Chi è Papa Francesco?

Eugenio Scalfari che lo ha intervistato, e Giuliano Ferrara che lo ha interpretato, cercano di definire il personaggio di Bergoglio, ma è il Papa stesso che si dichiara e si presenta al mondo

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La Provvidenza ha fatto in modo che nello stesso giorno, questo primo di ottobre in cui la Chiesa ricorda Santa Teresa di Lisieux, due campioni del giornalismo laico italiano dedicassero al personaggio Bergoglio intere pagine dei rispettivi quotidiani: si tratta di Eugenio Scalfari, recatosi a dialogo con il Pontefice fin dentro le mura leonine del Vaticano, e di Giuliano Ferrara, più restio al confronto diretto ma pur sempre attento osservatore degli uomini e degli eventi.

L’approccio del Direttore del “Foglio” sembra essere più distaccato, meno coinvolto emotivamente dall’umanità del personaggio. Eppure, nella sua qualità di “ateo devoto”, insensibile al richiamo della fede ma fortemente interessato al suo uso quale “instrumentum regni”, Ferrara dovrebbe unirsi al plauso, pressochè unanime, che si leva verso la figura intellettuale e spirituale del Vescovo di Roma. Cercheremo più avanti di spiegare i motivi del nostro auspicio.

Partiamo però dalla sua affermazione conclusiva: “Ma come facciano questi laiconi e liberal del New York Times e delle altre tribune di coscienza del secolo (qui ci pare trasparente l’allusione all’acerrimo rivale Scalfari, ndr) a intenerirsi per un gesuita che propone misericordia e ascolto, questo è un mistero”. Il mistero è presto svelato: costoro si inteneriscono proprio perchè il Papa “propone misericordia e ascolto”.

In particolare, la misericordia: un sentimento che pareva scomparso dal nostro orizzonte spirituale ed intellettuale fin da quando l’egemonia sul pensiero occidentale era stata assunta da quel liberismo, in verità poco compassionevole, di cui Ferrara è sempre stato il coerente ed entusiasta divulgatore nel nostro Paese.

Che quanti il corpulento Direttore del “Foglio” definisce con una punta di snobistico senso di superiorità intellettuale “laiconi e liberal” si intenerissero ascoltando la parola di Bergoglio, era inevitabile, dato che queste persone andavano ormai da lustri alla disperata ricerca di un contraltare alle idee finora egemoni, che da molte parti ci si ostinava a considerare indiscutibili anche dopo il loro catastrofico fallimento.

Se una critica si può esprimere nei riguardi di costoro, essa dovrebbe piuttosto riguardare la loro incapacità di uscire dalla condizione di chi non riesce ad affermare le proprie idee contro il dilagare di quelle degli altri. Ora che il Papa è venuto a salvarli da questa infelice condizione, è logico e naturale che essi lo applaudano con la gratitudine che si prova al cospetto di un liberatore.

Ferrara, uomo acutissimo ma tendente all’orgoglio intellettuale, dovrebbe recitare il mea culpa, perchè mentre altri cercavano inutilmente una soluzione, egli faceva parte del problema: il che non costituisce precisamente un motivo di vanto. Egli potrebbe semmai compiacersi del fatto che le vie di uscita proposte dal Papa per superare la nostra infelice condizione non si possono propriamente considerare rivoluzionarie: o meglio, risultano indubbiamente tali in quanto la loro adozione porterebbe ad un sovvertimento dell’ordine attuale; esse però si riconducono tutte quante al repertorio della tradizione cristiana.

Prima di esaminarle una ad una, vediamo brevemente come Bergoglio percepisce la nostra infelice condizione: “Mi dica lei, afferma il Papa rivolgendosi a Scalfari, si può vivere schiacciati sul presente? Senza memoria del passato e senza il desiderio di proiettarsi nel futuro costruendo un progetto, un avvenire, una famiglia?”. Un problema che coinvolge la Chiesa “perchè questa situazione non ferisce i corpi ma anche le anime”.

Chi è il responsabile? Risponde testualmente il Papa: “Penso che il cosiddetto liberismo selvaggio non faccia che rendere i forti più forti, i deboli più deboli e gli esclusi più esclusi”.
Così definito il problema, e così indicate le sue cause, il Papa espone molto in dettaglio i possibili rimedi.

In primo luogo Bergoglio ritiene che l’impegno debba essere comune. E quando si propone un impegno comune, nessuno deve temere che si approfitti della collaborazione per sopprimere la sua identità, per prevaricare la sua differenza. Forse mai, nel discorso di un Papa, si sono elencate con tanta meticolosità, con tanto puntiglio, con tanto dettaglio, le ragioni del pluralismo.

Nessuno pensi che la Chiesa, in primo luogo, intenda fare del proselitismo, che – dice Bergoglio – “è una solenne sciocchezza, non ha senso. Bisogna conoscersi, ascoltarsi e far crescere la conoscenza del mondo che ci circonda”. Se nessuno pretende di far diventare cattolico chi non è cattolico, cristiano chi non è cristiano, credente chi non è credente, il pluralismo delle opinioni esce dalla dimensione religiosa per investire quella morale: “Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male e deve scegliere di seguire il Bene e combattere il Male come lui li concepisce”.

Né il Papa mostra di preoccuparsi del fatto che i Cattolici, e gli stessi Cristiani, sono minoranza nel mondo: “Penso, egli dice a Scalfari, che essere una minoranza sia addirittura una forza”, perchè “il lievito è una quantità infinitamente più piccola della massa”.

Non c’è nessuna diffidenza verso le idee maturate al di fuori dell’ambito religioso: “Il Vaticano II, ispirato da Papa Giovanni e da Paolo VI, decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna. I padri conciliari sapevano che aprire alla cultura moderna significava ecumenismo religioso e dialogo con i non credenti. Dopo di allora fu fatto molto poco in quella direzione. Io ho l’umiltà e l’ambizione di volerlo fare”.

Scalfari non commenta questa affermazione, forse perchè la da per scontata, non la considera una novità. Eppure il Direttore de “La Repubblica” sa benissimo, in base al percorso intellettuale che lo ha portato ad abbandonare fin da molto giovane la fede – e a questa sua vicenda personale si riferisce parlando con il Papa – come in Occidente il pensiero filosofico si sia venuto sviluppando ormai da secoli al di fuori della Chiesa, al di fuori dell’ambito religioso: di qui un contenzioso di cui la sua figura di intellettuale è testimonianza.

Pur avendo essudato l’anticlericalismo – come Bergoglio rigetta specularmente il clericalismo – e il Direttore de “La Repubblica” non ha tuttavia mai ritrovato la fede, e diffida amichevolmente il Papa dal tentare di convertirlo. Il Papa dice anche che “le istituzioni politiche sono laiche per definizione e operano in sfere indipendenti” dalla Chiesa.

Chiarito dunque all’interlocutore, ed all’opinione pubblica che egli rappresenta, come non esista alcun disegno, alcuna tentazione confessionale, teocratica o cesaropapista, rimane ancora una domanda, la più importante di tutte, in quanto non verte sul passato, ma sul futuro: che cosa possiamo fare insieme, e con quali strumenti intellettuali ed operativi?

Qui il Papa cessa lo sforzo per far capire ai laici che non hanno nulla da temere da lui, nè dalla Chiesa, e propone il proprio contributo alla ricerca del bene comune. Se però questo contributo servirà per uscire dalla condizione presente, allora la Chiesa, o meglio l’insieme dei credenti, avrà inevitabilmente conquistato l’egemonia su quella parte di umanità che condivide il suo obiettivo. E l’egemonia, non dimentichiamolo, si conquista con la capacità di farsi carico degli interessi comuni.

Vediamo dunque con quali strumenti intende operare la Chiesa. Il primo ci è proposto dall’articolo che alla figura del Papa dedica “Il Foglio”: il misticismo. Tanti Gesuiti, nota l’Autore, ma soprattutto quelli che andarono in Cina, come Matteo Ricci, “furono più mistici che dogmatici. Si esposero all’esperienza dell’altro, dell’estraneo” e per questo “superarono i confini della cristianità”. La dogmatica divide, perchè tende ad affermare le differenze; il misticismo le trascende, portandoci più in alto di esse: “Il mistico – dice il Papa a Scalfari – riesce a spogliarsi del fare, dei fatti, degli obiettivi
e perfino della pastoralità missionaria e s’innalza fino a raggiungere la comunione con le Beatitudini”.

Poi vi è la capacità di leggere la storia alla luce della fede. Il Papa dice che il comunismo non ebbe alcuna presa su di lui, per via del suo materialismo, che impedisce di cogliere la teofania presente nella vicenda umana. Né Bergoglio condivise le posizioni dei “teologi della liberazione”, i quali – dice – “davano un seguito politico” al loro pensiero, accettando però i postulati del marxismo nell’interpretazione della storia: se si ritiene che conta soltanto la struttura economica, i rapporti di produzione, si esclude “a priori” la dimensione spirituale.

Anzichè ad una concezione del mondo che prescinde dalla trascendenza, occorre conformarsi al principio opposto: “Cercare e trovare Dio in tutte le cose”, come recita la massima di Sant’Ignazio. Dio, ha detto il Papa nell’anteriore intervista con Padre Spadaro, è ri – conoscibile solo attreaverso l’intelligenza dello spirito o una sensibilità spirituale, poichè “l’incontro con Dio non è un eureka empirico”.

C’è anche, tra quanto la visione cristiana può offrire all’uomo, “la grazia dispensata dal Signore come elemento fondamentale della fede. Della vita. Del senso della vita. Chi non è toccato dalla grazia può essere una persona senza macchia e senza paura come si dice, ma non sarà mai come una persona che la grazia ha toccato (…) La grazia non fa parte della coscienza, è la quantità di luce che abbiamo nell’anima, non di speranza, né di ragione”.

E poi, accanto all’idea propria di Sant’Ignazio della visione di Dio nella storia, ed accanto a quella propria di Sant’Agostino della grazia, ad ispirare il Papa c’è lo spirito di San Francesco.
Francesco “è grandissimo perchè è tutto. Uomo che vuole fare, vuole costruire, fonda un Ordine e le sue regole, è itinerante e missionario, è poeta e profeta, è mistico, ha constatato su sé stesso il male e ne è uscito, ama la natura (…) ma soprattutto ama le persone”: il Poverello costituisce dunque l’esempio più luminoso dell’agape, dell’amore cristiano.
San Francesco vagheggiava “una Chiesa povera che si prendesse cura degli altri, ricevesse aiuto materiale e lo utilizzasse per sostenere gli altri, con nessuna preoccupazione di sé stessa”.

La Chiesa di Papa Francesco dovrà di conseguenza avere “una organizzazione non soltanto verticistica, ma anche orizzontale”. Queste caratteristiche sembrano però concepite dal Papa non tanto per una una particolare concezione teologica, quanto piuttosto per la funzione di aiuto all’umanità che la comunità dei credenti deve secondo lui assumere. Questo rende la sua riforma se possibile ancora più indispensdabile ed urgente. La riforma della Chiesa fa dunque tutt’uno, nella visione di Bergoglio, con la sua missione storica: se manca l’una, non è possibile svolgere l’altra. Nell’idea del Papa, la fede illumina la storia, e la storia manifesta la fede. 

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Alfonso Maria Bruno

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