Come dono di Dio, la vita deve essere rispettata fino alla fine naturale, ricorda il Cardinal Agnelo

E spiega la differenza tra eutanasia e ortotanasia

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BRASILIA, domenica, 26 novembre 2006 (ZENIT.org).- In un momento in cui in Brasile si parla molto di cure per malati terminali, un Cardinale ha sottolineato che la vita è un dono di Dio e che la sua dignità deve essere rispettata fino alla fine naturale.

Il Consiglio Federale di Medicina del Brasile ha approvato il 9 novembre una Risoluzione che affronta la sospensione dei procedimenti e delle cure che permettono il prolungamento della vita nella fase terminale di malattie gravi e incurabili.

In questo contesto, è nata la polemica sui concetti di eutanasia e ortotanasia.

Il Cardinal Agnelo ha spiegato che l’ortotanasia implica una situazione in cui si riconosce l’inutilità della cura per mantenere il paziente in vita. In questo caso, si ricorre alle cure palliative senza, tuttavia, utilizzare mezzi per abbreviare la vita. Per questo non si tratta di eutanasia.

Il porporato ha ricordato alcuni orientamenti espressi già nel 1980 dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, che ha pubblicato una dichiarazione sull’eutanasia:

a) L’eutanasia è condannata perché attenta contro “un diritto fondamentale, inammissibile e inalienabile”. b) Il dolore possiede un valore cristiano, ma “non sarebbe prudente imporre come norma generale un determinato comportamento eroico. Al contrario, la prudenza umana e cristiana suggerisce per la maggior parte degli ammalati l’uso dei medicinali che siano atti a lenire o a sopprimere il dolore”.

c) L’ostinazione terapeutica è condannata, a favore della dignità della vita umana. d) Il diritto di morire con serenità e dignità umana e cristiana è difeso, senza che ciò significhi la ricerca volontaria della propria morte.

e) La terminologia relativa ai mezzi ordinari e straordinari è superata, e al suo posto si usa una nuova categoria concettuale, quella dei mezzi proporzionati e sproporzionati. L’obiettivo di questa nuova terminologia è valutare il carattere di un mezzo terapeutico: grado di beneficio, rischi ulteriori, costi, possibilità di applicazione quanto alla risposta e alle condizioni fisiche e morali del malato. Il cambiamento di termini vuole raggiungere con maggior chiarezza le circostanze che coinvolgono un malato nel suo processo di morte.

f) La richiesta di eutanasia non deve essere considerata espressione della vera volontà del malato. Questa richiesta manifesta il desiderio angoscioso di assistenza e affetto.

Di fronte a questi orientamenti, il Cardinale sottolinea che “la vita è un dono di Dio. La sua dignità sia rispettata fino alla fine naturale”.

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ZENIT Staff

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