Chiesa e modernità: un dibattito aperto (Seconda parte)

La “lectio magistralis” del cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione del Clero, all’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Istituto Marcianum

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VENEZIA, sabato, 10 novembre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo di seguito la seconda parte della lectio magistralis del cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione del Clero, sul tema Essere Chiesa nell’epoca moderna: il contributo del Concilio Vaticano IIin occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Institutum Marcianum di Venezia.

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1. La modernità come questione gnoseologica

Non si trova una definizione precisa di “modernità”, né di “mondo moderno”, in alcun testo del Concilio Ecumenico Vaticano II. Sappiamo che il termine “modernità” descrive solitamente i diversi tipi di Illuminismo emersi in Occidente, dalla fine del XVIII secolo in poi. Tali movimenti indicavano, quale orizzonte della conoscenza, la razionalità strumentale e scientifica applicata tendenzialmente a tutte le sfere della vita, nella utopistica speranza di emancipare l’umanità, liberandola definitivamente da ignoranza, sofferenza e oppressione.

Un elemento distintivo della modernità, che, in certo senso, ne può rappresentare la chiave ermeneutica, é rappresentato dalla questione gnoseologica. Per la prima volta nella storia, l’uomo “moderno” ha creduto di non essere più in grado di conoscere la realtà ed ha progressivamente arretrato – mi si perdoni il voluto ossimoro – la propria capacita di conoscenza del reale, fino a quella soglia esistenzialmente insostenibile che oggi chiamiamo relativismo.

Il movimento illuminista, infatti, ha determinato dapprima un’ipertrofia della ragione, in conseguenza della quale l’uomo e la sua capacità di conoscenza si sono trasformati da “contemplatori”, “conoscitori” e “cantori” della realtà, a “limitata misura” del reale. Un uso di ragione, che pretenda di limitare la conoscenza umana ai soli dati empirici (qualcuno direbbe “scientifici”) è mortificante per l’intelligenza umana e non permette alla conoscenza di relazionarsi con la realtà, secondo la totalità dei suoi fattori.

L’adesione al reale si perde quasi completamente quando, dall’illuminismo, si passa all’idealismo. Se l’uomo non conosce più la realtà per ciò che essa è, ma tenta di misurarla (Razionalismo) o solo di pensarla (Idealismo), egli si auto-confina in una oggettiva impossibilità di rapportarsi con altro-da-se-stesso e tale atteggiamento ha evidenti conseguenze antropologiche, come vedremo.

Come se ciò non bastasse, la crisi del positivismo ottocentesco, determinata dai due conflitti mondiali del secolo scorso, ha portato ad una sorta di “resa della ragione”, facendo passare l’uomo dal mito infondato del super-uomo alla situazione attuale, altrettanto infondata, del più radicale relativismo.

Non c’è da stupirsi se ad una scorretta idea di ragione di tipo razionalista, che si è infranta contro l’oggettiva impossibilità, da parte dell’uomo, di controllare se stesso e il cosmo, ha fatto seguito un altrettanto scorretta ed ingiustificata sfiducia nella reale capacità di ciascuno di conoscere se stesso, il mondo e Dio.

Il Santo Padre Benedetto XVI ha più volte richiamato l’attenzione della Chiesa e di tutti gli uomini di buona volontà sulla necessità di superare il relativismo che caratterizza la nostra epoca e che, inevitabilmente, giunge a toccare anche le nostre persone e i nostri ambienti cristiani.

Ad un uomo incapace di conoscere la realtà, che cosa rimane?

Lo stretto e asfissiante orizzonte delle proprie emozioni, della propria istintività, veicolata dalla corporeità; da qui il dirompente edonismo, narcisismo, pansessualismo, nel quale si smarriscono gli uomini del nostro tempo e dal quale è necessario, con ogni mezzo, aiutarli a sottrarsi.

Perfino il materialismo, indicato come orizzonte esistenziale in taluni movimenti ideologici del secolo scorso, è andato in crisi ed è stato, da un lato, piegato al soddisfacimento dei desideri e delle passioni, dall’altro, compensato in varie fughe “spiritualistiche” o new-age che nulla hanno a che vedere con l’umana spiritualità e, men che meno, con la fede cristiana.

Il Concilio, nella Costituzione pastorale Gaudium et Spes, coglie l’urgenza della situazione e ricolloca al centro del dibattito l’uomo, con i suoi bisogni costitutivi e con il suo rapporto ineludibile con la realtà.

Leggiamo al n. 10: «In verità gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. E’ proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, esperimenta in mille modi i suoi limiti; d’altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore».

É la constatazione che la gnoseologia umana non può ridursi ad un soggettivismo autoreferenziale, ma domanda di riconoscere l’oggettivo, sia in noi, sia fuori di noi, paragonando poi il tutto con una tale indisponibile universale condizione. Anche se certamente in modo indiretto, il Concilio tenta di rispondere a quella che potremmo definire “l’emergenza gnoseologica” della modernità, e lo fa ribadendo, in modo piano, dialogico e propositivo quelle che sono le domande costitutive dell’io, di fronte alle quali nessuna riduzione é ammessa, pena la rinuncia alla vita stessa.

Continua Gaudium et Spes: «di fronte all’evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: cos’è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita?».

A questi interrogativi, che come una lama attraversano il cuore di ciascuno e, nel contempo, attraversano per la loro oggettività tutto l’empasse della modernità, risponde con una piana confessione di fede: «La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dà sempre all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione; né è dato in terra un altro Nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana». (GS, 10).

Fino alla vera e propria affermazione rilevante a livello gnoseologico: «Inoltre la Chiesa afferma che al di là di tutto ciò che muta stanno realtà immutabili». E ancora: «Esse trovano il loro ultimo fondamento in Cristo, che è sempre lo stesso: ieri, oggi e nei secoli».

Non solo esiste la realtà ed é conoscibile, ma dietro ciò che muta, esistono “realtà immutabili”. Questo il primo fondamentale contributo del Concilio al dialogo con la modernità, la messa a tema, seppure iniziale, della questione gnoseologica che, negli anni, lo vediamo, é divenuta sempre più urgente e drammaticamente rilevante.

L’uomo contemporaneo, inserito in un meccanismo tecnologico ed affascinato dal potere che ha raggiunto nel manipolare la realtà, anche biologica, la stessa realtà della vita, ritiene se stesso autosufficiente, pur nella aporetica condizione di sperimentare il senso del limite e porsi le domande fondamentali, inscritte nel suo cuore.

Il senso pieno delle affermazioni Conciliari, lo ritroviamo nella Fides et ratio del Beato Giovanni Paolo II. In essa si descrive il processo naturale che la ragione umana percorre, il suo prefiggersi delle mete, superarle, ma, nel contempo, sorprendersi limitata e inadeguata, sperimentando l’inadeguatezza, e, sperimentando, in questo modo, che l’Infinito esiste.

«L’uomo, per natura, ricerca la verità. Questa ricerca non è destinata solo alla conquista di verità parziali, fattuali o scientifiche; egli non cerca soltanto il vero bene per ognun
a delle sue decisioni. La sua ricerca tende verso una verità ulteriore che sia in grado di spiegare il senso della vita; è perciò una ricerca che non può trovare esito se non nell’assoluto». (Giovanni Paolo II, Lett. Encicl., Fides et Ratio, 14 settembre 1998, 33).

Appare chiaro come la questione gnoseologica ci abbia condotto già, e non poteva essere altrimenti, nel cuore della questione antropologica. La capacità di conoscere il reale, é infatti determinante perché l’uomo possa definire se stesso. Forse con una punta di fondato ma eccessivo ottimismo, così si esprime ancora la Gaudium et Spes: «Nella luce di Cristo, immagine del Dio invisibile, primogenito di tutte le creature il Concilio intende rivolgersi a tutti per illustrare il mistero dell’uomo e per cooperare nella ricerca di una soluzione ai principali problemi del nostro tempo» (GS, 10).

[La terza parte della lectio magistralis del cardinale Mauro Piacenza sarà pubblicata domani, domenica 11 novembre. La prima parte è stata pubblicata venerdì 9 novembre]

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ZENIT Staff

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