Come combattere l'asfissia di liquidità per l'economia reale

L’economia reale e le famiglie non possono più permettersi di continuare a pagare elevati costi sociali e morali, in attesa dei tempi lunghi della politica e della classe dirigente di questo Paese

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La stretta del credito sull’economia italiana sta diventando sempre più soffocante per le imprese, ed è urgente uscire da questo circolo vizioso. In un contesto in cui la domanda interna continua a diminuire, l’economia reale italiana riesce a sopravvivere solo se riesce ad esportare. Ma per esportare occorre essere competitivi, e per essere competitivi c’è bisogno di capitale umano, capitale della conoscenza e investimenti. Avendo però dimostrato che siamo nel pieno del credit crunch, chi può finanziare l’economia reale?

Si era già accennato alla buona pratica del governo inglese e della sua banca centrale. Purtroppo in Italia, sia per l’enorme debito pubblico, sia per il diverso ruolo della BCE, questa strada finora non ha trovato una via percorribile.

Il Centro Studi Prometeia ha effettuato una ricerca con la quale si valuta che, da qui al 2015, le imprese manifatturiere italiane dovranno fare nuovi investimenti per oltre 150 miliardi in modo da innovarsi e raggiungere i tassi di investimento delle imprese tedesche (i nostri primi competitori nel settore manifatturiero). Dal sistema bancario italiano è difficile che possa venire questa liquidità. I vincoli di Basilea (2 e presto 3) sul capitale delle banche e lo stato dei loro bilanci non lo consentono.

Sempre secondo il Centro Studi Prometeia, il sistema bancario italiano potrà erogare flussi di nuovi crediti alle imprese in questo stesso periodo per un massimo di 60 miliardi. Ciò significa che si creerà un gap tra la domanda e l’offerta di credito di oltre 90 miliardi nei prossimi tre anni. Per colmarlo occorre trovare finanziamenti alternativi al credito bancario.

E’ una strada, questa, del tutto percorribile, perché le banche centrali mondiali, stanno immettendo nei mercati, una quantità mostruosa di liquidità e le istituzioni finanziarie sono in cerca di rendimenti appetibili.

A questo punto ci si pone una domanda: come far arrivare la liquidità alle piccole e medie imprese (PMI), che tradizionalmente si finanziano solo con il sistema bancario? Il sito www.ideeperlacrescita.it (Università Bocconi di Milano ed Enaudi Institute for Economics and Finance di Roma) propone due strumenti che potrebbero rispondere al fabbisogno di finanziamento.

Il primo strumento sono le cartolarizzazione. Ovvero operazioni tramite le quali i portafogli di crediti vengono aggregati per costituire un supporto finanziario a garanzia di titoli collocati nel mercato dei capitali. La legislazione italiana li ha regolati con la legge 130 del 1999. Questa operazione comporta che per una banca che vende una parte del rischio di credito, il vincolo di capitale diventa meno stringente, consentendole di erogare più credito. Le cartolarizzazioni di prestiti alle Pmi sono utilizzate in Italia solo per ottenere finanziamenti dalla Bce (quindi la banca non ha nessun vincolo di capitale). Attualmente la dimensione di questo mercato è “trascurabile”, solo 18 miliardi di euro nel 2012.

Il secondo strumento è quello di aprire il mercato delle emissioni delle obbligazioni anche alle PMI. Grazie al recente decreto di sviluppo – ma siamo ancora in attesa di una normativa specifica – si sta facendo strada l’ipotesi per la realizzazione dei cosiddetti “mini bonds”. Questo permetterebbe alle PMI italiane di aprirsi al mercato dei capitali.

Per rendere fattibile l’avvio di questi due strumenti c’è bisogno di una serie di passaggi:
– riduzione dei costi fissi per l’emissione;
– consentire agli investitori di diversificare il rischio di credito.

Non è un caso che questo tipo di strumento finanziario – pacchetti di crediti verso le PMI – sia poco diffuso. D’altronde è oggettivamente difficile valutare la qualità di prestiti e obbligazioni delle PMI secondo criteri affidabili e accessibili agli investitori. Spesso le informazioni fornite dalle PMI non sono facilmente verificabili e tracciabili e c’è una diffusa incapacità di comunicare agli investitori in modo standardizzato. L’insieme combinato di tutti questi elementi, rende difficile quantificare un rating rispetto al pacchetto di prestiti o di obbligazioni limitandone l’accesso al mercato. 

Altra difficoltà: va creato un mercato che non esiste ancora. Per realizzarlo, c’è bisogno di coinvolgere diverse istituzioni ed operatori: le banche che emettono i prestiti, le agenzie di rating, gli investitori istituzionali, i regolatori, le associazioni industriali, i fornitori di infrastrutture per gli scambi, i consulenti finanziari ecc.

Per realizzare velocemente questo mercato, l’idea più convincente è quella dell’intervento di un operatore pubblico o di grandi dimensioni che, almeno in una fase iniziale, acquisti i prestiti dalle banche (o offra garanzie aggiuntive), operi come emittente sul mercato, interloquisca con le agenzie di rating e con le autorità di regolamentazione. La Cassa Depositi Prestiti è già coinvolta in diverse iniziative per facilitare il finanziamento delle PMI. ma la stessa funzione potrebbe essere svolta da un pool di banche.

In tal senso il nostro legislatore potrebbe seguire l’esempio del governo inglese e istituire una commissione tecnica che riferisca in tempi brevi. In Inghilterra, la Commissione Breeden ha recentemente fornito raccomandazioni operative per facilitare lo sviluppo di strumenti finanziari alternativi al credito bancario. Anche in Italia occorre agire per tempo.

L’economia reale e le famiglie, ora più che mai, non possono permettersi di continuare a pagare elevati costi sociali e morali, nell’attesa dei tempi lunghi della politica e della classe dirigente di questo paese.

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Carmine Tabarro

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