano II ha lanciato una sfida ai cattolici a diventare più consapevoli della propria fede.

Ma, mentre l’epoca postconciliare ha visto la Chiesa rendere più accessibili le Sacre Scritture e le diverse discipline teologiche ai laici, siamo stati più lenti nel fare lo stesso con il diritto canonico. Di fatti, mentre scrivevamo il primo volume di “Surprised by Canon Law”, Michael ed io ci preoccupavamo della possibilità che questo tentativo di rendere il diritto canonico più accessibile ai laici fosse visto con sospetto dai nostri colleghi del mondo canonico, soprattutto all’inizio, quando eravamo ancora giovani nella nostra professione e il nostro stile era fortemente influenzato dalla nuova apologetica e dal movimento di evangelizzazione.

Le nostre preoccupazioni non potevano essere più infondate. Sono ancora impressionato dalle preghiere, l’incoraggiamento e il sostegno che abbiamo ricevuto dagli altri studiosi di ogni ambito del diritto canonico.
 
Ed è stato con le loro preghiere e il loro incoraggiamento che ci siamo impegnati nella scrittura del secondo volume di “Surprised by Canon Law”, che risponde alle domande su determinate questioni che hanno suscitato l’interesse dei laici con la pubblicazione del primo volume.

Tra gli argomenti figurano: la canonizzazione dei santi, l’elezione papale, lo scandalo degli abusi sessuali, le Chiese cattoliche orientali, le possibili misure nei confronti dei politici cattolici che dissentono dall’insegnamento morale della Chiesa, l’ecumenismo, l’emergere di nuovi ordini e movimenti religiosi, e altri temi ancora.

Parliamo di alcuni di questi argomenti. Molti cattolici non sanno bene cosa pensare dei politici cattolici che, anche ad alti livelli, sostengono l’aborto o il matrimonio omosessuale e continuano a ricevere la santa Comunione. Cosa dice il diritto canonico al riguardo?
 
Vere: Il canone 915 è molto chiaro: “Non siano ammessi alla sacra comunione gli scomunicati e gli interdetti, dopo l’irrogazione o la dichiarazione della pena e gli altri che ostinatamente perseverano in peccato grave manifesto”.

La questione allora è di capire se il canone 915 si applica anche ai politici proabortisti che sostengono di essere cattolici. L’orientamento sempre più prevalente tra pastori ed esperti di diritto canonico è in senso affermativo. Soprattutto dopo che, nel 2004, l’arcivescovo Raymond Burke di St. Louis si era espresso fortemente in questo senso e aveva ricevuto il sostegno della Congregazione per la dottrina delle fede.

L’arcivescovo Burke aveva riflettuto e pregato molto sulla questione prima di esprimersi pubblicamente. La risposta che ha dato è quella giusta, come sostengo pubblicamente da prima che l’arcivescovo Burke esercitasse la sua guida sulla questione in qualità sia di vescovo che di esperto di diritto canonico.

Partecipare alla santa Comunione è il momento più sacro del nostro essere cattolici. Negare questo sacramento ad un battezzato è cosa molto seria e vi si dovrebbe ricorrere solo dopo aver vagliato ogni altra possibilità pastorale. Negare a qualcuno la santa Comunione significa dare un messaggio molto forte, ma considerato che l’aborto rappresenta l’arbitraria distruzione di una vita innocente nel grembo materno, si rende sicuramente necessario dare una risposta altrettanto significativa. Lo stesso dicasi per il matrimonio, nella sua identità naturale e sacramentale, che costituisce la pietra fondamentale della costruzione della società e dell’ordine naturale.
 
Pertanto, imporre il canone 915 diventa necessario quando un politico cattolico non si trova in linea con l’insegnamento morale della Chiesa e rifiuta ogni altra correzione pastorale. Ma occorre ribadire che, dall’arcivescovo Burke al vescovo Joseph Naumann di Kansas City, non conosco pastore che abbia negato la santa Comunione prima di aver cercato di correggere il politico in privato e avergli dato la possibilità di rimediare.

Un’altra questione dolorosa per i cattolici, negli ultimi cinque anni, è stata quella degli scandali legati agli abusi sessuali. Come considera la gestione di questi casi, da parte della Chiesa, alla luce del diritto canonico?
 
Vere: Ogni caso di violenza o abuso di un minore è una tragedia, soprattutto quando l’abuso è compiuto da uno che è stato incaricato di prendersi cura dei fedeli di Cristo. In passato, per rispondere a queste situazioni non si faceva ricorso ai rimedi legali previsti dal diritto canonico. Non era, tuttavia, un fallimento della legge della Chiesa – la quale contiene un canone, promulgato nel 1983 da Giovanni Paolo II, che prevede sanzioni agli ecclesiastici responsabili di abusi sessuali sui minori – bensì un fallimento delle gerarchie che non hanno fatto uso di queste
norme.

A mio parere il diritto canonico è stato erroneamente visto come eccessivamente complesso o facilmente eludibile a piacimento del prete, mentre allo stesso tempo prevede sanzioni troppo severe anziché disporre rimedi pastorali e caritativi. L’obiezione più comune era questa: come possiamo predicare il perdono se vietiamo al padre X di esercitare il ministero a causa di un solo errore? Inoltre, i consigli della psicologia comunitaria per una riforma paziente, uniti a quelli dei legali laici, portavano solitamente a risolvere le controversie in modo confidenziale prima che queste arrivassero ai tribunali.

Ciò nonostante, il cambiamento era già avviato prima che i casi di Boston venissero alla luce. Nel 2001 la Santa Sede si era riservata il diritto di prendere in considerazione questo tipo di casi. Nel motu proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela” appare una sezione in cui si afferma che i casi di offese sessuali commesse da ecclesiastici nei confronti dei minori devono essere portati all’attenzione della Congregazione per la dottrina della fede, dopo un’indagine preliminare svolta dal vescovo del luogo. Precedentemente, i casi potevano essere trattati localmente.

“Sacramentorum Sanctitatis Tutela” quindi ha contribuito ad informare le deliberazioni del 2002 prese dai vescovi USA nel loro incontro di Dallas relativo alla creazione della U.S. Charter and Norms for the Protection of Children and Young People. Queste norme nazionali sono state poi approvate dalla Santa Sede e continuano ad essere in vigore oggi.

La U.S. Charter and Norms ha notevolmente cambiato il modo di gestire i casi di abusi sessuali degli ecclesiastici. Oltre alle modifiche sulla competenza, le procedure e l’allontanamento dal ministero, le diocesi possono svolgere ampi programmi di valutazione e di formazione. Il National Review Board della Conferenza episcopale USA prosegue nel suo lavoro di supervisione dei programmi, emanando raccomandazioni sulle pratiche migliori da seguire e sulla loro attuazione.

In definitiva, il grande cambiamento è di prospettiva: il fatto che gli ecclesiastici e i laici adesso lavorano attivamente per proteggere i bambini e i giovani dai pericoli. In qualche modo, i responsabili della Chiesa e il personale hanno assunto un istintivo atteggiamento protettivo, come quello che un genitore ha per il proprio figlio.
 

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ZENIT Staff

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