Chiesa e modernità: un dibattito aperto (Quarta ed ultima parte)

La “lectio magistralis” del cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione del Clero, all’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Istituto Marcianum

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VENEZIA, lunedì, 12 novembre 2012 (ZENIT.org) – Riportiamo la quarta ed ultima parte della lectio magistralis del cardinale Mauro Piacenza, Prefetto della Congregazione del Clero, sul tema Essere Chiesa nell’epoca moderna: il contributo del Concilio Vaticano IIin occasione dell’inaugurazione dell’Anno Accademico dell’Institutum Marcianum di Venezia.

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3. Le possibili prospettive in ordine alla Nuova Evangelizzazione

Abbiamo appena concluso, anche con il Vostro Patriarca, il Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione ed è emerso, con chiarezza, come essa non possa, in alcun modo, prescindere dall’autocoscienza ecclesiale: solo una Chiesa “evangelizzata” è capace di essere “evangelizzante”.

In questo senso, è necessario ricordare come la Chiesa debba annunciare Gesù Cristo al mondo, con un metodo, che non può, in alcun caso, essere storicista, poiché lo storicismo, implicitamente, nega la validità perenne del vero, presentandolo come condizionato alle contingenze storiche; da questo punto di vista, grave è la deriva rischiata da molta teologia contemporanea, che tende a presentarsi come riflessione storica, tendente allo storicismo, rinunciando ad una precisa oggettività referenziale e dalla pretesa veritativa del dato rivelato. Credo che, in questa direzione, i primi due volumi di Joseph Ratzinger – Benedetto XVI su Gesù di Nazaret siano un poderoso antidoto allo storicismo e siano da accogliere, soprattutto, per il loro portato metodologico.

Altro grosso limite da evitare, nella Nuova Evangelizzazione e nella riflessione teologica ed ecclesiale, è quello dello scientismo: di pretendere, cioè, che le affermazioni ed i contenuti della Rivelazione possano parlare all’uomo moderno, solo se superano il vaglio del metodo scientifico-positivo.

«Questa concezione filosofica – leggiamo nella Fides et ratio – si rifiuta di ammettere, come valide, forme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, relegando nei confini della mera immaginazione sia la conoscenza religiosa e teologica, sia il sapere etico ed estetico. Nel passato, la stessa idea si esprimeva nel positivismo e nel neo-positivismo, che ritenevano prive di senso le affermazioni di carattere metafisico.

La critica epistemologica ha screditato questa posizione, ed ecco che essa rinasce sotto le nuove vesti dello scientismo. In questa prospettiva, i valori sono relegati a semplici prodotti di emotività e la nozione di essere è accantonata per fare spazio alla pura e semplice fattualità» (n. 88).

In tale contesto, la Chiesa è chiamata a riprendere coscienza della sua altissima missione e del compito che Dio le ha dato.

Portando la salvezza agli uomini, Gesù Cristo è Dio stesso che è entrato nella storia e, per tale ragione, la salvezza non è altro rispetto alla Sua concreta Persona. «Non vi è, infatti, altro nome dato agli uomini sotto il cielo, nel quale è stabilito che possiamo essere salvati» (At 4,12). Tra i vari aspetti, della Divina Rivelazione, derivanti direttamente dal Mistero dell’Incarnazione, dal fatto cioè che Dio si è fatto uomo, assumendo totalmente, eccetto il peccato, la nostra concreta natura umana, c’è il fatto che Gesù Cristo è venuto ad educare il nostro senso religioso.

Nell’epoca della modernità, cosciente della crisi gnoseologica, nella quale da secoli siamo immersi, e della crisi antropologica, che ne deriva, la Chiesa è chiamata all’opera della Nuova Evangelizzazione, imitando il suo Signore e operando, come Lui, per l’educazione del senso religioso dell’uomo.

Non di rado, soprattutto nel tempo immediatamente post-conciliare, interpretando, in maniera per lo meno unilaterale, il dettato del Concilio, si è parlato di un primato dell’uomo e dei valori umani e di una presunta precedenza della promozione umana sull’evangelizzazione.

Le conseguenze di tale fraintendimento sono sotto gli occhi di tutti, sia in ordine alla confusione sull’identità rispettiva dei ministri Ordinati, dei consacrati e dei fedeli laici, sia sulla deriva che, nei tre menzionati ambiti, la formazione ha subito.

Non a caso nel Motu Proprio Porta Fidei, il Santo Padre ha affermato: «Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale, ma spesso viene perfino negato» (n. 2).

L’esperienza di duemila anni di Tradizione ecclesiale ed un primo bilancio, teoretico e pragmatico, di questi primi cinquant’anni dal Concilio, indicano, con lucida chiarezza, come il solo autentico modo per interpretare la giusta promozione umana sia quello di aiutare l’uomo a sottrarsi da ogni concezione riduzionista della realtà, a recuperare, sostenendolo nel recuperare, la propria statura ontologicamente aperta all’Essere infinito, perché appartenente all’Essere.

Potremmo dire che, alla radice della Nuova Evangelizzazione, c’è l’azione ecclesiale di promozione umana, una promozione capace di restituire l’uomo all’uomo e, perciò, Dio all’uomo e l’uomo a Dio.

Assumere con consapevolezza le sfide della modernità e, conseguentemente, essere Chiesa nel tempo della modernità, non può significare, in alcun caso, inseguire le “mode” culturali, morali, o sociali, di fronte alle quali, come Chiesa, ci troviamo.

L’identità della Chiesa non è definita, in modo storicistico, dalle circostanze, ma è stata definita, una volta per sempre, da Cristo suo Capo ed è continuamente rinnovata, resa giovane ed attuale dallo Spirito, che dinamicamente la guida nella storia. In ogni tempo, di fronte ad ogni avversità e negazione, la Chiesa ha saputo solcare anche le tempeste più violente, mantenendo fede alla propria identità e lasciando che fosse Pietro a tenere saldo il timone della Nave di Cristo, collaborando con Pietro e “remando” nella direzione indicata da Pietro.

Il necessario dialogo con le culture incontrate e, dunque, il necessario dialogo con la modernità, non può risolversi in una assunzione di modelli culturali, innanzitutto estranei all’uomo, alla sua struttura antropologica e, perciò, estranei a Cristo e, necessariamente, estranei alla Chiesa.

Non si tratta, qui, certamente di ostinarsi nella proposta di modelli culturali passati, che forse danno maggiori sicurezze, ma che sono praticamente indecifrabili per l’uomo contemporaneo, quanto, piuttosto, di avere la capacità di stare realmente di fronte l’uomo, aiutandolo a riscoprire le proprie esigenze fondamentali e costitutive, e riconsegnandolo a quelle evidenze fondamentali, ontologicamente rilevanti, che costituiscono il presupposto e l’esperienza elementare di ogni umana esistenza.

In ogni circostanza, anche quella apparentemente più drammatica e priva di speranza, culturalmente o moralmente parlando, la concreta possibilità di una educazione dell’uomo e del suo senso religioso è data sempre dal concreto uomo che abbiamo di fronte, dal suo cuore fatto da Dio e per Dio, e dalla capacità, che, come Chiesa abbiamo di intercettarne i bisogni e rispondervi con quella parola del Vangelo, così umana e così divina, che Gesù ci ha lasciata e che è la Sua stessa prossimità ad ogni uomo.

Tale percorso la Chiesa lo compie, essendo fino in fondo se stessa, leggiamo ancora nella Lumen gentium al n. 17: «predicando il Vangelo, la Chiesa dispone coloro che la ascoltano a credere e a professare la fede, li dispone al Battesimo, li toglie dalla schiavitù dell’errore e li incorpora a Cristo, per crescere in Lui, mediante la carità, finché sia raggiunta la pienezza. Procura, poi, che quanto di buono si trova seminato nel cuore e nella mente degli uomini o nei riti e nelle culture dei popoli, non so
lo non vada perduto, ma sia purificato, elevato e perfezionato a gloria di Dio, confusione del demonio e felicità dell’uomo. Ad ogni discepolo incombe il dovere di disseminare, per quanto gli è possibile, la fede».

Questo l’augurio che rivolgo a me stesso e a ciascuno di voi, che, soprattutto in quest’Anno della Fede, possiamo essere autentici discepoli, capaci di disseminare la fede, educando il senso religioso umano, come ha fatto Gesù Cristo, e contribuendo al grande cammino della Nuova Evangelizzazione.

Il contributo del Concilio, letto alla luce del Magistero, che ne è seguito e lo ha attualizzato, soprattutto alla luce del Catechismo della Chiesa Cattolica e degli interventi pontifici, conserva tutta la propria forza dinamica e ci indica come “essere Chiesa nel tempo della modernità”.

Ci aiuti la Beata Vergine Maria, Icona perfetta della Chiesa in ogni tempo, ad essere fedeli al mandato di Cristo nello Spirito del “fate ciò che Lui vi dirà” (Gv 2,5).

[La terza parte è stata pubblicata domenica 11 novembre]

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ZENIT Staff

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