Colui che non abbiamo mai visto, che però aspettiamo con vera bramosia

Un romanzo di Alver Metalli su “L’uomo dell’acqua”

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di Antonio Gaspari

ROMA, sabato, 10 marzo 2012 (ZENIT.org).- Siamo in un luogo imprecisato dell’America Latina. I paesani di un villaggio ricevono la notizia di una visita che potrebbe cambiare la loro penosa condizione.

Un villaggio del Sud dell’Argentina, dove un uomo dai poteri singolari riceve la visita di persone che anelano i suoi benefici.

Un punto lungo il confine tra Messico e Stati Uniti, dove una pattuglia caccia chi tenta il salto della frontiera.

Su tutto aleggia un mistero benigno in attesa di rivelarsi…

Così inizia il romanzo “L’uomo dell’acqua” scritto da Alver Metalli e pubblicato da Gallucci.

L’autore precede l’inizio con la citazione di Franz Kafka «Colui che non abbiamo mai visto, che però aspettiamo con vera bramosia, che ragionevolmente però è stato considerato irraggiungibile eccolo, qui, seduto».

Per scoprire il mistero e placare la curiosità, ZENIT ha intervistato Alver Metalli, giornalista e scrittore italiano, pellegrino in Argentina, in Messico e in Uruguay.

L’America Latina è il mondo che meglio conosce e al quale ha dedicato saggi e romanzi, tra i quali il libro per ragazzi “La vecchia ferrovia inglese”, pubblicato da Gallucci.

Di che parla il romanzo che hai scritto?

Sono tre storie immaginarie, tutte tre hanno una collocazione latinoamericana. La prima storia è ambientata in un pueblo assolato del Messico, impoverito e spopolato da una antica siccità. Ritorna dopo anni di esilio un abitante che se ne era andato, oramai anziano, con la notizia che un ingegnere è stato inviato nella zona per scoprire delle falde acquifere. Appunto “L’uomo dell’acqua” come lo chiamano i popolani. Da questo momento hanno inizio tante piccole azioni diventate inusuali, una infinità di gesti e iniziative per ricevere questo sconosciuto, per dare di se stessi una buona impressione, per rendersi presentabili, loro stessi e il paese oramai degradato. Un giorno di questa lunga attesa, quando sembra che L’uomo dell’acqua stia per arrivare, i popolani si radunano all’entrata del paese, tutti, e guardano l’orizzonte… Il secondo racconto ha come scenario l’Argentina, un paesino del sud, dove vive uno strano personaggio che ha strani poteri. Il terzo racconto ha come scenario la frontiera Messico-Stati Uniti, ed una pattuglia di confine che ha come compito quello di dar la caccia ai “senza-documenti”.

C’è qualcosa che accomuna i racconti?

Su tutti tre incombe un forte senso di mistero, un mistero benevolo che è lì, sempre sul punto di svelarsi…

Perchè hai scritto un romanzo e non un saggio?

L’esigenza di fondo credo sia la stessa: dar conto della realtà. Il fatto è che la realtà non è, per così dire, fotografica. Il pezzo di realtà che entra nel cono dell’osservazione, che impressiona la retina, galleggia in un mare di nessi, di antecedenti, di riferimenti ulteriori… di significato per dirla con una sola parola. Per questo per dar conto veramente della realtà è necessario trasfigurarla, vederla nella totalità della sua forma e dei suoi nessi. La letteratura ha la proprietà di riuscire a farlo, ottiene, può ottenere meglio questo risultato.

Quali sono i sentimenti che vuoi suscitare?

Di simpatia verso quello che è umano.

Qual è il fine ultimo di questo mistero nel mistero?

Sinceramente non mi pongo uno scopo quando scrivo. Un lettore de L’uomo dell’acqua, uno dei primi – lui si è definito “post-moderno frenetico” – ha detto sulle prime di aver sentito innaturali i ritmi lenti dei miei racconti; poi, una volta “domato”, si è sentito tirato dentro, coinvolto dalle storie. Spero in questo risultato.

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ZENIT Staff

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