"Come capi religiosi, abbiamo l'obbligo di denunciare ogni violazione dei diritti umani"

Nella visita alla “Diyanet”, seconda tappa del viaggio in Turchia, Francesco invoca uno sforzo comune per condannare le violenze subite dalle minoranze religiose in Medio Oriente

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È stata probabilmente la tappa più significativa di questo primo giorno di viaggio in Turchia, la visita di Papa Francesco alla “Diyanet”, il dipartimento per gli Affari Religiosi. È questa la più alta Autorità religiosa islamica sunnita in Turchia, un organismo facente capo al Governo, che dal 1924, anno della sua istituzione, si preoccupa e si occupa di tutelare il culto e l’etica dell’Islam.

Per il Pontefice, che – come ha scritto stamani nel messaggio al presidente italiano Napolitano – voleva recarsi in Turchia per “favorire l’incontro tra culture”, il primo banco di prova si è dunque tenuto qui, in un edificio che è simbolo della islamizzazione del Paese, dove ad ascoltarlo c’erano leader politici e religiosi, musulmani e cristiani, e il presidente Mehmet Gormez.

Una sfida che già Benedetto XVI aveva affrontato, nello stesso luogo e lo stesso giorno, il 28 novembre, del 2006 però durante il suo viaggio apostolico sul Bosforo. Francesco, nel suo intervento, richiama subito quel momento caratterizzato da grande serenità e cordialità, nonostante fossero trascorsi poco più che due mesi dalla discussa lectio magistralis nell’Università di Ratisbona.

Lo fa anche per rimarcare l’apertura all’incontro e al dialogo che da sempre la Chiesa ha cercato di mantenere con i leader di altre religioni. Perché le buone relazioni – sottolinea – rappresentano infatti “un chiaro messaggio indirizzato alle rispettive comunità, per esprimere che il mutuo rispetto e l’amicizia sono possibili, nonostante le differenze”.

E proprio in virtù di quest’amicizia, il Santo Padre non si tira indietro nel denunciare davanti al folto uditorio “le crisi che in alcune aree del mondo diventano veri drammi per intere popolazioni”. Tantomeno si lascia intimorire dal chiedere una soluzione efficace, frutto di sforzi condivisi. Tra musulmani e cristiani certo, ma soprattutto tra fratelli che hanno a cuore il bene dell’umanità.

In Medio Oriente, Iraq e Siria soprattutto, la situazione è divenuta “veramente tragica” e “angosciante”, rimarca il Papa. “Vi sono guerre che seminano vittime e distruzioni; tensioni e conflitti inter-etnici e interreligiosi; fame e povertà che affliggono centinaia di milioni di persone; danni all’ambiente naturale, all’aria, all’acqua, alla terra”. Tutti soffrono le conseguenze di questi conflitti: bambini, mamme, anziani, sfollati, rifugiati, vittime di sofferenze e “violenze di ogni tipo”.

Tutto ciò a causa dell’Isis, il sedicente Stato Islamico autoproclamatosi che semina da mesi ormai morte e distruzione. Il Papa tuttavia non lo chiama pubblicamente per nome, ma lo definisce “un gruppo estremista e fondamentalista”, per colpa del quale “intere comunità, specialmente i cristiani e gli yazidi, hanno patito e tuttora soffrono violenze disumane a causa della loro identità etnica e religiosa”.

“Sono stati cacciati con la forza dalle loro case – accusa Francesco – hanno dovuto abbandonare ogni cosa per salvare la propria vita e non rinnegare la fede. La violenza ha colpito anche edifici sacri, monumenti, simboli religiosi e il patrimonio culturale, quasi a voler cancellare ogni traccia, ogni memoria dell’altro”.

Davanti a questo orribile scenario, “in qualità di capi religiosi, abbiamo l’obbligo di denunciare tutte le violazioni della dignità e dei diritti umani”, afferma il Vescovo di Roma. Perché “la vita umana, dono di Dio Creatore, possiede un carattere sacro” e, pertanto, “la violenza che cerca una giustificazione religiosa merita la più forte condanna”.

Per non renderla vana, però, bisogna far seguire alla denuncia un lavoro comune che trovi “adeguate soluzioni”. “Ciò – sottolinea Francesco – richiede la collaborazione di tutte le parti: governi, leader politici e religiosi, rappresentanti della società civile, e tutti gli uomini e le donne di buona volontà”. In particolare, “i responsabili delle comunità religiose possono offrire il prezioso contributo dei valori presenti nelle loro rispettive tradizioni”.

Non va dimenticato inoltre che “noi, Musulmani e Cristiani – prosegue il Papa – siamo depositari di inestimabili tesori spirituali”, in cui si riconoscono “elementi di comunanza”: l’adorazione di Dio misericordioso, il riferimento al patriarca Abramo, la preghiera, l’elemosina, il digiuno… Elementi che, se vissuti in maniera “sincera”, “possono trasformare la vita e dare una base sicura alla dignità e alla fratellanza degli uomini”, assicura il Pontefice.

 “Il comune riconoscimento della sacralità della persona umana sostiene la comune compassione, la solidarietà e l’aiuto fattivo nei confronti dei più sofferenti”, aggiunge poi. E ribadisce, in tal senso, il suo apprezzamento per quanto l’intero popolo turco sta facendo per i migliaia di profughi e rifugiati. “È questo un esempio concreto di come lavorare insieme per servire gli altri, un esempio da incoraggiare e sostenere”, dice.

Allo stesso modo, sono da incoraggiare anche le buone relazioni e la collaborazione tra il Diyanet e il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. “Auspico che esse proseguano e si consolidano per il bene di tutti”, conclude Beroglio, “perché ogni iniziativa di dialogo autentico è segno di speranza per un mondo che ha tanto bisogno di pace, sicurezza e prosperità”.

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Salvatore Cernuzio

Crotone, Italia Laurea triennale in Scienze della comunicazione, informazione e marketing e Laurea specialistica in Editoria e Giornalismo presso l'Università LUMSA di Roma. Radio Vaticana. Roma Sette. "Ecclesia in Urbe". Ufficio Comunicazioni sociali del Vicariato di Roma. Secondo classificato nella categoria Giovani della II edizione del Premio Giuseppe De Carli per l'informazione religiosa

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