Chiamati a vivere in “un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza”

Commento al Vangelo della VII domenica di Pasqua (Anno B) – 17 maggio 2015

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Gesù ascende al Cielo e ci benedice. Benissimo direte, ma domani è un altro lunedì, e ci attendono il lavoro, la scuola, le mille preoccupazioni, e le sofferenze che nessuno può toglierci. Gesù è asceso al Padre, mentre noi siamo ancora qui sulla terra. E non possiamo far altro che restare con gli occhi incollati al Cielo come i discepoli, stretti in una profonda nostalgia di pienezza, di gioia, di pace e sicurezza. Sì, siamo fatti per il Cielo, lo stiamo capendo proprio perché alla fine nulla ci soddisfa pienamente, ma più di fissarlo non possiamo fare.

Come vivere allora questa precarietà spirituale, questa mancanza originaria, questa incompletezza? Come non soccombere nell’accidia, nella de-moralizzazione, nella disperazione? Entrando nella storia che ci è data, per sperimentare “i segni che accompagnano quelli che credono”.  Smettendo di fissare il Cielo restando imprigionati nella nostalgia del Cielo comune a tutte le religioni che, in vari modi, cercano di esorcizzare la morte.

Perché la Solennità di oggi ci annuncia una cosa fantastica: il Cielo inizia sulla terra, e possiamo sperimentare le sue primizie nella vita quotidiana. E non solo: il Cielo lo si gusta nella sofferenza, in quelle occasioni nelle quali la morte ci graffia ricordandoci la sua tragica realtà. Per questo un cristiano vive già assiso con Cristo alla destra del Padre in Cielo proprio perché con Lui entra ogni giorno nella morte. Così tu ed io cresceremo nella certezza che esiste la Vita eterna solo restando con i piedi ben piantati sulla terra. Chi sfugge la storia con le sue difficoltà e sofferenze è destinato invece a dubitare e poi a negare la vita dopo la morte, come accade nel mondo che offre solo povere ed effimere alienazioni.

Fateci caso, i “segni” indicati da Gesù annunciano proprio il suo “potere” sulla morte consegnato alla Chiesa. A coloro che hanno fede, infatti, non sarà risparmiato nulla. Ma, pur “bevendo il veleno” delle tentazioni che uccide chi non ha la vita di Cristo “non recherà loro danno” perché, rinati in Lui, “si comportano in maniera degna della vocazione ricevuta”; “prenderanno in mano i serpenti” smascherando con “l’umiltà, la mansuetudine e la pazienza” le menzogne che ingannano i pagani; restando crocifissi con Cristo “nel suo nome scacceranno i demoni” che inducono a peccare; “parleranno le lingue nuove” dell’amore che “sopporta” e perdona il fratello, distruggendo le barriere che separano gli uomini incapaci di uscire da se stessi e dal proprio egoismo.

Non si tratta di “conoscere i tempi” di Dio, ma di entrare nella precarietà restando uniti ai fratelli e ai pastori nella comunità cristiana, dove scende copioso lo Spirito Santo che ci fa apostoli e testimoni in questa generazione.

Statene certi, ogni “giorno” della storia preparata per noi, sarà quello in cui “vedremo Gesù tornare dal Cielo allo stesso modo in cui lo abbiamo visto andare in Cielo”. Ciò significa che nelle sofferenze e nelle difficoltà lo vedremo tornare glorioso e potente nei “segni” che ci accompagneranno, proprio come quando ci ha perdonati e risuscitati con Lui facendoci pregustare nel suo amore le delizie del Cielo.

Così la Parola di oggi, come in un affresco, dipinge la Chiesa con i colori radiosi della vita celeste. La comunità cristiana, infatti, è il “segno” del Cielo offerto al mondo: come “apostoli, profeti, evangelisti, pastori, maestri” i cristiani vivono sulla terra la vita di Cristo, rivelando a ogni generazione la “perfezione” dell’uomo “nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo”. Sappiamo infatti che il “perfetto” non è chi non sbaglia e non cade, ma colui che non manca di nulla, perché vive già al di là del limite della morte.

“Perfetta” è la Chiesa pellegrina sulla terra, debole e peccatrice nella sua umanità, ma già colma della pienezza del suo Signore che, “ascendendo al Cielo ha distribuito doni” di grazia ai suoi fratelli “riempiendo” del suo amore infinito “tutte le cose”, cioè ogni istante vissuto dai cristiani.  “Perfetto” è dunque chi, con il battesimo, è “disceso” con Cristo nella morte e con Lui è asceso in Cielo.

Coraggio allora, siamo chiamati a vivere in “un solo corpo, un solo spirito, una sola speranza” per “conservare l’unità per mezzo del vincolo della pace” che Cristo risorto ci dona ogni giorno attraverso la sua Parola, i sacramenti e la comunione nella Chiesa. L’amore e l’unità, infatti, sono i “segni” che fanno riconoscere i discepoli di Cristo, che cioè testimoniano la loro ascensione al Cielo, speranza offerta ad ogni uomo.

Siamo figli di uno stesso Padre, “che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” i cristiani che annunciano “il Vangelo ad ogni creatura”, con la predicazione e la vita nuova nello Spirito Santo. Possiamo “partire” e andare “dappertutto” senza temere più la morte, nella relazione difficile con il coniuge e i figli, in un ufficio pieno di invidie e maldicenze, anche in una malattia terminale, come nella precarietà economica.

Possiamo perché siamo già risorti con Cristo e possediamo le primizie della vita celeste, e dal Cielo le cose della terra si vedono molto più chiaramente… Per questo siamo inviati ogni giorno a “predicare” la vittoria del Signore sulla morte, certi che in ogni circostanza Egli “confermerà” la nostra parola “con i prodigi che l’accompagneranno”. Sì fratelli, nella nostra vita tutto sarà trasformato in “un prodigio” dell’amore di Dio che testimonierà il destino celeste preparato per ogni uomo.

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Antonello Iapicca

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