Come combattere i focolai che minacciano la coesistenza nigeriana?

Vescovi e leader musulmani cercano di smorzare i conflitti

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di Edward Pentin

ROMA, venerdì, 6 marzo 2009 (ZENIT.org).- Nelle prime ore del 28 novembre scorso, l’Arcivescovo Ignatius Kaigama di Jos, in Nigeria, è stato svegliato da una telefonata inaspettata. “Sembra che ci sia una crisi”, ha detto una voce dall’altra parte del filo. “Pare che ci siano delle chiese in fiamme”.

Raccontando la storia a ZENIT durante il suo viaggio a Roma per la visita ad limina, il presule, 50 anni, ha affermato di essere rimasto inizialmente incredulo. Appena sei giorni prima aveva firmato insieme al suo omologo musulmano una dichiarazione in cui si chiedevano una maggiore cooperazione e relazioni armoniose dopo anni di sviluppi positivi del dialogo cattolico-musulmano. Dopo un’ora, tuttavia, l’Arcivescovo Kaigama ha realizzato che quella che era iniziata come una disputa politica si era trasformata in un vero conflitto religioso.

Due giorni di massacri nello Stato centrale nigeriano di Plateau sono seguiti alle prime elezioni locali della zona in più di un decennio. La comunità musulmana si aspettava risultati favorevoli, e quando è emerso chiaramente che il partito al potere, sostenuto dai cristiani, aveva vinto, è esplosa la protesta. Le chiese sono state prese d’assalto e bruciate, i cristiani sono stati attaccati con i machete. Alcuni giovani cristiani hanno reagito attaccando le moschee.

Questi conflitti tra cristiani e musulmani sono il “problema principale” che la Nigeria affronta attualmente, ha affermato il Vescovo John ‘Oke Afareha, ausiliare di Warri. Appena la scorsa settimana, sono stati registrati episodi violenti a Bauchi, a 80 chilometri da Jos, dove almeno 11 persone sono state uccise dopo una disputa interna tra musulmani che si è poi estesa nella comunità.

Quasi sempre, sostengono i Vescovi del Paese, sono i musulmani a dare inizio alle violenze. “A volte provocano [i cristiani] senza ragione, dando fuoco alle chiese, anche quando due gruppi di musulmani stanno combattendo tra loro”, ha detto il Vescovo ‘Oke Afareha, 62 anni, la cui Diocesi si trova nella zona meridionale pacifica del Paese.

La maggior parte dei 140 milioni di abitanti della Nigeria – uniformemente divisi tra musulmani e cristiani – convive pacificamente. Quando avvengono conflitti, inoltre, lo sfondo iniziale è politico e tribale, più che religioso. Ciò che preoccupa l’Arcivescovo Kaigama, tuttavia, è che questi rari scontri sono spesso riportati in modo distorto, portando al risentimento che minaccia di distruggere la pace in altre zone.

“I media internazionali hanno amplificato eccessivamente tutto, riportando i fatti in modo molto parziale e fazioso”, ha affermato relativamente alle violenze dello scorso anno a Jos. “Quando si sente dire dalla BBC che 300 o 400 musulmani sono stati massacrati in una moschea fa molta impressione. Chi può averli massacrati? Di certo non i musulmani”. I cristiani, sostiene, sono stati quindi ingiustamente percepiti come gli aggressori.

Il numero di vittime, osserva, non è stato verificato perché molti morti non erano stati identificati. I reporter “hanno semplicemente supposto” che tutti i cadaveri appartenessero a musulmani. L’Arcivescovo Kaigama sostiene tuttavia che i cristiani cercano ancora oggi i propri cari, che forse sono stati erroneamente seppelliti come musulmani. Parte del problema, dichiara, deriva dal fatto che molti giornalisti nigeriani dei grandi media occidentali appartengono alla tribù musulmana degli Hausa, e viste le dimensioni e l’influenza delle loro compagnie i loro resoconti vengono subito ritenuti attendibili dal pubblico.

Le cause dei conflitti locali sono varie, ma alcune sono più comuni e “scatenanti” di altre. Le elezioni sono un momento particolarmente sensibile perché i politici che risultano vincitori possono spesso avere accesso alle maggiori riserve di petrolio del Paese. I Vescovi nigeriani dicono anche che perfino gli episodi meno eclatanti, come la questione delle vignette su Maometto apparse sulla stampa danese, possono portare i musulmani a provocare scontri a causa della legge islamica, la sharia, imposta nel Paese alla fine degli anni ’90.

“Prima non avevamo grandi problemi di coesistenza”, afferma l’Arcivescovo Kaigama, aggiungendo che Jos ha subito i primi attacchi violenti nel 2001, e poi ancora nel 2004.

Da quando è stata introdotta la sharia, la polizia religiosa è diventata più rigorosa nei confronti dei reati minori, come avere una pagina del Corano strappata, vendere alcool o aprire un cinema. L’Arcivescovo Kaigama sostiene che la sharia non è stata imposta per rendere la gente più santa ma per ragioni politiche, e crea “profondo sospetto, paura e sfiducia che fanno esplodere la gente per i fraintendimenti più piccoli”. Ciò è particolarmente vero al nord, dove la violenza si è affermata perché la polizia religiosa esercita ancora influenza.

Molti leader ecclesiastici hanno lavorato sodo per migliorare le relazioni con i musulmani, nonostante l’imposizione della sharia e gli episodi di violenza. L’Arcivescovo Kaigama è amico dell’emiro locale, e i due si sono tenuti regolarmente in contatto durante la crisi recente. I loro sforzi per promuovere il dialogo cattolico-musulmano, precedenti il conflitto, erano infatti diventati un modello per gli altri e potrebbero aver mitigato la violenza.

Nonostante gli scontri resta un barlume di speranza. Visto che la sharia diminuisce la sua presa sulla gente, una visione di armonia e buone relazioni tra cattolici e musulmani ha migliori chances di affermarsi – elemento fondamentale per assicurare che questi conflitti sporadici ma sanguinosi diventino un aspetto del passato.

Il Papa in Africa

La visita di Benedetto XVI in Camerun e Angola dal 17 al 23 marzo “incoraggerà, rallegrerà e rafforzerà” i fedeli dell’Africa, ha affermato il Vescovo ‘Oke Afareha. Molti africani sono emozionati per il viaggio, anche se il Papa non visiterà i loro Paesi.

Una questione importante che il Pontefice probabilmente solleverà è il problema della corruzione nel continente – un aspetto che si pensa sarà anche ai primi posti dell’agenda del Sinodo sull’Africa di ottobre.

In Nigeria, come in molti Stati africani, la Chiesa è in prima linea nella lotta per un governo più trasparente che serva gli interessi della popolazione. La Nigeria è dotata di grandi risorse umane e naturali, ma queste vengono usate in modo inadeguato dai politici e dai funzionari governativi. Nei programmi, anno dopo anno, si promettono spese per l’istruzione e altri servizi, ma il denaro non arriva mai.

Parte del problema è il fatto che i leader civici sono irraggiungibili. “Sfido i funzionari governativi, dicendo di essere più in contatto con la gente di quanto non lo siano tutti loro. La popolazione ha fame, non ha le strutture di base e non c’è motivo per cui debba soffrire”, ha dichiarato il presule.

Anche se non è ottimista circa rapidi cambiamenti, l’Arcivescovo Kaigama e i suoi confratelli Vescovi mantengono la speranza. Ciò che è necessario, osservano, è un leader che sia disposto a “enormi sacrifici”. Essere semplicemente un buon leader non basta, spiega Kaigama. “C’è bisogno di qualcuno che sia coraggioso, abbia fede e determinazione e sia pronto a dare la propria vita per la Nigeria”.

Nel 1998 i Vescovi del Paese, che criticano costantemente i leader politici corrotti, hanno composto una preghiera contro la povertà e la corruzione. “Un giorno – osserva – pensiamo che, per le preghiere che diciamo, emergerà un leader che abbia la missione di mettere davvero al primo posto gli interessi del Paese”.

[Traduzione dall’inglese di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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